Hai mai pensato ai videogiochi come a una palestra per allenare quelle soft skills sempre più richieste dal mondo del lavoro? 🎮 Che si tratti di giochi di strategia, d’azione e avventura, di ruolo, rompicapo o sparatutto, i videogiochi spingono a mettere in campo tutta una serie di competenze trasversali che spaziano dal problem solving alla comunicazione, passando per la leadership, la capacità di lavorare in team, la gestione di tempo e stress, la consapevolezza situazionale e molto altro. Non è un caso che, soprattutto all’estero, molte persone dichiarino nel loro curriculum vitae di essere gamer, in quanto si tratta di profili che le aziende ricercano e apprezzano particolarmente, per via delle loro skills. Purtroppo, qui in Italia ci sono ancora diversi stereotipi legati al mondo videoludico: in primis, il fatto che si tratti di una sostanziale perdita di tempo o addirittura di un’attività infantile e "spegni cervello". Ecco perché nel carosello qui sotto abbiamo deciso di inserire cinque soft skill che, pad alla mano, possono essere sviluppate e allenate in maniera giocosa e divertente. Dimostrando che sì, i videogiochi fanno curriculum 😉
Humee
Risorse umane
Genova, Genova 582 follower
La formazione a misura di persona che ha l’intrattenimento nel DNA
Chi siamo
Humee è la formazione a misura di persona che ha l’intrattenimento nel DNA e la relazione come obiettivo. Usiamo uno stile semplice e diretto per trattare ciò in cui crediamo come la diversità e l’inclusione, il superamento del gap generazionale, il benessere digitale, il rapporto tra genitori e figli alla luce della tecnologia. Vogliamo creare la consapevolezza necessaria a potenziare la collaborazione tra persone. Riteniamo che il digitale possa essere un veicolo per l’apprendimento in grado di fare la differenza e di trasmettere concetti importanti attraverso il linguaggio pop tipico dell’intrattenimento.
- Sito Web
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https://www.humee.it/
Link esterno per Humee
- Settore
- Risorse umane
- Dimensioni dell’azienda
- 2-10 dipendenti
- Sede principale
- Genova, Genova
- Settori di competenza
- formazione, e-learning, psicologia, diversity & inclusion, benessere digitale, genitorialità digitale, soft skill, intrattenimento, contenuti web e gapgenerazionale
Località
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Principale
Via G. D'Annunzio
2/48A
Genova, Genova 16121, IT
Dipendenti presso Humee
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Rossana Ghillino
Video editor e Graphic designer • Content creator: progetto e do forma ai corsi di Humee by T Seed
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Ilaria Griffoni
Imprenditrice e Responsabile formazione digitale per Humee by T Seed
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Romina Soldati
Communication Consuelor presso Humee e Operatrice per il Centro per Non Subire Violenza (da Udi) asp
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Stefano Solari
Formatore • Content creator: progetto e scrivo corsi per Humee by T Seed
Aggiornamenti
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C’è chi lo ama, c’è chi lo odia, chi non vedeva l’ora di tornare in presenza e chi sperava di non abbandonarlo più. Dalla pandemia lo smart working è entrato in molte realtà lavorative, presentando sfide e opportunità. Noi vi raccontiamo come abbiamo imparato e stiamo ancora imparando a lavorare da remoto, cercando di sopravvivere a call infinite e all’iperconnessione 😉 Al momento siamo lontanə dalla formula giusta ma, tra tentativi ed errori, a qualche conclusione siamo arrivatə. Per cominciare abbiamo capito che è bene riscaldare i motori ritagliandoci i primi dieci minuti - a meno che non ci siano argomenti succosi che portano via più tempo 😬- per fare quattro chiacchiere e chiederci come stiamo. Questo ci permette anche di rievocare ogni giorno lo spirito del gruppo che, buttandosi subito sull’operatività, si rischia invece di perdere 🤝 Dopo giornate di riunioni infinite ci è finalmente entrato in testa che è meglio darsi un orario di fine riunione, il che ci permette di essere più produttivə ed evitare il cervello bollito 🤯 Proprio per questo le pause sono fondamentali, anche se non sempre riusciamo a rispettare le buone abitudini che dovremmo avere 😅 Oltre alla gestione del tempo cerchiamo di pianificare le attività durante la settimana in modo da non sovraccaricare le riunioni 🕐 Non sempre è facile mantenere queste buone pratiche, anche perché a volte le urgenze e le scadenze sballano i piani, ma per noi è fondamentale cercare comunque di avere consapevolezza di ciò che ci fa lavorare bene in smart working così da ricordarcelo a vicenda il più possibile. Per noi comunque è fondamentale riuscire a vederci in presenza con regolarità anche per vedere lə colleghə di altri team. E tu? Come organizzi e gestisci il lavoro da remoto con il tuo team? Faccelo sapere nei commenti 😉
