I medici, gli infermieri e i loro colleghi hanno paura innanzitutto nelle corsie che dovrebbero essere luoghi di cura e di rispetto reciproco: come rileva un sondaggio del sindacato dei medici ospedalieri Cimo-Fesmed, il 71% dei camici bianchi in ospedale teme di subire un’aggressione sul posto di lavoro e la percentuale cresce al 76% tra le dottoresse. E si parla di “emergenza nazionale”, tanto che per la Simeu, la Società di medicina dell’Emergenza-urgenza, il 10% degli intervistati abbandonerebbe immediatamente quell’ambiente di lavoro. Stressato non solo dai turni massacranti imposti da una professione che è in caduta libera per appeal, il 64% dei medici di Pronto soccorso dichiara di aver cambiato atteggiamento nei confronti dei pazienti come reazione. https://lnkd.in/dMG-4-2c
FEDERAZIONE CIMO-FESMED
Ospedali e strutture sanitarie
Roma, Lazio 213 follower
Organizzazione sindacale che appresenta medici-dirigenti, medici, veterinari e odontoiatri, in servizio e in quiescenza.
Chi siamo
Organizzazione sindacale che rappresenta, medici-dirigenti medici-chirurghi, medici, veterinari e odontoiatri, in servizio e in quiescenza, qualunque sia la natura del rapporto di cui sono parte ovvero il soggetto, persona fisica o ente, a favore del quale svolgono attività professionale. Fanno parte della Federazione i Sindacati ANPO-ASCOTI, CIMO, CIMOP, FESMED. Nella propria azione, la Federazione segue i seguenti principi e finalità: - promozione del servizio sanitario nazionale per la tutela della salute individuale e collettiva, rappresentando unitariamente le Organizzazioni Sindacali aderenti ed i rispettivi iscritti, nelle trattative nazionali, regionali ed aziendali, di gruppo con le rappresentanze dei datori di lavoro. - valorizzazione del medico, come figura centrale nella tutela della salute, sul piano professionale, organizzativo ed economico; - miglioramento delle conoscenze mediche, sociali e giuridiche degli iscritti, anche tramite l’aggiornamento e la formazione iniziale e continua.
- Sito Web
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https://www.federazionecimofesmed.it
Link esterno per FEDERAZIONE CIMO-FESMED
- Settore
- Ospedali e strutture sanitarie
- Dimensioni dell’azienda
- 5001 - 10.000 dipendenti
- Sede principale
- Roma, Lazio
- Tipo
- Società privata non quotata
- Data di fondazione
- 2019
- Settori di competenza
- LEGALE, TUTELA, RICERCA, SVILUPPO, SERVIZI, MEDICI, VETERINARIA, ODONTOIATRIA e SISTEMA SANITARIO NAZIONALE
Località
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Principale
Via Nazionale, 163
Roma, Lazio 00184, IT
Dipendenti presso FEDERAZIONE CIMO-FESMED
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Carmine Gigli
Segretario Nazionale Organizzativo presso Federazione CIMO-FESMED
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Quici Guido
Direttore medico. Presidente Nazionale CIMO Presidente Federazione CIMO-FESMED e Vice Presidente CIDA
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Daniela Dalla Vedova
Assistente di Direzione
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Sacha Nadia Tolomeo
Marketing Communication Consultant
Aggiornamenti
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Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari. Il 71% dei medici ospedalieri italiani teme di subire un’aggressione sul posto di lavoro. Percentuale che arriva al 76% tra le dottoresse. Secondo l’ultimo sondaggio del sindacato dei medici della Federazione CIMO-FESMED, quindi, quasi tre medici su quattro vanno in ospedale con la paura di essere attaccati fisicamente o verbalmente dai pazienti o dai loro familiari. In occasione della “Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e socio-sanitari”, CIMO-FESMED lancia la campagna “La paura non aiuta la cura”. «La violenza contro il personale sanitario mina profondamente la serenità dei professionisti nello svolgimento del loro lavoro - commenta Guido Quici, Presidente CIMO-FESMED –. Ci troviamo dinanzi ad un’emergenza nazionale che non può essere risolta senza un serio intervento strutturale. Per ridurre i lunghi tempi di attesa nei pronto soccorso, nelle sale operatorie e negli ambulatori, che spesso rappresentano la causa delle aggressioni, occorre ampliare l’offerta sanitaria e consentire ai professionisti della salute di lavorare in condizioni ambientali favorevoli. Bisogna inoltre recuperare quel rapporto fiduciario medico-paziente che oggi è fortemente minato da una medicina amministrata e difensiva figlia di provvedimenti legislativi che non vanno incontro ai reali interessi dei cittadini e dei sanitari».
