📢Secondo il #TribunaleDiVenezia la descrizione costituisce strumento avente natura cautelare solo in senso lato, in quanto è funzionale non alla tutela diretta del diritto della parte richiedente, ma alla tutela del suo diritto alla prova da esercitare in un successivo processo. ➡️ Poiché lo strumento non comporta la sottrazione alla controparte di disponibilità della sua sfera giuridica, comportando solo acquisizione di informazioni, che vengono trattate sotto controllo giudiziale, e che soprattutto saranno trattate nel merito, è evidente che il requisito del fumus boni iuris, destinato a più approfondita trattazione nel merito, può arrestarsi, ai fini della descrizione, alla verifica della sussistenza di titoli di privativa e della verosimiglianza della violazione, alla luce degli elementi che parte ricorrente, secondo diligenza, può acquisire nella sua posizione di extraneus alle attività produttive e commerciali di controparte. ⚠️Quanto al periculum in mora, anche questo aspetto deve muovere dalla considerazione della funzionalità della misura alla tutela giudiziale del diritto, la quale può essere sempre attivata entro i termini di validità della privativa e/o di prescrizione del diritto al risarcimento. ⚖️L’istanza cautelare aggiuntiva (inibitoria con penale) proposta per la prima volta all’udienza, si pone come domanda cautelare nuova e inammissibile: nonostante l’assenza di preclusioni nel procedimento cautelare, il principio per cui la domanda determina il perimetro del procedimento non può essere travalicato. 🖋Massima a cura di Raffaella Gambardella. #Giurisprudenza #GiurisprudenzaDelleImprese #Industriale https://lnkd.in/dMcgeNYD
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Non verificare la #PEC nella consapevolezza che possa maturare un’opposizione ad un #decreto #ingiuntivo, “è circostanza che di per sé denota negligenza con le dirette conseguenze in termini di configurabilità della violazione di cui all’art. 26 comma. 3”. E cioè “il mancato, ritardato o negligente compimento di atti inerenti al mandato o alla nomina, quando derivi da non scusabile e rilevante trascuratezza degli interessi della parte assistita”. Lo ha chiarito il Consiglio nazionale forense con la sentenza n. 134/2024, depositata nei giorni scorsi, che ha respinto il ricorso di un #legale #sospeso dalla professione per otto mesi, dal Consiglio Distrettuale di Disciplina di Brescia, per non essersi accorto della notifica PEC di una opposizione a decreto ingiuntivo, il cui giudizio si era poi concluso nella contumacia dell’opposto. Il professionista si era difeso sostenendo, tra l’altro, che la mancata visione della PEC di notifica era stata una “mera svista”. Per il Collegio la definizione di mera “svista”, rappresenta soltanto “un artificio linguistico dietro cui celare il comportamento negligente, documentalmente provato”. Inoltre, lo stesso ricorrente aveva negato più volte al proprio assistito l’esistenza di un giudizio di opposizione “così continuando a fornire unafalsa rappresentazione della realtà fattuale, ma soprattutto dichiarando l’incapacità di assumersi la responsabilità della c.d. svista”. Si tratta di una negligenza, prosegue la decisione, che nasce dal “disinteresse” nei confronti delle sorti del cliente, ed è certamente rilevante e si pone “al di sotto della diligenza media”, proprio perché al ricorrente era chiaro che si sarebbe potuto trovare innanzi ad una opposizione e dunque “avrebbe dovuto usare il massimo della diligenza nella verifica di eventuali PEC”. Tale condotta configura anche la violazione degli articoli 9,10 e 12 del codice deontologico in quanto “il disvalore del comportamento negligente è fornito proprio dalla mancata costituzione nel giudizio di opposizione”. Infine, i “consigli” che il ricorrente ha veicolato nei confronti dell’assistito, sono tutti connessi al tentativo di celare le effettive responsabilità derivanti dalla “svista” ed appare incomprensibile, prosegue il Cnf, “l’insistere sull’idea che si possano fornire consigli frutto di confusione e ritenere che ammettere la confusione o la svista possa scriminare un comportamento negligente e superficiale”. Mentre è corretta la determinazione della sanzione tenuto conto “anche e non solo dell’entità del danno, a nulla rilevando le scelte successive del difensore subentrante e la proposizione dell’appello con relativo esito”. È, infine, “incomprensibile appare il richiamo allo stato di insolvibilitàdel debitore”. art Francesco Machina Grifeo (link https://lnkd.in/dnHGgf9D) 👉 Scegli NT+, scrivimi al seguente link https://lnkd.in/deUpc6dz
