Indubbiamente i dati macroeconomici andrebbero letti in modo non fazioso. Il nuovo Istituto Luce propone tutti i giorni attraverso i canali della RAI i radio e i telegiornali a "reti unificate" dove vengono celebrate le qualità di statista di Giorgia Meloni, e l'Italia appare come un vero e proprio Eldorado di felicità e benessere! Purtoppo il rapporto dell’Ocse sulle Prospettive dell’occupazione nel 2024, fotografa una situazione del tutto diversa. Se è vero come è vero che i dati sull'occcupazione in Italia fanno registrare un miglioramento, è altrettanto vero che l'occupazione di qualità (stabile) sta crescendo in misura sensibilmente inferiore rispetto alla media Ocse. Inoltre, l'occupazione giovanile e quella femminile restano indietro rispetto alla media generale italiana, ed il potere d'acquisto dei lavoratori rimane ancora al di sotto dei livelli pre-pandemia, mentre la povertà assoluta continua ad aumentare fra i lavoratori dipendenti. Nel mentre, l'assegno di inclusione oltre che rivelarsi in molti casi inefficace, non raggiunge effettivamente tutti coloro che ne avrebbero diritto. Insomma il quadro che se ne ricava è davvero plumbeo per il nostro paese.
Post di Angelo Del Grosso
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Istat, le diseguaglianze dimenticate Il tasso di occupazione femminile è il più basso d’Europa. E la situazione del Mezzogiorno appare critica. Una politica seria di coesione sociale e territoriale è quanto mai urgente Ascolta l'articolo Un interessante articolo di Linda Laura Sabbadini su #LaRepubblica “Abbiamo avuto grandi problemi nel recupero della caduta del Pil tra il 2008 e il 2013. Siamo riusciti a tornare al livello del 2007 solo nel 2023. E allora basta con la retorica che ci vede esaltare ad ogni momento il tasso di crescita del nostro Paese, come superiore agli altri. Apriamo gli occhi. Contestualizziamola, e guardiamo la realtà basata sulle statistiche ufficiali. È vero, il tasso di crescita è stato superiore negli ultimi tre anni a quello degli altri Paesi, ma ricordiamoci che la nostra caduta precedente era stata maggiore. Tanto è che in 15 anni abbiamo accumulato un divario di crescita di oltre 10 punti con la Spagna, 14 con la Francia e 17 con la Germania. Ce lo dice l’Istat nel Rapporto Annuale presentato dal presidente facente funzioni Francesco Chelli. Già nel terzo trimestre del 2021 avevamo raggiunto il livello del Pil del 2019. Questo ritardo lo hanno pagato i #lavoratori e le #lavoratrici, le cui retribuzioni lorde annue medie per dipendente sono aumentate meno di quelle europee, la metà, tra il 2013 e il 2023 (+16% contro +30,8% dell’Ue27 e +35% della Germania). Il potere di acquisto delle #retribuzioni lorde è diminuito nei 10 anni del 4,5%, mentre è cresciuto in Europa del 3%, in Germania del 5,7%. E la dinamica è stata peggiore per noi anche nell’ultimo biennio (-6,4%). E così, siamo gli unici ad avere un livello medio di retribuzioni inferiore al 2013. In passato la differenza tra i livelli di #povertà di lavoratori dipendenti e indipendenti non era molto alta. Ora lo è, e non è un caso. Le #famiglie operaie hanno raggiunto il 14% di incidenza di povertà assoluta, con livelli di crescita sostenuti dal 2012 in poi, anno di raddoppio della povertà assoluta. Il problema del #lavoro #povero non è una invenzione sindacale, né vittimismo, e deve essere considerato una grave criticità del Paese, insieme alla elevata povertà assoluta e al basso tasso di #occupazione, soprattutto #femminile e del Mezzogiorno. L’Istat documenta bene che una quota consistente di #dipendenti, piuttosto stabile nel tempo, si colloca in aree a bassa #retribuzione, al di sotto della soglia annuale di 12 mila euro lordi. Un’ampia porzione di dipendenti, 9 milioni 800 mila ha avuto bassa retribuzione almeno in un anno tra il 2015 e il 2022, il 59% delle persone con esperienze di lavoro dipendente nei 7 anni. E sono cresciuti di 466 mila i lavoratori a bassa retribuzione dal 2015, raggiungendo 4 milioni 400 mila. Sono soprattutto #giovani, #donne e lavoratori del Mezzogiorno i segmenti che presentano una più bassa retribuzione.” #flpnews
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"I #salari reali in Italia, secondo l’Ocse, erano già scesi del 2,9% dal 1990 al 2020. L’alta #inflazione generata dalla guerra in Ucraina e della veloce #ripresa post Covid aggrava un problema che avevamo già. Se fino a questo punto i protagonisti della storia sono due — i salari e i #prezzi — per capire che cosa stia succedendo bisogna introdurre un terzo attore: la #produttività. La quantità di prodotto che si riesce a sfornare nell’unità di tempo. I bassi salari sono la spia di un #malessere profondo dell’economia. Che derivano da una #crescita anemica della produttività totale dei fattori. I salari fermi sono la più grande ferita nel modello di #specializzazione produttiva dell’Italia, basata sulle piccole e medie imprese. Con un impatto inevitabile anche sulla #demografia. Con una forza lavoro anziana e poco istruita, per una scarsa percentuale di #lavoratori con #istruzione avanzata, ne risente anche la produttività. A ciò si aggiunga un mercato dei #capitali poco dinamico e la ridotta dimensione delle imprese anche per sfuggire ai radar del #fisco, generalmente poco aperte per questo all’#innovazione tecnologica e dunque al valore aggiunto che ciò genera sulla produttività, retaggio anche di un #capitalismo familiare affetto dal dogma del #controllo."