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Quando parliamo di diritti delle donne quanto spesso ci soffermiamo a riflettere sull’impatto che ha il digitale nel perpetrare disuguaglianze? Può sembrare un’ovvietà ma la tecnologia non è neutra, e nell’era dell’IA ci sono diversi aspetti critici a cui è necessario fare attenzione, a partire dai dataset di cui si nutrono i sistemi di intelligenza artificiale, che non sono per niente esenti da bias e pregiudizi, anche legati al genere. È stato rilevato come negli anni gli algoritmi, a causa di questi pregiudizi, abbiano impattato negativamente ad esempio sulla selezione del personale privilegiando l’assunzione di uomini, penalizzando le donne per quel che riguarda i sistemi di credito bancari, mancando di accuratezza nei sistemi di riconoscimento facciale delle donne, specialmente nere e trascurando i sintomi femminili nelle diagnosi dei modelli medici perché basati su studi prevalentemente maschili. Ecco perché è necessario mettere in atto delle contromisure volte a ridurre o eliminare il rischio di discriminazioni algoritmiche. Tra queste: ☑️ garantire dataset più equi e rappresentativi per addestrare le IA ☑️ creare team di sviluppo più diversificati e consapevoli dei bias ☑️ migliorare la trasparenza degli algoritmi ☑️ applicare audit etici agli algoritmi per monitorare e correggere distorsioni Addirittura se istruita nella maniera corretta, l’intelligenza artificiale può essere utilizzata per rilevare discriminazioni di genere e non solo: gli algoritmi possono identificare pattern di bias e suggerire interventi per ridurre le disparità. Perché ciò avvenga il fattore umano resta però un elemento necessario, così come la consapevolezza dei rischi di riprodurre e amplificare pregiudizi esistenti. Non è difficile dunque immaginare che impatto potrà avere la cancellazione di dataset relativi a studi di genere, disuguaglianze e discriminazioni: potrebbe rendere più difficile sviluppare e addestrare algoritmi in grado di riconoscere e contrastare questi fenomeni, anzi il rischio è che l’IA perpetui ancora di più i bias esistenti, anziché contribuire alla loro eliminazione.
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Secondo il Global Gender Gap Report 2024, pubblicato dal World Economic Forum, allo stato attuale ci vorranno 134 anni per raggiungere la piena parità di genere a livello globale, un lieve miglioramento rispetto alle proiezioni passate. E in questo scenario l’Italia come si colloca? Decisamente male. Il Global Gender Gap è l’indice che misura e mette a confronto la parità di genere di 146 Paesi e rispetto agli anni precedenti l’Italia ha peggiorato notevolmente la sua posizione passando dal 63° posto all’87° in soli due anni. Per intenderci il nostro paese è quartultimo tra le 40 nazioni europee, sotto di noi soltanto Ungheria, Repubblica Ceca e Turchia. L’indice prende in considerazione 4 dimensioni: partecipazione e opportunità economiche, accesso all'istruzione, salute e sopravvivenza, empowerment politico. In particolare per quel che riguarda la dimensione della partecipazione e opportunità economiche, che include tra gli indicatori la partecipazione al mercato del lavoro, l’uguaglianza salariale e la presenza di donne in posizioni manageriali, ci troviamo al 111° posto, ben 7 punti in meno rispetto al 2023. In questo scenario già di per sé critico, ad aumentare questo gap è la tecnologia, fattore determinante di crescita economica, che rimane una sfera per lo più occupata da uomini e che proprio per questo rischia di aumentare il divario e diventare l’ennesimo territorio di discriminazione. Secondo te che ruolo ha il digitale nel perpetrare disuguaglianze?