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📌 Termine a comparire nel giudizio di appello a seguito dell'introduzione della modifica all'art. 601, comma 3, c.p.p., introdotta dall'art. 34, comma 1, lett. g), D.Lgs. n. 150/2022 e sull’applicabilità della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità nel delitto di rapina ⚖️ La Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno recentemente affermato il principio di diritto secondo cui "la disciplina dell’art. 601, comma 3, cod. proc. pen., introdotta dall’art. 34, comma 1, lett. g), d. lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che individua in quaranta giorni il termine a comparire nei giudizi di appello, è applicabile ai soli atti di impugnazione proposti a far data dall’1 luglio 2024". ✅ A sostegno di tale principio, si pone l'interpretazione secondo cui "se la lettura delle norme transitorie succedutesi proposta dall'orientamento che ritiene entrata in vigore la sola parte della novella dell'art. 601 c.p.p. riguardante il termine dilatorio di giorni 40 fosse corretta, dovrebbe - per medesime ragioni sistematiche - derivarne anche all'entrata in vigore delle residue disposizioni novellate di cui al predetto articolo 601, disciplinanti la possibilità di disporre la trattazione orale di ufficio, le forme e i termini degli avvisi e le modalità di accesso alla trattazione "cartolare" oppure a quella "partecipata", al contrario tutte sicuramente differite perché senz'altro incompatibili con l'art. 23-bis, comma 4, delle disposizioni emergenziali, la cui operatività risulta pacificamente prorogata". 💡 Le Sezioni Unite hanno altresì enunciato i seguenti principi di diritto, in ordine alla compatibilità dell'attenuante del danno di lieve entità patrimoniale con il delitto di rapina: - «ai fini del riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'art. 62, primo comma, n. 4, c.p., il momento in cui deve prendersi in considerazione l'entità del danno è quello della consumazione del reato, in quanto il danno non può divenire di speciale tenuità in conseguenza di eventi successivi»; - «ai fini della configurabilità, in relazione al delitto di rapina, della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, non è sufficiente che il bene mobile sottratto sia di modestissimo valore economico, ma occorre valutare anche gli effetti dannosi connessi alla lesione della persona contro la quale è stata esercitata la violenza o la minaccia, attesa la natura plurioffensiva del delitto de quo, che lede non soltanto il patrimonio, ma anche la libertà e l'integrità fisica e morale della persona aggredita per la realizzazione del profitto, con la conseguenza che, solo ove la valutazione complessiva dei pregiudizi arrecati ad entrambi i beni tutelati sia di speciale tenuità, può farsi luogo al riconoscimento della predetta circostanza attenuante».
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La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24607 del 13 settembre 2024, ha stabilito che la prova dell'esistenza di un contratto e della sua sottoscrizione è possibile senza l'originale solo se la parte interessata dimostra di averlo perso senza colpa. ⭕ Disconoscimento della Fotocopia e della Sottoscrizione Se il disconoscimento riguarda solo la conformità della copia all'originale, è possibile dimostrarla con mezzi alternativi. Se invece riguarda anche la sottoscrizione, è necessaria la verificazione sull'originale, salvo che questo sia andato perduto senza colpa, nel qual caso è ammessa la prova per testimoni o presunzioni. ⭕ Implicazioni e Conclusioni Il principio espresso dalla Cassazione ha importanti ripercussioni pratiche, soprattutto per chi deve provare l'esistenza di un contratto in giudizio. La corretta conservazione dei documenti rimane cruciale per evitare complicazioni legali. ▶️ Articolo completo: https://lnkd.in/dp5smhg7 #DirittoCivile #Cassazione #Contratti #ProvaDocumentale #Giurisprudenza #Legge #CessioneQuote #VerificaFirma #Disconoscimento #TutelaLegale #Sentenza #DirittoPrivato #DocumentazioneLegale #ValiditàContrattuale #ProvaTestimoniale STUDIO LEGALE GURRADO Via Passarelli, 61 Matera, Italia 75100 Mail: info@studiolegalegurrado.it Sito Web: https://lnkd.in/dHQ6wD-r
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Importante ed interessante articolo !! Bravissimo
Diritto Societario | Diritto Commerciale e Contratti d'Impresa | Contenzioso Bancario | Diritto Fallimentare e Concorsuale | Diritto della Proprietà Industriale ed Intellettuale | Diritto d’Autore
