Ma La vittoria di Trump e Musk: il mondo è sempre più nelle mani di razzisti autoritari e classisti | Bruno Montesano https://lnkd.in/d92FNBSD Nel suo discorso della vittoria, il neo-presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha ringraziato Elon Musk: nessuno, né la Cina né la Russia, possono fare quello che fa Starlink – la cui pericolosità è ben spiegata in un’inchiesta del New York Times di un anno fa. La triade Trump - Vance - Musk torna con un programma di suprematismo bianco e immane potenza tecnologica e comunicativa. Come noto, è stato il tecno-oligarca Peter Thiel - che ha in mente una sorta di tecnocrazia sospesa tra Silicon Valley e Medioevo - a chiedere la vicepresidenza per Vance. Come dice Musk, siamo nel Dark Maga: l'ulteriore slittamento del mondo nelle mani di razzisti autoritari e classisti. Se la “razza” è il modo in cui si vive la classe, possiamo dire che da circa 10 anni, se non di più, vediamo l'affermarsi di politici razzisti attraverso la retorica dei “dimenticati della globalizzazione”. Invece di intervenire sul rapporto tra classi e le disuguaglianze sociali, si contrappongono le classi nazionali contro stranieri e minoranze. Le istanze economiche – le restrizioni a cui vengono sottoposti i lavoratori – vengono declinate in termini razziali. Precisi interessi di classe sfumano in metafisiche entità come i “poteri forti”, il “globalismo”, Soros e le sue estensioni: i migranti. La nobile tesi dell’esercito di riserva, formulata da Marx, viene distorta a fini razzisti. La “grande sostituzione” dei cittadini autoctoni da parte del capitale globale serve a ridurre i diritti della classe lavoratrice bianca. La patina di questa operazione ideologica è quella di difendere i “nostri”, dargli priorità, preferirli agli altri - lo sciovinismo del welfare, il taking back control della Brexit, Le Pen, Meloni e Salvini, AFD in Germania, VOX in Spagna e l’FPO in Austria. Per chi denuncia i fascismi ma aderisce a questa tesi l’implicito è che se si facessero politiche più socialdemocratiche, il razzismo perderebbe la sua base sociale. “Se al posto di Harris ci fosse stato Sanders tutto sarebbe andato per il meglio” dicono alcuni. Sarebbe bello ma non è così. In questa prospettiva se i subalterni indirizzassero la loro rabbia verso i veri nemici, la democrazia sarebbe salva. Ma se ridurre povertà e precarietà può aiutare, il problema rimane il tipo di comunità che si vuole difendere.
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Come Donald Trump si è preso il voto dei giovani maschi bianchi | Leonardo Bianchi https://lnkd.in/dhkHmgNd La sera del 5 novembre – quando la vittoria di Trump era ormai certa – il presidente dell’UFC (il principale campionato statunitense di arti marziali miste) Dana White è salito sul palco del Palm Beach Convention Center e ha ringraziato calorosamente “i Nelk Boys, Adin Ross, Theo Von, Bussin’ With the Boys e ovviamente il mitico Joe Rogan”. Secondo White, che è un grande amico di Trump, sono proprio questi influencer e podcaster ad aver fornito un contributo decisivo al successo del candidato repubblicano. E non è affatto l’unico a pensarlo: stando a diverse analisi, queste figure hanno ricoperto un ruolo cruciale nella strategia propagandistica trumpiana, imponendosi come una dele novità mediatiche più rilevanti di questo ciclo elettorale. Negli ultimi mesi della campagna, infatti, Trump è stato ospite in decine di canali YouTube seguiti da milioni di persone e gestiti da creator rigorosamente maschi e bianchi. I numeri delle apparizioni in questione sono a dir poco impressionanti. Giusto per fare qualche esempio, la diretta dello streamer Adin Ross ha totalizzato 2,6 milioni di visualizzazioni; l’intervista a IMPAULSIVE di Logan Paul ha raggiunto 6,7 milioni di visualizzazioni; la conversazione con il comico Theo Von è arrivata a 14 milioni; e quella di tre ore con Joe Rogan veleggia sui 46 milioni. A questi numeri vanno poi aggiunti quelli delle clip disseminate su