Mentre si diffondeva la moda della corsa e delle scarpe da ginnastica la più grande azienda di abbigliamento sportivo ha puntato sulle cose sbagliate lasciando spazio a piccoli concorrenti #Educazionefinanziaria #Investimenti #FinintPrivateBank #consulenzafinanziaria #investiamo
Post di Angelo Catenacci
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👟NIKE, IL COVID, L'ABBUFFATA ONLINE E ... IL CROLLO Una storia che mi hanno commentato in tanti ma di cui devo raccontare la fine. Il colosso delle (più belle e tecnologiche) sneakers ha subìto un bruscò crollo in borsa. E nel 2024 ha già annunciato che il calo proseguirà. Colpa del prodotto? Solo in parte: Nike ha saturato il mercato (soprattutto il resell di lusso) con continue riedizioni delle Jordan e delle Dunk. Scarpe che hanno ormai perso la loro anima sportiva per diventare fashion. Ma la vera svolta ... è stata il covid. Per la prima volta, durante la pandemia, la gente si è convinta a comprare le scarpe online. Nike è stata la prima intravedere il business. Vendendo direttamente il prodotto (cosa che Nike tenta di fare dal 2005) si saltano gli intermediari. Per chi vende, come queste multinazionali, a "prezzo imposto", significa aumentare i ricavi del 100% su ogni pezzo venduto. Ma la pandemia è finita! La gente ha ripreso ad andare nei negozi, avendo imparato a comprare online ma restando pur sempre affezionata ai negozi. Nel frattempo, l'ingordigia del gigante del baffo (guidata dall'ex AD di EBay: uno che della vendita online è una specie di profeta) aveva portato ad interrompere gli storici rapporti di distribuzione con #footlocker e altri franchising puntando su un'app eccelsa per la vendita diretta e, persino, sulla customizzazione online del prodotto con Nike by you. Così, quando è ripreso il commercio "in presenza" Adidas e altre "piccole" realtà, che continuavano a stare negli scaffali, sono decollate e Nike, a causa della dematerializzazione del prodotto si è trovata scollata dal consumatore (che già aveva visto saturarsi il mercato). Ora lo #swoosh corre ai ripari. Riassume il vecchio AD che l'aveva portata nei grandi negozi e punta su ricerca e sviluppo (con il vecchio capo di #thenorthface ). Speriamo che il "baffo" torni a fare prodotti cool e, soprattutto, che torni vicina ai suoi follower ... reali. #nike #scienzemotoriecalcio #fabiogpoli #FootballUniversity
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Dicembre 2020 eravamo in 5 a credere nel progetto Be sneakers Dicembre 2024 siamo in 62 a continuare a credere nel progetto Be sneakers Bilancio 2020 40k Bilancio 2024 10 MLN +100% sul 2023 Nell’anno catastrofico della moda , dove tutti inneggiano aiuti da parte di non si sa chi , le aziende che nonostante la crisi continuano a crescere esistono , noi ne siamo la dimostrazione , siamo la dimostrazione che non è più tempo per improvvisati, che le crescite passano da alcune parole chiave : - investimenti costanti - diversificazione - affidabilità - dinamicità - valore aggiunto - umilta’ e consapevolezza - partnership Queste sono le skills sul quale lavoriamo tutti i giorni in Be sneakers e queste sono le skills per il quale tanti grandi brand continuano a darci fiducia. Grazie ! Buon 2025
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QUAL È LA MISURA DEL CORAGGIO? Case Study Nike 🏈👟 Torniamo a parlare di Brand Distance. Non crediate che sia una misura congelata nel tempo. La Brand Distance è un investimento che va saputo progettare, pianificare e coltivare. Un esempio? Nike e Kaepernick, 2018. Quando il gigante dello sportswear ha scelto come nuovo volto della campagna “Just Do It” un atleta che aveva diviso l’America inginocchiandosi contro il razzismo. Una mossa che ha fatto tremare Wall Street, ma ha ridefinito cosa significa Brand Bravery. La brand rischia TANTO con la campagna: “Believe in something. Even if it means sacrificing everything.” Sullo sfondo? Il volto di un #quarterback che ha perso il lavoro per essersi inginocchiato durante l’inno nazionale, protestando contro le ingiustizie razziali. TIMELINE DEGLI EFFETTI DI CAMPAGNA: Nell’immediato (5 brand inches): 🤜 Il mondo contro Nike: #NikeBoycott esplode 🤜 Scarpe bruciate sui social 🤜 Wall Street trema: -3% Nel breve periodo (3 brand inches): 👉 Le azioni si stabilizzano 👉 Dal boicottaggio al dibattito sul messaggio Nel medio periodo (1 brand inch): 💰 +$6 miliardi di valore di mercato 💰 Vendite online: +31% 💰 Una nuova generazione abbraccia il brand La lezione? 💪 A volte devi rischiare di allontanarti da qualcuno, per riuscire ad avvicinarti a tutti gli altri. #BrandStrategy #Marketing #NikeMarketing #BrandPurpose #BrandDistance #BrandBravery #sportswear #Kaepernick (Le fonti sono nei commenti)