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Credo di non dire nulla di nuovo ritornando sull'annosa questione salariale italiana, i redditi reali della popolazione sono al palonda decenni, nonostante l'ultima tornata di chiusure dei CCNL che ha visto sensibili aumenti in molte categorie. Il livello di reddito è una componente fondamentale in un progetto di rilancio del sistema economico poiché è prodromico a consumi e investimenti e, di qui, alla crescita. C'è il problema della produttività, però, poiché le remunerazioni non possono crescere per decreto, con buona pace dei fautori del "salario minimo", ma devono essere sostenibili e qui nasce la necessità di un cambio di paradigma, anche dopo aver valutato i dati WTO sull'export e sull'efficienza dell'industria italiana che vedono una vera dicotomia tra "campioni" nella medio-grande impresa e "zavorre" soprattutto nella miriade di micro-imprese nel Paese. Un sistema a "basso" costo del personale non è, infatti, sostenibile nel lungo periodo perché va a inficiare la domanda interna che è lo stabilizzate del sistema ma la bassa produttività non permette di finanziare aumenti significativi, un vero uroboro insomma. Ma, forse, una via d'uscita per riagguantare il circolo virtuoso di crescita c'è. Ne parlo nel mio articolo su InTerris #salari #risparmio #investimenti #produttività #crescita #Pil #Italia https://lnkd.in/dBkkbTTN
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SALARI AL PALO: LE IA POSSONO ESSERE LA RISPOSTA? In Italia continua a tenere banco il problema dei salari. Pur essendosi ora assestata, l’ondata inflattiva del 2023, che si è riversata soprattutto su energia e altri beni di prima necessità, ha scosso ulteriormente il precario equilibrio economico della classe media italiana, sempre più in crisi. Per rendere un’idea della gravità del problema basti pensare che nei Paesi OCSE la crescita media dei salari nell’ultimo trentennio è stata di oltre il 30%, mentre in Italia raggiunge a stento l’1%. Se poi consideriamo che la moneta comune ci ancora necessariamente ad un’inflazione che si accresce proporzionalmente tra i vari Stati della zona Euro, ecco che non serve un economista per comprendere la gravità del problema. Continua a leggere... https://lnkd.in/dwEdin4b
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Spiega Tommaso Monacelli, ordinario di Macroeconomia all’università Bocconi di Milano, che «i bassi salari sono la spia di un malessere profondo dell’economia. Che derivano da una crescita anemica della produttività totale dei fattori. I salari fermi sono, a mio avviso, la più grande ferita nel modello di specializzazione produttiva dell’Italia, basata sulle piccole e medie imprese. Con un impatto inevitabile anche sulla demografia. Con una forza lavoro anziana e poco istruita, per una scarsa percentuale di lavoratori con istruzione avanzata, ne risente anche la produttività. A ciò si aggiunga un mercato dei capitali poco dinamico e la ridotta dimensione delle imprese anche per sfuggire ai radar del fisco, generalmente poco aperte per questo all’innovazione tecnologica e dunque al valore aggiunto che ciò genera sulla produttività, retaggio anche di un capitalismo familiare affetto dal dogma del controllo».