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24607 del 13 settembre 2024, ha stabilito che la prova dell'esistenza di un contratto e della sua sottoscrizione è possibile senza l'originale solo se la parte interessata dimostra di averlo perso senza colpa. ⭕ Disconoscimento della Fotocopia e della Sottoscrizione Se il disconoscimento riguarda solo la conformità della copia all'originale, è possibile dimostrarla con mezzi alternativi. Se invece riguarda anche la sottoscrizione, è necessaria la verificazione sull'originale, salvo che questo sia andato perduto senza colpa, nel qual caso è ammessa la prova per testimoni o presunzioni. ⭕ Implicazioni e Conclusioni Il principio espresso dalla Cassazione ha importanti ripercussioni pratiche, soprattutto per chi deve provare l'esistenza di un contratto in giudizio. La corretta conservazione dei documenti rimane cruciale per evitare complicazioni legali. ▶️ Articolo completo: https://lnkd.in/dp5smhg7 #DirittoCivile #Cassazione #Contratti #ProvaDocumentale #Giurisprudenza #Legge #CessioneQuote #VerificaFirma #Disconoscimento #TutelaLegale #Sentenza #DirittoPrivato #DocumentazioneLegale #ValiditàContrattuale #ProvaTestimoniale STUDIO LEGALE GURRADO Via Passarelli, 61 Matera, Italia 75100 Mail: info@studiolegalegurrado.it Sito Web: https://lnkd.in/dHQ6wD-r
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Già secondo Victor Hugo “aver a che fare con gli uomini di legge comporta tali stranezze ed oscurità che, anche se assolti, ci si sente evasi...”. Cass. n. 15719/2024, in una strana vicenda, ci illumina sulla falsa coincidenza: errore = inadempimento = responsabilità. Il cliente contesta al proprio avvocato penalista di non aver chiesto tempestivamente l’ammissione dei testi, di non averlo avvisato dell’udienza (ove l’imputato avrebbe almeno fornito la sua versione dei fatti) e di essersi fatto sostituire alla discussione da una collega non adeguatamente preparata, tanto che il giudice penale emette una condanna a 7 anni di reclusione per violenza sessuale, che comporta una notevole afflizione carceraria oltre che un discredito morale. Insomma, una solida conduzione della difesa, che si traduce anche in un appello inutile, stante le decadenze probatorie del pruno grado. Professionista da scorticare vivo, a leggerla così. C’è errore? Sì, perché l’avvocato ha omesso attività imposte dal codice e dalle regole della professione (art. 1176 c.c.). C’è inadempimento? Sì, perché il professionista versa in colpa: la prestazione contrattuale chiesta dal cliente era possibile e lui non ha addotto valide giustificazioni (art. 1218 c.c.). C’è responsabilità risarcitoria? No, perché il giudice civile al quale si rivolge il cliente-vittima accerta una vicenda più articolata di quella esposta dal cliente (quando si dice: privilegiare la concisione…): la sentenza penale era stata poi annullata dalla Corte di Cassazione; nel nuovo giudizio di merito furono sentiti l’imputato ed i testi come da lui richiesto, ma alla fine arrivò comunque un’altra condanna penale, semplicemente a 6 anni e mezzo di reclusione anziché a 7. L’inadempimento (certo e grave) del penalista fu dunque irrilevante rispetto al pregiudizio affermato dal cliente, che perde la causa civile perché quel danno …aveva un’altra causa: si sarebbe verificato comunque (artt. 1221-1223 c.c.). Principio beninteso applicabile a molte altre “evasioni” contrattuali, in generale. Assai spesso le cause si giocano sull’indagine delle cause (dei danni). Per evadere al meglio (le pratiche).
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Fermo restando che ormai la giurisprudenza di legittimità esige in tema di chiamate in reita che la valutazione inerente alla credibilità ed attendibilità soggettiva del dichiarante, quale prius logico per poter fare “affidament” sulle propalazioni rilasciate ed porle eventuale a base della statuizione finale, deve necessariamente essere vagliato congiuntamente alla attendibilità oggetto del dichiarante medesimo, in quanto tali profilo sono naturaliter connessi da un legame di pregiudizialità, tale che i vizi in tema di contraddittorietà argomentiva-logica delle dichiarazioni inficiano di conseguenza la complessiva attendibilità del teste non limitata tout court al solo profilo soggettivo. Pertanto, in tema di chiamate in reità e anche in correità, diventa quanto mai opportuno che il giudicante faccia riferimento ai parametri di valutazione della prova di cui all’art.192 co.3 e 4 del codice penale di rito, atteso che si tratta pur sempre di dichiarazione eteroaccusatorie rilasciate dai soggetti processuali ivi contemplati, e rispetto ai quali il convincimento del giudice deve, alla luce della loro attendibilità sia ab intrinseco che estrinseco, formare oggetto di un giudizio unitario e non frazionato, la cui tenuta probatoria sia corroborata dalle complessive emergenze processuali.