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Vi siete mai chiestə perché se riceviamo cento commenti positivi sul nostro lavoro e una sola critica, tendiamo a concentrarci su quell’unico feedback negativo? O perché tendiamo a sopravvalutare gli episodi del passato in cui qualcosa è andato storto rispetto a quando è filato tutto liscio? A volte sembra che basti un piccolo fallimento per oscurare anni di successi 😔 Questo avviene a causa del bias della negatività: una tendenza del nostro cervello a dare più peso alle esperienze negative rispetto a quelle positive. Si tratta di un meccanismo evolutivo che ci ha permesso di sopravvivere, rendendo più salienti gli eventi spiacevoli e consentendo alla nostra specie di svilupparsi prestando maggiore attenzione ai pericoli. Le esperienze negative, infatti, attivano l’amigdala, la regione cerebrale legata alla paura e alla memoria, ed è proprio per questo che risultano così memorabili. Tuttavia, soffermarsi troppo sul bicchiere mezzo vuoto può renderci eccessivamente pessimisti, frenare la nostra crescita professionale, impattare sui rapporti personali e ridurre la nostra capacità di prendere decisioni equilibrate. Ecco perché è necessario attuare alcune strategie per contrastare il bias della negatività! Ad esempio: 🌱 Sforzarsi, di fronte a un evento negativo, di trovare almeno tre aspetti positivi che possano ricordarci che non tutto il male viene per nuocere. 🔍Chiedersi se, a distanza di mesi, quel singolo episodio sarà ancora rilevante per noi, in modo da iniziare a distaccarcene emotivamente. 🖼️Utilizzare una tecnica psicologica chiamata “reframing” che consiste nel contestualizzare la situazione adottando un punto di vista diverso, per esempio trasformando un fallimento personale in un’occasione di apprendimento, così da ridurne l’impatto emotivo. Allenare la nostra mente a non farsi influenzare troppo dal bias della negatività non significa ignorare i problemi, ma sviluppare una visione più equilibrata e lucida della realtà 👓 E a te è mai capitato di riconoscere questo bias? E se sì, quali strategie hai utilizzato per contrastarlo? Facci sapere la tua 😉
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Quanto ne sai delle generazioni diverse dalla tua? “Ok boomer” è il gioco ideale per scoprirlo🎴 Noi l’abbiamo testato e pensiamo possa essere uno strumento efficace per affrontare in maniera giocosa e divertente il tema del gap intergenerazionale in azienda. Ma come funziona? A sfidarsi due squadre: la “Old School”, di cui fanno parte Boomer e Gen X e la “New School”, composta da Millennials e Gen Z. L’obiettivo del gioco è scoprire quanto è grande il gap generazionale cercando di rispondere correttamente a una serie di domande che riguardano le generazioni della squadra avversaria. È l’occasione per confrontarsi, conoscere e farsi conoscere in maniera giocosa e divertente - soprattutto se scatta un po’ di sana competizione😏 E, perché no, anche per sfatare un po’ di pregiudizi sulle generazioni diverse dalla nostra. Per il momento nel nostro ufficio siamo sull’1 a 1 ⚽🎯
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Buon Sconnessi Day a tuttə! 🌍📵 Cos’è lo Sconnessi Day? Si tratta di un’iniziativa che ci invita a staccare da Internet e a vivere un giorno intero in totale detox tecnologico. Ed è, soprattutto, un momento per fermarci e riflettere sul ruolo che le nuove tecnologie hanno nelle nostre vite 📲Pensateci, nell’era dell’iperconnessione, quanto tempo passiamo davanti a uno schermo? Quanto tempo dedichiamo davvero a noi stessə, senza essere bombardatə da notifiche, e-mail o messaggi? 💡L’obiettivo dello Sconnessi Day è proprio quello di prendere consapevolezza delle nostre abitudini digitali e riscoprire il valore della disconnessione. Non si tratta di demonizzare la tecnologia, ma di imparare a usarla con equilibrio e consapevolezza. È un’occasione per spegnere il telefono, riconnettersi con la realtà analogica che ci circonda e vivere davvero il presente. Se anche tu vuoi cogliere le palla al balzo e approfittare di questa giornata per metterti in gioco con una sana challenge analogica, sfoglia il carosello qui sotto, dove ti suggeriamo qualche consiglio per sopravvivere allo Sconnessi Day e staccare davvero la spina E se vi va, facci sapere - domani - come è andata 😉