TikTok, Instagram o gli Shorts di YouTube, e quelli delle registrazioni su Spotify e altre piattaforme audio. Solo a guardare queste cifre, insomma, si capisce molto bene perché Trump abbia snobbato la televisione e i media mainstream rispetto al 2016 e al 2020: semplicemente, non ne aveva più bisogno. Di sicuro non ne aveva bisogno per raggiungere i giovani maschi – ossia uno dei segmenti demografici su cui la sua campagna ha puntato maggiormente per riconquistare la Casa Bianca. Secondo una rilevazione post voto diAssociated Press, più della metà dei maschi tra i 18 e i 29 anni avrebbe optato per Trump. Rispetto alle presidenziali del 2020, lo spostamento a destra è di quasi trenta punti percentuali. Un dato simile l’ha registrato un exit poll di NBC News: il 49 per cento dei maschi bianchi under 30 avrebbe votato Trump, mentre Harris si è fermata al 47 per cento. La campagna repubblicana ha dunque cercato di massimizzare una tendenza in atto da tempo negli Stati Uniti (e non solo): i maschi della generazione Z sono nettamente più conservatori delle femmine, e in generale sono più a destra delle generazioni precedenti. Di cosa parliamo in questo articolo: - Trump alla caccia del bro vote - Gli influencer arruolati dalla campagna trumpiana - Il nuovo ecosistema mediatico trumpiano e la fine dei media mainstream
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Trattative fallite, depistaggi e fughe di notizie: lo scandalo che ha travolto Netanyahu | Massimo Chierici https://lnkd.in/dKG7JzGz Da alcuni giorni gli uffici di Netanyahu sono al centro di quello che si avvia a diventare il più grande scandalo politico della storia di Israele: sta emergendo un disegno fatto di scoop giornalistici basati su informazioni false e manipolazioni di rapporti di intelligence che vede sul banco degli imputati lo staff del Primo Ministro israeliano. Le rivelazioni giornalistiche sono state utilizzate da Netanyahu per sostenere la linea di opposizione a tutti i costi verso un cessate il fuoco a Gaza. Una sospensione del conflitto strettamente connessa con la trattativa per la liberazione degli ostaggi rapiti da Hamas negli attacchi del 7 ottobre 2023 e che secondo le stime più recenti sarebbero ancora 60. (https://lnkd.in/dNhSCVa7) Ma per capire come si è arrivati a questo scandalo, alle sue aree oscure, al ruolo avuto dai sospettati in questa vicenda che ha prodotto già degli arresti, bisogna ripercorrere la linea temporale degli eventi legati alle trattative tra Israele e i mediatori di Qatar ed Egitto, oltre a quelli statunitensi. Un trattativa il cui naufragio ha messo Netanyahu di fronte a una delle peggiori crisi interne dell’ultimo anno, e che ha affrontato nel modo che meglio conosce: deviando l’attenzione con versioni di comodo. Di cosa parliamo in questo articolo: - Il contesto: le trattative durante l’estate per il cessate il fuoco - Gli ostaggi morti e i tentativi di Netanyahu di nascondere le proprie responsabilità - Falsi scoop e documenti classificati
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Trump, l’enigma del consenso e la fascinazione del male | Arianna Ciccone https://lnkd.in/dRX8mjtW "Da tempo mi interrogo sulle ragioni del consenso per una visone di società ripugnante come quella immaginata da Trump. Sono giunta alla conclusione che dobbiamo mettere in conto che la fascinazione del male possa essere alla base della scelta di milioni di persone. Milioni e milioni di persone che sostengono in modo cieco, fanatico, esaltato, un modo che non contempla dubbi o messa in discussione del leader nemmeno davanti ad affermazioni violente, sovversive e a retoriche fasciste, attacchi sistematici ai principi fondanti di una democrazia e al disprezzo rabbioso per tutto quello che significa Stato di diritto. Queste elezioni non sono semplicemente una scelta tra piattaforme politiche o una questione di fedeltà al proprio partito. Non si tratta di scegliere fra una visione politica di destra o di sinistra. In gioco ci sono