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Mettiti in forma e scopri le ultime novità del settore per fare sport con le migliori garanzie! Compra Borsa da Palestra Adidas Nero al miglior prezzo e goditi una vita salutare!- Tipo: Busta - Colore: Nero - Genere: - Uomo - Unisex adulti - Composizione: Poliestere - Materiale: Poliestere
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Pensa se si fosse chiamata “Dimension Six”. Ho appena finito di leggere Shoe Dog, il libro scritto dal fondatore di Nike che racconta la storia dell’azienda dalla sua fondazione nel 1964 fino alla quotazione in borsa avvenuta nel 1980. È una storia di altri tempi, ma proprio per questo l’ho trovata incredibile. Ecco i punti che mi hanno colpito di più: - L’azienda nasce nel 1964 da un giovane imprenditore (Knight) e un coach affermato (Bowerman) con il nome di Blue Ribbon. L’idea di business era importare scarpe da corsa economiche dal Giappone, le famose Onitsuka Tiger. - La decisone di produrre scarpe avviene qualche anno dopo come forma di difesa alla minaccia da parte di Onitsuka di togliere l’esclusiva. - Le scarpe di produzione propria avevano bisogno di un logo. Lo commissionano ad un’amica studentessa di grafica. Ha creato lo swoosh, forse il logo più iconico di tutti i tempi! - Serviva anche un nome, le proposte erano “Dimension Six”, “Bengal” e “Falcon”. Per fortuna qualcuno all’ultimo ha tirato fuori “Nike” in onore della dea greca della vittoria. - Il primo atleta sponsorizzato da Nike fu la grande promessa del running Steve Prefontaine, che morì poco dopo in un incidente stradale a soli 24 anni. “Pre” fece in tempo a diventare una leggenda dell’atletica mondiale. È una storia che celebra i successi di Nike, ma soprattutto racconta delle tante difficoltà incontrate lungo il percorso: il problemi di liquidità, i contrasti con i fornitori, le complessità nel creare un prodotto, fino ad una battaglia con il fisco durata anni che avrebbe potuto mandare in bancarotta l’azienda. Dimensioni diverse, epoche diverse, ma problemi e sfide in cui ogni imprenditore, grande o piccolo, può trovare ispirazione. #shoedog #philknight #nike #businessbooks #entrepreneurship
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Siamo testimoni di un cambiamento significativo in casa Victoria’s Secret, che ha deciso di riaccendere l’interesse per il segmento dell'activewear con il rilancio della linea Vsx. Con una nuova campagna che vede protagoniste Gigi Hadid e Paloma Elsesser, il brand punta a diversificare e elevare la propria offerta di prodotti. Dopo un periodo di concentrazione sul core business della lingerie, la decisione di investire nuovamente nel settore sportivo è strategica. Ricordiamo che, al suo apice, la linea activewear generava vendite per 500 milioni di dollari. Oggi, il mercato dei reggiseni sportivi è diminuito, scendendo dal 16% al 4%. Questa nuova iniziativa segna un passo importante verso il recupero di una quota di mercato significativa. La collezione Vsx presenta innovazioni come un nuovo tessuto brevettato e una gamma di prodotti che include reggiseni sportivi, leggings, tute e trench, combinando funzionalità e moda. Tuttavia, la concorrenza è agguerrita, con marchi come Nike e Lululemon pronti a difendere il loro territorio. In un contesto di ristrutturazione e cambiamento, Victoria’s Secret ha recentemente nominato Hillary Super, ex CEO di Savage X Fenty, come nuovo dirigente. #VictoriaSecret #Activewear #Vsx #FashionInnovation #Sportswear #BusinessStrategy
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La filera dell’abbigliamento in Italia, dove si produce il lusso per i grandi brand di tutto il mondo, è in una crisi senza precedenti. Le motivazioni sono molteplici: dal calo di vendite mostruoso (secondo i dati ufficiali siamo al -7.4% per il primo semestre 2024) dovuto a mercati che si sono chiusi o contratti per motivi di guerre (Russia, Medio Oriente) in atto ad altri che non si sono più aperti post Covid come ci si aspettava (Cina), ma anche a motivazioni legate ad un equilibrio rispetto all’abbuffata immediatamente post Covid. Un altro problema enorme sono i prezzi finali aumentati anche del 50%, probabilmente per mettere una pezza ai primi cali di vendita per mantenere il fatturato (decisioni scellerate prese da fior fior di manager e reparti commerciali e di marketing), aumento che di fatto ha tagliato