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Questa mattina, su Il Messaggero, è stata pubblicata una lettera della Ministra dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini sulla riforma dell’accesso alla Facoltà a Medicina, che sarà approvata in via definitiva dalla Camera la prossima settimana. Una lettera in cui la Ministra si ostina a parlare di “superamento del numero chiuso”, quando la riforma non fa che spostare la selezione degli studenti alla fine del primo semestre. Quel che viene eliminato è il test d’ingresso, non il numero chiuso, che è essenziale per programmare in modo corretto il numero di medici che serviranno al Servizio sanitario nazionale nel prossimo futuro. «Le parole della Ministra sono fuorvianti e potrebbero illudere migliaia di aspiranti medici – commenta Guido Quici, Presidente del sindacato dei medici Federazione CIMO-FESMED (a cui aderiscono le sigle ANPO, ASCOTI, CIMO, CIMOP e FESMED) -. E non è condivisibile nemmeno l’opinione che, con la riforma, l’accesso a Medicina sia “più equo, meritocratico e basato sulle vocazioni”. È vero che l’attuale sistema di selezione con il test d’ingresso nazionale va modificato, ma basare l’accesso a Medicina sul superamento degli esami del primo semestre e sulla media dei voti conseguiti risulta troppo discrezionale e non garantisce né l’equità né la meritocrazia. Non è detto, ad esempio, che tutti i professori abbiano lo stesso metro di giudizio nel dare i voti agli studenti e nel far superare o meno gli esami. Senza considerare i tanti problemi che le Università dovranno affrontare per garantire una formazione qualitativamente elevata ai circa 70mila studenti che frequenteranno il primo semestre». «Occorre inoltre prestare particolare attenzione al numero di studenti che saranno ammessi a proseguire gli studi in Medicina. Pochi giorni fa la Ministra ha evidenziato come i posti a Medicina siano già stati aumentati di 30mila unità, “e continueremo nei prossimi anni”, ha detto. Una dichiarazione d’intenti pericolosissima, poiché si rischia di formare troppi medici che poi non troveranno lavoro, andando ad alimentare quella pletora medica già prevista; al contempo, un ampliamento del numero di studenti in Medicina potrebbe aggravare ulteriormente la carenza di altri professionisti sanitari, a partire dagli infermieri. Non si può giocare in questo modo con la vita e la carriera degli aspiranti medici e la sostenibilità del Servizio sanitario nazionale», conclude Quici.
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I medici dipendenti del Servizio sanitario nazionale pagano ogni anno 4 miliardi di euro di IRPEF, tenendo in considerazione esclusivamente i redditi da dipendenti e dalla libera professione intramoenia, ed escludendo quindi eventuali prestazioni eseguite in studi o in cliniche private. La categoria dunque, pur rappresentando lo 0,2% dei contribuenti italiani, versa il 2% dell’intero ammontare IRPEF. Dei 9,2 miliardi che rappresentano il totale delle retribuzioni dei medici, quasi la metà è in qualche modo autofinanziata dai medici stessi tramite le proprie tasse, mentre ciascun cittadino italiano contribuisce con 43 centesimi al giorno al pagamento degli stipendi dei medici. Se, allora, i medici italiani hanno le retribuzioni lorde tra le più basse d’Europa, sono anche tra quelli che in percentuale pagano più tasse. È l’OCSE che ci fornisce i numeri: in media un medico specialista italiano nel 2021 guadagnava 78mila euro lordi a fronte dei 91mila dei medici francesi, dei 117mila dei belgi, dei 148mila dei tedeschi, dei 163mila degli olandesi fino ai 174mila degli irlandesi. Al contempo, ancora secondo l’OCSE, in Italia la pressione fiscale è pari al 42,6% (anche se per i medici aumenta fino al 46,36%), la terza più alta tra i Paesi OCSE, preceduta solo da Francia (43,8%) e Danimarca (43,4%). Le retribuzioni nette, quindi, sono di gran lunga inferiori rispetto a quanto percepito in altri Paesi europei, che attrarranno sempre di più i nostri medici. «Se c’è la reale volontà di trattenere in Italia i medici, è necessario aumentarne le retribuzioni – commenta Guido Quici, Presidente del sindacato dei medici Federazione CIMO-FESMED, a cui aderiscono le sigle ANPO, ASCOTI, CIMO, CIMOP e FESMED -. E se non è possibile aumentare considerevolmente gli stipendi poiché devono essere allineati a quelli degli altri dirigenti della Pubblica Amministrazione, occorre intervenire prevedendo delle agevolazioni fiscali. Chiediamo quindi ancora una volta un segnale importante per i colleghi che sono già pronti a trasferirsi in Paesi dove il loro ruolo e la loro professionalità sono maggiormente valorizzati».