la democrazia, lo Stato di diritto, i diritti umani. Il consenso per la visione rappresentata da Trump-Vance potremmo definirlo un ‘enigma’. Perché al punto in cui siamo e davanti a un candidato visibilmente instabile e che sostiene cose così ripugnanti, non possiamo spiegare, interpretare quei milioni di voti con criteri e categorie sociologiche appartenenti alla sfera della razionalità (legati ai temi del lavoro, dell'economica o anche alla paura del futuro, alla sfiducia nelle istituzioni tradizionali...). Una buona componente di spiegazione a mio avviso sta nella fascinazione nel potere carismatico e infine nello sdoganamento del male. Finalmente con Trump si è liberi di poter pensare, dire l’indicibile, e agire di conseguenza. Liberi di odiare l’altro perché “subumano”, considerare altri esseri umani sulla base della loro appartenenza etnica“animali” o "immondizia" (espressioni usate a più riprese durante la campagna di Trump). Trump è il più alto rappresentante di quel potere carismatico, in cui milioni di persone finalmente si riconoscono e grazie al quale si sentono appunto liberate, senza più temere ostracismo o stigmatizzazione sociale. E questo costituisce un problema democratico, anche se Trump perde."
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Assalto alla democrazia, alla scienza e ai diritti: cosa succede se vince Trump https://lnkd.in/dqXh_Wsq Se il primo mandato di Trump è stato contraddistinto da caos, malagestione e incompetenza – lo stesso ex presidente, del resto, nemmeno si aspettava di vincere – il secondo sarebbe preparato fin nei minimi dettagli e imprimerebbe una svolta autoritaria senza precedenti nella storia statunitense. A dirlo sono analisti politici, storici e diversi ex membri di spicco della prima amministrazione trumpiana. L’ex segretario della sicurezza interna e capo dello staff John Kelly, ad esempio, ha detto al New York Times che Trump è un “fascista” che in privato elogia Adolf Hitler, non capisce il principio basilare della separazione dei poteri, disprezza lo stato di diritto e “governerebbe come un dittatore, se ne avesse la possibilità”. Le dichiarazioni di Kelly sono state poi sottoscritte da altri 13 ex funzionari governativi. “Siamo da sempre dei repubblicani al servizio del nostro paese”, si legge nella lettera aperta, “ma ci sono momenti storici in cui è necessario mettere il paese davanti al partito. Questo è uno di quei momenti”. Anche il generale Mark Milley, ex capo degli stati maggiori riuniti, ha descritto Trump come un “fascista fino al midollo” nonché la “persona più pericolosa per il paese”. Pur respingendo queste caratterizzazioni, il candidato repubblicano ha condotto una campagna elettorale violenta e cupa, costellata di teorie del complotto razziste (su tutte quella degli haitiani che mangiano animali domestici) e propositi eversivi. Quest’ultimi sono completamente alla luce del sole, dentro vari piani stilati da think tank ultraconservatori – tra cui il famigerato “Progetto 2025”, da cui Trump ha cercato di distaccarsi in modo molto poco convincente. La posta in gioco di queste elezioni statunitensi, insomma, non potrebbe essere più elevata. Non si tratta semplicemente del confronto tra due candidati che hanno idee diverse su questioni sociali, politiche ed economiche; in ballo c’è proprio la tenuta democratica del paese. Come ha scritto in un editoriale Jeffrey Goldberg, direttore della rivista The Atlantic, il ritorno di Trump alla Casa Bianca porterebbe gli Stati Uniti – e il mondo – verso territori inesplorati e scenari impensabili. Ma quali sono questi scenari? Leonardo Bianchi ha raccolto quelli più significativi – e quelli più preoccupanti. Gli scenari di una seconda presidenza Trump: - La deportazione di massa delle persone migranti - La persecuzione degli avversari politici e dei “traditori” - L’utilizzo dell’esercito per mantenere l’ordine pubblico - La messa al bando dei movimenti di protesta - L’occupazione dello Stato federale, dalla burocrazia alla giustizia - L’attacco al diritto all’aborto e ai diritti riproduttivi - L’offensiva contro la comunità LGBTQIA+ - Una guerra alla scienza dagli esiti ancora più gravi - Un rischio per la democrazia in tutto il mondo