fuori una fascia di pubblico che è stata linfa dei prodotti lusso da sempre, quella dell’alta borghesia. Altro problema dietro questa crisi è la mancanza di fiducia che, a maggior ragione con prezzi così fuori controllo, scaturisce dagli ultimi scandali dei laboratori illegali alla base di moltissime produzioni del lusso che scoperchiano una modalità di sfruttamento da parte dei marchi che, se non sfocia nell’illegalità, crea situazioni di lavoro impossibili come tempistiche e fasce di prezzo da cui nessuno tira più fuori margini sufficienti per pagare anche tutte le certificazioni necessarie negli ultimi anni. Questa crisi sta portando a galla un sistema che non è stato mai preservato e valorizzato nonostante sia la seconda voce di PIL e problematiche collegate come quella del mondo delle scuole che formano solo designers (che non avranno sbocchi nè carriera o saranno sfruttati come carne da macello sostituibile negli uffici stile) tra l’altro senza preparazione di niente di tecnico, la cui involontaria ignoranza porterà alla messa in produzione di migliaia di prototipi inutili. Le riviste di moda che da anni danno spazio solo ai grandi marchi che pagano le pagine pubblicitarie, bloccando di fatto il ricambio generazionale. La reazione attuale sono i cambi isterici di direttori creativi (forse il problema è nato da quando abbiamo sostituito con questa parola quella di stilista) e decine di migliaia di persone in cassa integrazione, che le associazioni di categoria stanno combattendo per prolungare. Un mondo da reinventare per tanti buoni motivi la cui crisi però potrebbe uccidere un’intera filiera di saper fare prezioso. Ne ho parlato in diretta instagram la scorsa settimana con la presidentessa del tavolo nazionale filiera di Federmoda Doriana Marini , stasera alle h18 ci confronteremo sempre in diretta Instagram con uno dei giornalisti di settore che stimo di più, Antonio Mancinelli . PS: la foto mostra un sacchetto di filati tenuti da parte per il servizio rammmendo recentemente inaugurato da Gaia Segattini Knotwear S.B. Srl
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Seguire il proprio intuito, osare sfidare le convenzioni e fare scelte rivoluzionarie può portare a risultati straordinari. Ecco un chiaro esempio
CEO & Founder at NEXUS Marketing B2B Lab®| Autore del Libro: IL FUTURO DEL MARKETING B2B | Marketing Professor
Nel 1984, la Nike fece qualcosa di folle. Ha pagato una multa di 410.000 dollari solo per far indossare a Michael Jordan scarpe da ginnastica nere in campo. A quei tempi, l'NBA aveva una regola rigida che diceva che le scarpe indossate da un giocatore dovevano essere al 51% bianche. Se questa regola fosse stata infranta, ci sarebbe stata una multa di 5.000 dollari a partita. In una stagione di 82 partite, si arriva alla somma di 410.000. La Nike ha mandato Jordan in campo indossando un paio di scarpe da ginnastica nere e rosse che si sono immediatamente distinte dalle altre ai piedi di tutti i giocatori. Queste scarpe sono state la prima edizione di quelle che oggi conosciamo come Air Jordan 1. Quando la gente ha iniziato a parlare di come "l'NBA abbia multato un tizio perché indossava scarpe incredibilmente belle", Nike ha capito che la mossa di marketing stava dando i suoi frutti. Tutta questa polemica ha reso Jordan l'argomento di discussione della città per una settimana circa, e ha catapultato le vendite della Nike a vette pazzesche. Alla fine della stagione, Mike Jordan è diventato il rookie dell'anno NBA. Nike ha venduto oltre 126 MILIONI di Jordan 1. Ancora oggi le Jordan 1 sono la prima scarpa a cui pensi quando senti la parola "Nike" associata al basket. L'anno scorso, l'intero marchio Jordan ha fatturato oltre 6,6 miliardi di dollari, MJ ottiene oltre 1,5 miliardi di dollari in royalties a vita. Conoscevo questa storia? Cosa ne pensi? ===> NEXUS Marketing B2B Lab® #brand #marketing #business