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"Nel 2023 i #salari reali sono stati più bassi del 1990. Però non ci sono tensioni sociali e rivendicazioni di massa. Colpa anche dell'alta #ricchezza netta delle famiglie che dà un cuscinetto economico a #Millennial e #GenZ. Seppur con #disuguaglianze. Nel 2022 la ricchezza netta delle famiglie italiane era pari a 10.421 miliardi di euro, cosa che colloca il nostro Paese fra i primi al mondo per #patrimonio privato. Questa ricchezza, costituita da prodotti finanziari, immobili, liquidità e altri tipi di #investimenti, funge da cuscinetto economico per le #nuovegenerazioni, alle prese con un #mercato del #lavoro più precario e povero. Molti #giovani sanno di poter contare sul sostegno materiale di genitori e nonni, con un netto alleviamento della pressione sociale-economica. Infatti attraverso le #rendite e le #eredità lasciate dalle vecchie generazioni una quota della popolazione ha potuto acquistare o ereditare un’abitazione, un veicolo o permettersi di colmare momentaneamente il calo degli #stipendi. Questo patrimonio che si sposta tra generazioni purtroppo non coinvolge l’intera popolazione a causa delle gravi disuguaglianze economiche presenti in Italia, dove «la ricchezza nelle mani del 5 per cento più ricco degli italiani, titolare del 41,7 per cento della ricchezza nazionale netta, a fine 2021 era superiore a quella detenuta dall’80 per cento più povero, fermo al 31,4 per cento». Ma è stato sufficiente per placare in questi anni le rivendicazioni di massa, specialmente nelle nuove generazioni. Inoltre a partire dagli Anni 90 le grandi organizzazioni di massa (partiti e #sindacati) si sono ridotte e liquefatte, alimentando un #individualismo estremo che porta molti cittadini a sentirsi impotenti di fronte al #declino italiano. Ormai la reazione di milioni di persone rimane confinata a livello personale, spesso sfogata unicamente tramite i #socialnetwork e non nelle piazze, sede storica delle rivendicazioni popolari."
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"Se nel mondo le #disuguaglianze interne dei #redditi, da #lavoro e da #capitale, aumentano di anno in anno, la situazione in Italia è ancora peggiore. Tra il 2020 e il 2023 i #dividendi delle società italiane quotate in borsa sono aumentati in termini reali dell’86 per cento, mentre nello stesso periodo le buste paga dei #dipendenti del settore privato si sono contratte di quasi il 13. L’Italia, poi, è l’unico paese europeo in cui gli #stipendi reali negli ultimi trent’anni sono praticamente rimasti uguali. La perdurante moderazione salariale è un problema macroscopico del #mercato del lavoro italiano. Altri problemi strutturali riguardano i ritardi occupazionali rispetto ad altre economie avanzate, la bassa qualità lavorativa di #giovani e donne, il diffuso ricorso a forme di lavoro atipico che determina marcate disuguaglianze retributive e amplia le fila dei #workingpoor."
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ECONOMIA: OSNATO (FDI), NUMERI ECCELLENTI SU SALARI E OCCUPATI (AGI) - Roma, 10 set. - "L'estate sta finendo, ma non il flusso di dati che smentiscono la narrazione delle opposizioni su un presunto declino italiano. Oggi continua la sequela di buone notizie sul fronte dei redditi e del potere d'acquisto, grazie a salari in netta crescita e inflazione in ritirata, e registriamo anche un nuovo massimo storico sul fronte degli occupati. Checché ne dica la sinistra dei salotti, dopo gli anni bui dei loro esecutivi, la 'qualità del lavoro' e' in netto aumento". Lo dichiara Marco Osnato - deputato di Fratelli d'Italia, presidente della Commissione Finanze e responsabile economico del partito - a commento dei dati Istat sulla media delle retribuzioni orarie contrattuali (+3,1% rispetto alla prima metà del 2023, a fronte di una variazione dell'indice dei prezzi al consumo di appena lo 0,9%) e gli occupati (superata la barriera dei 24 milioni, con un tasso al 62,3%). "Questi numeri dimostrano che abbiamo bisogno non di feticci ideologici, come il salario minimo, ma di soluzioni concrete, come quelle che stanno arrivando", prosegue l'esponente di FdI. "E' anche evidente che, grazie al nostro impegno per un fisco più leggero ed efficiente, le imprese hanno più risorse per pagare i dipendenti. Se a questo aggiungiamo il taglio del cuneo, nonché la detassazione di premi e straordinari, otteniamo quel mix con cui sostenere i consumi e rilanciare la produttività", conclude Osnato. #salari #redditi #occupati #lavoro
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Tecnologia e globalizzazione hanno contribuito a indebolire occupazione e salari. Ora bisogna creare un ponte tra l’innovazione e le competenze di operai e impiegati
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Una amara verità. Abbiamo un governo assente.