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Elezioni presidenziali USA: gli ultimi giorni di campagna elettorale per un voto che può cambiare il volto della democrazia americana | Marco Arvati https://lnkd.in/drAJMENt Con la chiusura dei seggi sempre più vicina, la situazione di sostanziale parità nel confronto elettorale tra Kamala Harris e Donald Trump sembra difficile da sbloccare. La certezza è che il confronto si riduce ormai a sette Stati chiave, che determineranno in base al loro spostamento chi sarà Presidente degli Stati Uniti a partire dal 20 gennaio prossimo. Di questi, secondo gli ultimi dati NYT – Siena, Trump è favorito in tre (Arizona, Georgia e North Carolina), Harris in due (Michigan e Wisconsin) e ci troviamo di fronte a una condizione di parità assoluta in Pennsylvania e Nevada. Per rendere più chiara la situazione, se i due vincessero tutti gli Stati in cui oggi sono considerati favoriti, a entrambi basterebbe assicurarsi i 19 grandi elettori della Pennsylvania per vincere le elezioni. In Iowa, roccaforte repubblicana, in uno degli ultimi sondaggi usciti il quotidiano Des Moines Register dà in vantaggio Harris, un ribaltamento guidato dalle donne, in particolare quelle più anziane e politicamente indipendenti, a sottolineare un clima in cui tutto sembra davvero possibile. Quella che si profila il 5 novembre è un’elezione determinante per capire la strada che prenderanno gli Stati Uniti e non solo. Gli elettori di quei sette Stati avranno il compito di decidere non solo quale sarà la posizione del paese sui principali temi mondiali nel prossimo futuro, ma anche il suo stesso volto e la sua identità più profonda. Nel suo editoriale di sostegno a Kamala Harris, il settimanale britannico Economist ha scritto: “Far sì che Trump torni alla presidenza vuol dire giocare d’azzardo con l’economia, lo Stato di diritto e la pace internazionale. Non è possibile quantificare le possibilità che qualcosa vada storto: nessuno può. Ma riteniamo che gli elettori che minimizzano queste possibilità si stiano illudendo”. Di cosa parliamo in questo articolo: - Le strategie di Trump e Harris nella fase finale - Il messianismo dei repubblicani e la retorica sempre più violenta - Come stanno cambiando i rapporti tra potere economico e politico - Elezioni più cruciali che mai
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Il caso Piracy Shield e i legami ambigui tra la Serie A e il governo | Valerio Moggia https://lnkd.in/dqV5JGh5 La sera di sabato 19 ottobre, chi dall’Italia ha provato ad accedere ai propri documenti archiviati su Google Drive ha scoperto che inspiegabilmente il sito era stato bloccato dall’Agcom. Il “motivo” è che era stata inoltrata una segnalazione di violazione delle norme anti-pirateria alla piattaforma nota come Piracy Shield, uno strumento sviluppato dalla Lega di Serie A per combattere i siti di streaming che trasmettono illegalmente le partite di calcio, donato nel 2023 all’Agcom. Il caso ha fatto discutere molto nei giorni successivi, anche se il dibattito attorno a Piracy Shield - e alla legge antipirateria che ne ha reso possibile l’utilizzo - va avanti da mesi tra gli esperti del settore, che ne avevano già segnalato le serie criticità. Il governo ha però sostanzialmente ignorato la questione, che è arrivata in parlamento il 23 ottobre tramite un’interrogazione parlamentare delle opposizioni. Mentre tutto questo avveniva, il Sole 24 Ore rivelava che la Lega di Serie A avrebbe intenzione di portare in tribunale proprio Google, accusandolo di non collaborare nella lotta alla pirateria. Questo episodio non è banalmente un problema tecnologico, ma è indicativo della stretta alleanza che oggi i club di calcio più ricchi del paese hanno stretto con l'esecutivo. Piracy Shield non è infatti l’unico esempio di questo legame con la Serie A, che negli ultimi due anni è riuscita a portare all’attenzione dell’esecutivo diverse questioni di suo stretto interesse. Il mondo del pallone, d’altronde, può vantare ben due garanti seduti tra i banchi della maggioranza: il vicepresidente e amministratore delegato del Monza Adriano Galliani e il presidente e proprietario della Lazio Claudio Lotito, entrambi senatori di Forza Italia. Di cosa parliamo in questo articolo: - Il pasticcio Piracy Shield - Il ruolo di Lotito - Le relazioni tra Serie A e governo