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Guido Quici, presidente della Federazione Cimo-Fesmed, le critiche di Fontana sono incoerenti. "I parametri utilizzati sono gli stessi da quattro anni: se erano adeguati quando si ottenevano punteggi alti, non si può ora contestarli solo perché il giudizio è peggiorato". https://lnkd.in/dddD69DW
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Sonia Brugnara (Presidente CIMO-FESMED Trentino) interviene sulla polemica sollevata dall’Azienda sanitaria provinciale che vorrebbe un modello di ospedale diffuso basato sul “medico con la valigia”, che dunque dovrebbe lavorare in diversi ospedali. https://lnkd.in/dy36DvaM
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#Abruzzo Il presidente federale regionale Cimo Fesmed, Alberto Catalano, ha dichiarato: “Il Saues Sindacato Autonomo Urgenza Emergenza Sanitaria), settore specifico della Cimo , prende atto con soddisfazione della decisione assunta dall'Asl della Regione Abruzzo di inquadrare nel ruolo sanitario del servizio 118 i medici convenzionati di emergenza territoriale. -- comunicato stampa cimo-fesmed del 25/02/2025 https://lnkd.in/erR-Fqj4 © ChietiToday
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FEDERAZIONE CIMO-FESMED ha diffuso questo post
🩺 L’accesso alle cure in Italia è sempre più difficile 📉 Secondo il Terzo Rapporto dell’Osservatorio Salute, Benessere e Resilienza della Fondazione per la Ricerca Economica e Sociale ETS, l’ultimo anno ha registrato una diminuzione di due punti rispetto al valore base di 100, fissato nel 2010. 👉 In questo contesto, è sempre più urgente una riforma dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) per garantire tempi certi e adeguati nelle erogazioni delle #prestazionisanitarie. Oggi, infatti, un numero crescente di #italiani è costretto a rivolgersi alle #cureprivate, con una spesa che supera i 40 miliardi di euro annui. 🧮 Una cifra enorme che potrebbe essere in parte recuperata se si riuscisse a incrementare una maggiore collaborazione tra fondi sanitari integrativi e strutture pubbliche. 🎙️ Quici Guido, Presidente del sindacato dei medici FEDERAZIONE CIMO-FESMED e Vicepresidente di #CIDA, ha dichiarato: “Non possiamo continuare a considerare la #sanità come una contrapposizione tra pubblico e privato, tra #ospedali e territorio, tra dipendenti e convenzionati. È fondamentale, tra le altre cose, una regolamentazione più chiara della #sanitàintegrativa, affinché non vada a sovrapporsi alla #sanitàpubblica, e unificazione contrattuale per l’intero personale medico italiano.” 🔗 Leggi il comunicato per maggiori dettagli: https://lnkd.in/dqMHPNkY Federmanager MANAGERITALIA ANP associazione nazionale dirigenti scolastici e alte professionalità della scuola FEDERAZIONE CIMO-FESMED FIDIA - Federazione Italiana Dirigenti Imprese Assicuratrici Stefano Cuzzilla Massimo Fiaschi Quici Guido Antonello Giannelli Stefano Di Leo Teresa Lavanga Alberto Castelli Marco Ballarè Valter Quercioli Massimo Bianco
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L’accesso alle cure in Italia si fa sempre più difficile. Lo conferma l’Indice di vicinanza della salute, elaborato dalla Fondazione per la Ricerca Economica e Sociale ETS, che evidenzia un progressivo allontanamento dei cittadini dalla sanità: rispetto al valore base di 100 registrato nel 2010, oggi siamo scesi a 84, con un calo di due punti solo nell’ultimo anno. «Una riforma dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) è indispensabile per garantire tempi certi nell’erogazione delle prestazioni sanitarie, senza lasciare indietro nessuno – ha commentato GUIDO QUICI Presidente del sindacato dei medici Federazione CIMO-FESMED e Vicepresidente CIDA Manager, che ha partecipato alla Presentazione del Terzo Rapporto dell’Osservatorio Salute Benessere e Resilienza della Fondazione, svoltasi nel pomeriggio presso la Sala Zuccari del Senato - Al tempo stesso, è necessario regolamentare meglio la sanità integrativa affinché non si sovrapponga alla sanità pubblica, ma la completi laddove il Servizio sanitario nazionale non riesce ad arrivare. Oggi, infatti, gli italiani spendono 40 miliardi di euro l’anno per cure private: una cifra enorme che potrebbe, almeno in parte, rientrare nel sistema pubblico se si incentivasse una maggiore collaborazione tra i fondi sanitari integrativi e le strutture