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#IP e #Sportswear: il caso #adidas ⛹🏻♂️ 📌 Adidas, famosa in tutto il mondo per il suo #marchio a #trestrisce, ha recentemente avviato un giudizio, presso il tribunale dell'#Oregon, sostenendo che l’azienda di #sportswear Aviator Nation avrebbe violato gli #accordi sottoscritti tra le parti, vendendo capi di #abbigliamento che riproducevano quattro e cinque #strisce, e, per questa via, generavano #confusione presso il #pubblico. 📌 La battaglia legale ha visto il colosso tedesco dello sportswear accusare il #brand californiano sia di #violazione dei diritti sul marchio, sia di violazione delle previsioni #contrattuali. La disputa, incentrata sull'annosa questione dell’uso di #strisce nei capi di vestiario, ha sollevato temi rilevanti in materia di #proprietàintellettuale, con particolare riferimento alla disciplina dei marchi. 📌Non è la prima volta che #adidas si scontra con Aviator Nation. Ed infatti, le parti hanno già firmato tre accordi separati: nel 2012, nel 2013 e, infine, nel 2022. In particolare, la transazione del 2022 è il risultato di una causa intentata da adidas nel 2019. 📌 Aviator ha risposto all’accusa di adidas, dichiarando che il comportamento della società tedesca costituirebbe un tentativo di #monopolizzare l'uso delle strisce come elemento decorativo, una pratica ritenuta #ingiusta e #dannosa per la #concorrenza e i #consumatori. 📌 La controversia si inserisce in un contesto legale più ampio e complesso che vede le strisce protagoniste assolute. Vale la pena menzionare, tra le altre, la storica decisione della #CortediGiustizia del 10 aprile 2008, nella quale la #CGUE ha stabilito che, una volta registrato un marchio, il principio di #disponibilità generale del #segno non può più essere utilizzato per escludere la #contraffazione. Di conseguenza, anche l'uso di #due strisce potrebbe creare un nesso confusorio con il marchio di titolarità di adidas. 📌 In applicazione di tali principi, il 17 febbraio 2016 la CGUE ha confermato la decisione della #GeneralCourt, accogliendo l'opposizione di adidas contro la domanda di marchio comunitario della società #ShoeBranding per un marchio consistente nella rappresentazione di due strisce su una scarpa. D’altro canto, non sempre la tutela delle #trestrisce è agevole: ed infatti recentemente adidas si è vista sconfitta nei giudizi contro il brand di moda americano #ThomBrowne. 📌 La #saga di adidas mette in luce la necessità di stabilire un #quadro normativo #chiaro e applicabile, in grado di bilanciare i #diritti dei titolari dei marchi con la necessità di garantire #concorrenza leale sul mercato. Indubbiamente, la capacità di #proteggere il proprio marchio senza ostacolare indebitamente l’#innovazione è essenziale per un #mercato dinamico e #giusto. PwC Italy PwC TLS Andrea Lensi Orlandi, llm Federica Pezza, LL.M. Maria Cristina Michelini Francesca Caliri Valentina Anna Buccarelli Giulia Gialletti
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La notizia della bancarotta di Le Coq Sportif non è solo un fatto di cronaca economica, ma uno spunto di riflessione su come anche i giganti possano inciampare. Ricordo il mio viaggio studio a Parigi nel 2011: fu lì che acquistai il mio primo paio di scarpe Le Coq. Essenziali, retrò, piene di carattere. Quel coq ricamato sembrava un emblema di stile. Eppure, oggi, quel fascino e quella qualità non sono bastati per reggere il passo di un mercato sempre più competitivo e in evoluzione. Come si arriva a questo punto? E soprattutto, c’è ancora speranza di rinascita? Essere iconici non è abbastanza. Bisogna restare rilevanti, tenendo insieme coerenza, evoluzione e rilevanza culturale. Questa storia mi ha fatto riflettere su tre punti: 1. Essere fedeli alle radici è fondamentale, ma serve evolversi. Le Coq Sportif è sinonimo di tradizione, ma il mercato di oggi premia chi sa reinterpretare il passato in chiave moderna. Pensiamo ad Adidas con le Stan Smith o a New Balance, che hanno trasformato il retrò in un trend irresistibile per Gen Z e Millennial. 👉 Cosa manca? Una narrazione capace di parlare alle nuove generazioni, senza tradire l’essenza del brand. 2. Le partnership non bastano più. Il brand ha vestito nazionali di rugby, leggende come Yannick Noah e club storici come l’AS Saint-Étienne. Ma oggi non basta “sponsorizzare”: serve coinvolgere il pubblico. 👉 Cosa avrebbe potuto fare Le Coq? Sfruttare il suo fascino retrò e l’autenticità per creare una community forte, con iniziative che andassero oltre il campo da gioco: magari collaborazioni con creator, progetti di co-design o campagne che coinvolgessero direttamente i consumatori storici e futuri. 3. Anche una crisi può diventare un’opportunità. La bancarotta non è necessariamente la fine. Con una comunicazione trasparente e strategica, potrebbe essere l’inizio di una nuova era. 👉 Cosa farei? Racconterei questa fase come una storia di resilienza, trasformando ogni prodotto, ogni collezione, in un simbolo di rinascita. Perché non collaborare con creator che condividano i valori del brand e lancino campagne simboliche per il rilancio? Avevi già letto la notizia? Cosa ne pensi?
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