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Nella Newsletter di Valigia Blu questa settimana > Valencia: una catastrofe annunciata dall’inazione della politica. Siamo nell’era dei disastri seriali | Angelo Romano La Georgia si trova a un bivio democratico e questo è un problema anche per l’UE | Aleksej Tilman USA e Corea del Sud chiedono il ritiro delle truppe nordcoreane dalla Russia: "La guerra in Ucraina potrebbe trasformarsi in un conflitto multiregionale" In Sudan diverse donne si sono tolte la vita dopo essere state violentate dai combattenti paramilitari I siriani in fuga dal Libano rischiano arresti, torture e morte in carcere una volta tornati in Siria Perché abbiamo deciso di lasciare X di Elon Musk Lo scandalo dello spreco di cibo. E come possiamo fermarlo | Alice Facchini Il caso Piracy Shield e i legami ambigui tra la Serie A e il governo | Valerio Moggia La foresta sei anni dopo la tempesta Vaia che sconvolse il Trentino e il Veneto | Claudia Boscolo Perché Hiroshima e Nagasaki ci parlano ancora: l’eredità dimenticata dei sopravvissuti | Paolo Giordano Per capire la guerra bisogna saper ascoltare i morti | Matteo Pascoletti Vaccini antitumorali e scoperte genetiche: la scienza è ricerca e collaborazione | ettore meccia NON SOLO VALIGIA BLU Letti vuoti: il murale esposto a New York per ricordare i quasi 20.000 bambini rapiti dalle forze russe [Fonte: David Smith sul The Guardian] Le parole dell’odio che alimentano il razzismo di Stato Fonte: Abdulkadir Monaco Abdullahi Omar e Marie Moise su Domani] Carcere e razzismo, gli esperti dell'ONU bocciano l'Italia [Fonte: Andrea Oleandri su lavialibera] Per iscriversi alla Newsletter settimanale di Valigia Blu qui👇 https://lnkd.in/eXdGubA
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Lo scandalo dello spreco di cibo. E come possiamo fermarlo | Alice Facchini https://lnkd.in/d_Sp_s_M Ogni persona spreca in media 74 chili di cibo ogni anno, a livello globale. Circa un terzo degli alimenti che avremmo a disposizione non viene mai consumato: il programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) stima che il 17% della produzione alimentare globale viene sprecata dai consumatori, e un altro 17% viene scartato lungo la filiera. In Italia, lo spreco alimentare vale 15 miliardi di euro all'anno, circa un punto di PIL. Senza considerare i costi ecologici correlati. Parallelamente ci sono ancora 733 milioni di persone che soffrono la fame, e la situazione va peggiorando con il sovrapporsi di crisi globali come le guerre e gli effetti del cambiamento climatico. Non solo: nel mondo stiamo assistendo a un costante aumento del fabbisogno di cibo di una popolazione in continua crescita. Secondo le Nazioni Unite, alla fine del secolo sfioreremo la soglia degli 11 miliardi di persone. Come garantire cibo per tutti? Un primo passo sarebbe quello di ridurre la quantità di cibo che finisce nella spazzatura. Oltre allo spreco alimentare (food waste), va considerata anche la cosiddetta “perdita alimentare” (food lost): quest’ultima si verifica prima che l’alimento raggiunga il consumatore - a causa di inefficienze nella produzione e trasformazione del cibo –, mentre lo spreco è responsabilità del consumatore stesso. A rimetterci è soprattutto l’ambiente: l’UNEP stima che tra l’8% e il 10% delle emissioni globali di gas serra siano associate al cibo prodotto e non consumato. L’agricoltura impiega più acqua