pubbliche, anche attraverso convenzioni con i professionisti del Servizio sanitario nazionale. Recuperare anche solo una parte di queste risorse significherebbe dare una boccata d’ossigeno al sistema, migliorando l’accesso alle cure per tutti». «Non possiamo continuare a pensare alla sanità in termini di contrapposizione tra pubblico e privato, tra ospedale e territorio, tra dipendenti e convenzionati – ha aggiunto Quici - Dovrebbero essere adottate, ad esempio, misure che consentano ai medici di dialogare meglio tra loro, uniformandoli da un punto di vista contrattuale pur mantenendo gli attuali stati giuridici della dipendenza e del convenzionamento: per questo da anni sosteniamo la necessità di far uscire i medici dipendenti dalla Funzione Pubblica per poter firmare, insieme ai medici del territorio, un contratto di lavoro con il Ministero della Salute e le Regioni». «Si tratta di riforme necessarie ma che non possono essere immaginate senza una vera lotta all’evasione fiscale, che consenta di recuperare miliardi di euro da destinare anche alla sanità, e la previsione di maggiori incentivi fiscali per il ceto medio: non è infatti ammissibile che coloro che guadagnano oltre 35mila euro l’anno e rappresentano solo il 15% degli italiani si facciano carico da soli del 63,39 % dell’IRPEF, per poi essere anche penalizzati in tema di detrazioni fiscali», ha concluso Quici.
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Anniversario Covid-19, medici da eroi a dimenticati: per il 58% in cinque anni il proprio lavoro è peggiorato. La Federazione CIMO-FESMED pubblica il dossier “Dimenticati. Ritratto dei medici ospedalieri a cinque anni dall’inizio dell’emergenza Covid-19” A cinque anni dall’inizio dell’emergenza Covid-19 in Italia, il 76% dei medici ospedalieri ritiene che il Servizio sanitario nazionale sia peggiorato ed il 58% pensa che il proprio lavoro abbia subito dei cambiamenti negativi. Sono i due dati più significativi che emergono da un sondaggio promosso dal sindacato Federazione CIMO-FESMED (a cui aderiscono le sigle ANPO, ASCOTI, CIMO, CIMOP e FESMED) a cui hanno risposto 2.168 medici dipendenti del SSN e che consente di dipingere il ritratto dei medici ospedalieri, rappresentato nel dossier “Dimenticati”. Un ritratto a tinte fosche, che lascia intravedere medici sempre più stanchi e disillusi: se infatti durante la pandemia il 77% dei medici riteneva che al termine dell’emergenza la professione sarebbe migliorata, il 74% pensava che avrebbe avuto maggiori opportunità di carriera e addirittura l’83% immaginava che avrebbe guadagnato di più, oggi solo il 15% dei medici giudica molto positivamente la propria professione, l’8% la propria carriera e il 2% il proprio stipendio. Tra le cause principali di tale insoddisfazione rientrano le condizioni in cui i medici sono costretti a lavorare, spesso a causa della carenza di personale: il 76% degli intervistati ha infatti dichiarato di lavorare in un reparto con l’organico incompleto. E allora, per coprire i turni, devono lavorare oltre il dovuto e rinunciare a ferie e permessi: solo il 28% dei medici che hanno risposto al sondaggio lavora 38 ore a settimana come previsto dal contratto; il 52% lavora spesso 48 ore a settimana ed il 20% supera le 48 ore di lavoro settimanali. Il quadro non migliora in tema di giorni di ferie: il 45% ha tra gli 11 e i 50 giorni di ferie residui, il 23% tra i 51 e i 100 giorni, mentre il 15% ha addirittura più di 100 giorni di ferie accumulati. Non stupisce, allora, che il 57% dei medici ritenga di essere molto stressato né che solo il 2% dei camici bianchi riesca a conciliare «Quel che emerge dall’indagine è disarmante– commenta Guido Quici, Presidente CIMO-FESMED -. Speravamo che con la pandemia si fosse capita l’importanza del ruolo del medico e del SSN, e invece, a soli cinque anni di distanza, ci sentiamo dimenticati. I medici sono sempre più stanchi e disillusi, e ritengono eccessivi i compromessi da accettare per svolgere il proprio lavoro, che comunque risceglierebbe il 69% dei colleghi. Il nostro timore, allora, è che sempre più giovani medici decidano di indirizzare la propria carriera lontano dal SSN. Per invertire questo trend occorre rendere nuovamente attrattivo il lavoro negli ospedali pubblici. In caso contrario, ben presto non ci saranno più medici, e senza medici non c’è salute». https://lnkd.in/d6Z7gF2b