"Sentirsi soli è diventato un fenomeno collettivo e trasversale, per troppo tempo analizzato solo come assenza di una rete sociale. Eppure, soprattutto nei tempi in cui viviamo, consiste in molto di più. Si tratta anche di sentirsi senza sostegno e cura da parte dei nostri concittadini, dei datori di lavoro, della comunità, del governo. È essere distanti non solo da quelli a cui dovremmo sentirci vicini, ma anche da noi stessi. Non è solo la mancanza di sostegno in un contesto sociale o familiare, ma anche sentirsi politicamente ed economicamente esclusi”. Quella che viviamo oggi “è una solitudine che, pur includendolo, è molto più ampia del nostro desiderio di sentirci vicini agli altri, perché è anche una manifestazione del nostro bisogno di essere ascoltati, visti, accuditi, di avere la capacità di agire, di essere trattati in modo equo, con gentilezza. Un bisogno che risulta spesso disatteso nel rapporto reciproco tra individui...Il “noi” si è progressivamente frantumato in molteplici “io”, da cui è emersa una spasmodica fatica orientata a inseguire esclusivamente il benessere individuale...la cura richiede uno sforzo considerevole: significa doverne riconoscere la necessità, scendere a compromessi, partecipare attivamente. Non basta nemmeno stare con le persone: bisogna fare insieme... Le comunità, infatti, rischiano di essere luoghi esclusivi creati basandosi solo sul criterio della similitudine, ma riscoprire il valore sovversivo e radicale della cura per rimetterlo al centro del nostro agire comporta impegnarsi ad andare oltre. Significa avviare un movimento di avvicinamento reciproco che faccia superare la paura, scoprire cosa ci unisce e saper apprezzare le differenze, assumendosi, però, il rischio del conflitto insito nell’incontro con l’Altro, riscoprendolo come una parte imprescindibile dello stare in società e come motore del cambiamento. Una trasformazione che non implica il dover essere amici di tutti, ma riconoscere per ciascuno lo stesso diritto alla dignità, al dare e ricevere cura come vorremmo fosse per noi. Significa, infine, saper ammettere che spesso ciò che è meglio per la collettività non è ciò che sarebbe meglio per noi. La famiglia, quindi, deve sempre più essere concepita, come un insieme di persone che partecipano gli uni alle vite degli altri; una costruzione sociale e culturale che potremmo provare a basare non sull’amore di coppia ma sulla cura reciproca. Il problema è che oggi sembra essersi sviluppata una sorta di paura di entrare nello spazio altrui – e di lasciar penetrare l’Altro nel nostro. L’obiettivo a cui dovremmo rivolgerci, nonostante l’invito di diversi governi solo a procreare, è quello di generare parentele, trasferendo il concetto di cura a ogni contesto extrafamiliare, creando così nuove reti relazionali per ripensare le relazioni esistenti e rafforzarle"
art /The Vision DI GIUSEPPE PORROVECCHIO 5 DICEMBRE 2022
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9 mesiCiao Andrea, grazie per condividere - ti riferisci a gruppi di lavoro aziendale giusto?