di qualsiasi altra attività umana, per non parlare della perdita di biodiversità causata dalle coltivazioni. Entro il 2050, sfamare il pianeta comporterà di “distruggere la maggior parte delle foreste, eliminare migliaia di nuove specie, e rilasciare sufficienti gas serra da superare la soglia di sicurezza degli 1,5 °C rispetto alle temperature medie globali preindustriali”, come si legge nel rapporto Creating a Sustainable Food Future della Banca Mondiale e dell’Onu. E tutto questo per non nutrire nessuno, se poi il cibo viene buttato. Ridurre lo spreco alimentare è un obiettivo che mette d’accordo tutti. La domanda allora è: come raggiungerlo? Spesso siamo esposti alla retorica della responsabilità individuale, che ci dice che basterebbe fare un po' più attenzione a quanto cibo compriamo e a come lo usiamo. Certamente ognuno di noi deve fare la sua parte, ma davvero per risolvere un problema così grande sarebbe sufficiente la buona volontà dei singoli? Di cosa parliamo in questo articolo: - La responsabilità dello spreco non è (solo) dei consumatori - La lotta contro gli sprechi fatica a decollare - I danni collaterali della riduzione dello spreco alimentare
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Valencia: una catastrofe annunciata dall’inazione della politica. Siamo nell’era dei disastri seriali | Angelo Romano https://lnkd.in/dcmA34E9 95 morti. Tre giorni di lutto nazionale. Un numero imprecisato di dispersi. In alcune aree sono caduti più di 400 litri per metro quadrato, in un giorno le precipitazioni di solito registrate in un mese, nel Comune di Chiva la pioggia di un anno intero in sole otto ore. Per avere un termine di paragone, un temporale di intensità relativamente forte, di quelli che vediamo in estate, può arrivare a 40 o 50 litri per metro quadro. Questa volta le precipitazioni sono state 10 volte maggiori. Sono i numeri catastrofici (e purtroppo ancora provvisori) dell’evento meteorologico estremo che ha devastato Valencia e la Spagna orientale, centrale e meridionale martedì scorso. Le piogge torrenziali hanno causato la più grave alluvione del paese degli ultimi trent'anni, sprigionando torrenti di fango che hanno invaso città, paesi e villaggi, intrappolando le persone nelle loro case, abbattendo alberi e tagliando strade e linee ferroviarie. Nel 1996 morirono 87 persone in seguito alle piogge torrenziali che colpirono un campeggio sui Pirenei. Secondo gli esperti del clima, questi eventi stanno diventando più estremi a causa del cambiamento climatico. L'aumento delle temperature globali ha portato le nuvole a trasportare più pioggia. Commentando la catastrofe di Valencia, la presidente Ursula von der Leyen ha detto che “le alluvioni spagnole più letali degli ultimi decenni sono un altro straziante promemoria del fatto che l'Europa è impreparata alle conseguenze di un'atmosfera surriscaldata. Questa è la drammatica realtà del cambiamento climatico. E dobbiamo prepararci ad affrontarla”, ha dichiarato, precisando di aver chiesto di scrivere un piano completo per proteggere meglio gli europei dagli eventi climatici estremi. È vero, un problema che l'alluvione in Spagna ha messo in evidenza è l'incapacità delle infrastrutture moderne di far fronte a eventi alluvionali estremi. Come hanno affermato alcuni ricercatori, le nostre strade, i nostri ponti e le nostre vie sono stati costruiti per affrontare il clima del secolo scorso, non quello attuale. Ma porre l’attenzione sull’adattamento agli effetti del cambiamento climatico distrae dall’altro lato delle azioni politiche da intraprendere, e cioè ridurre le emissioni, accelerare la transizione ecologica, mantenere fede agli impegni presi anni fa. Sono anni che diciamo che “nella lotta alla crisi climatica gli ostacoli sono politici e non tecnologici”, che gli scienziati climatici sono furiosi con chi ci governa, che persegue altre strade e altre priorità politiche e industriali, nonostante le prove scientifiche fornite siano ormai chiare ed evidenti.