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Qualche giorno fa siamo tornatə con il resto del gruppo Happily Srl - Società Benefit a fare un’esperienza di team building con le Escape Room 🔐 A mettersi in gioco, questa volta, le squadre Panda 🐼, Gatto 😸e Volpe 🦊 Anche questa occasione è stata utile per prendere consapevolezza di alcune dinamiche legate al gruppo e alle competenze trasversali che, il giorno dopo, abbiamo discusso e su cui ci siamo confrontatə. Ringraziamo tutte le persone che hanno partecipato e che hanno reso questo momento di condivisione reciproca davvero arricchente. Per noi è sempre stimolante accompagnare questo gruppo in continua crescita e siamo sempre entusiastə quando abbiamo l’opportunità di lavorare insieme ❤️
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Il nostro libro del mese a gennaio è stato “Un poliamore così grande” di Dania Piras ✨ Attraverso un linguaggio semplice ed efficace, arricchito dalle esperienze personali e testimonianze, l'autrice descrive la realtà del poliamore e delle non monogamie consensuali, evidenziando come aderire a un pensiero poliamoroso, a prescindere, possa essere utile a tuttə e in ogni tipo di relazione, anche alle persone monogame. Mettendo in discussione la narrazione di quello che viene comunemente inteso come “Vero Amore”, insieme a tutti i condizionamenti e le regole più o meno implicite della monogamia eteronormata, Piras fornisce infatti nuove prospettive e spunti di riflessione con cui guardare in maniera più consapevole al vasto mondo delle relazioni e a tutte le sue costellazioni ⭐ In particolare, una metafora che l’autrice ha riportato nel libro e che ci ha molto colpito è quella della botanica delle relazioni in cui queste vengono paragonate a delle piante di cui è necessario prendersi cura. Ma esattamente come piante diverse hanno esigenze diverse, lo stesso vale per le relazioni. Ecco perché è importante riflettere sul come ci prendiamo cura di quelle più significative per noi, che siano con i genitori, con lə figliə, con lə amicə e con lə partner 🌱 L’amore è infatti qualcosa che né si esaurisce né si consuma ma che può espandersi e arricchirsi attraverso il riconoscimento dei bisogni e delle emozioni di tutte le persone coinvolte. Si tratta di un processo in continua evoluzione in cui il consenso e la comunicazione rappresentano due pilastri fondamentali. Il consenso, come sottolinea l’autrice, è ancora un aspetto non abbastanza valorizzato dal sistema monogamo, in cui spesso viene dato per scontato oppure confuso con il dare o ricevere un permesso creando spesso uno squilibrio di potere che non rende la relazione veramente paritaria. Ecco perché la comunicazione, assertiva e non giudicante, intesa non solo come l’esprimere i propri bisogni ma soprattutto saper ascoltare quelli altrui è ciò che fa la differenza in qualsiasi scenario affettivo. Grazie a questo libro abbiamo compreso a fondo come il prendersi cura richieda un'alta responsabilità affettiva. Una responsabilità che comporta il mettersi in discussione, venire a patti con le proprie vulnerabilità, e non dare mai per scontato regole e aspettative. Perché prendersi cura significa vedere davvero le nostre relazioni e chiederci sempre cosa potremmo fare per renderle ancora più rigogliose 💚
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