Creatore ed amministratore del blog penalistico Terzultima Fermata, già condirettore delle riviste specializzate Percorsi Penali e Sistema 231
Dal blog #Terzultima_Fermata. La Corte di cassazione fa il punto sul percorso che è tenuto a compiere il giudice che prenda in considerazione una chiamata d'accusa. Una puntualizzazione spicca su tutte: il dichiarante e la sua dichiarazione devono apparire credibili in se stessi, prima e a prescindere dalla successiva fase della verifica dei riscontri esterni; questi ultimi, pertanto, non possono essere utilizzati per "sanare" una credibilità traballante o addirittura inesistente. Sembrerebbero richiami banali e scontati ma la casistica dimostra che spesso li si lascia da parte. https://lnkd.in/dZ5Epb6P
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Interessante articolo !! Complimenti
✅ La risposta è SI. 📌 Occorre preliminarmente evidenziare che le fattispecie in esame sono strutturalmente e teologicamente non coincidenti, in quanto, ai fini del riconoscimento della prima (art. 73 co. 5 DPR 309/90), il giudice è tenuto a valutare i mezzi, le modalità e circostanze dell'azione nonché la quantità e qualità della sostanza stupefacente mentre, con riferimento alla seconda (art. 131 bis c.p.), dovrà essere vagliata la condotta, il grado di colpevolezza, l'entità del danno e del pericolo, nonché il carattere non abituale della condotta; 📌Passando al caso deciso dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 37659/2024 deve rilevarsi che il mancato riconoscimento della causa di non punibilità invocata dal reo è dipeso da differenti circostanze: 1) il quantitativo non modesto di sostanza stupefacente; 2) le modalità della condotta commessa in orario serale e in luogo noto per essere frequentato da spacciatori; 2) le revoca del beneficio della messa alla prova concesso all'imputato per aver aggredito un vicino. 📌La Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo il diniego del Giudice di merito in ordine al riconoscimento della causa di non punibilità, evidenziando però che la revoca della messa alla prova successiva alla commissione del reato non può essere ritenuta rilevante ai fini del rigetto dell'istanza in quanto non ha determinato un aggravamento dell'offesa, ma è meramente indicativa della capacità a delinquere. #dialoghipenali #giurisprudenza #sentenza #cassazione #reato #stupefacenti #nonpunibilità #spaccio #ricercagiuridica #linkedin #avvocatopenalista #lawyer #studiolegale #messallaprova #dirittopenale #diritto #dirittididifesa #avvocato #pena #punibilità.
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✅ La risposta è SI. 📌 Occorre preliminarmente evidenziare che le fattispecie in esame sono strutturalmente e teologicamente non coincidenti, in quanto, ai fini del riconoscimento della prima (art. 73 co. 5 DPR 309/90), il giudice è tenuto a valutare i mezzi, le modalità e circostanze dell'azione nonché la quantità e qualità della sostanza stupefacente mentre, con riferimento alla seconda (art. 131 bis c.p.), dovrà essere vagliata la condotta, il grado di colpevolezza, l'entità del danno e del pericolo, nonché il carattere non abituale della condotta; 📌Passando al caso deciso dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 37659/2024 deve rilevarsi che il mancato riconoscimento della causa di non punibilità invocata dal reo è dipeso da differenti circostanze: 1) il quantitativo non modesto di sostanza stupefacente; 2) le modalità della condotta commessa in orario serale e in luogo noto per essere frequentato da spacciatori; 2) le revoca del beneficio della messa alla prova concesso all'imputato per aver aggredito un vicino. 📌La Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo il diniego del Giudice di merito in ordine al riconoscimento della causa di non punibilità, evidenziando però che la revoca della messa alla prova successiva alla commissione del reato non può essere ritenuta rilevante ai fini del rigetto dell'istanza in quanto non ha determinato un aggravamento dell'offesa, ma è meramente indicativa della capacità a delinquere. #dialoghipenali #giurisprudenza #sentenza #cassazione #reato #stupefacenti #nonpunibilità #spaccio #ricercagiuridica #linkedin #avvocatopenalista #lawyer #studiolegale #messallaprova #dirittopenale #diritto #dirittididifesa #avvocato #pena #punibilità.
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D.LGS.231/01 VI È PRESUNZIONE DI CONFLITTO DI INTERESSI TRA L’ENTE E IL LEGALE RAPPRESENTANTE IMPUTATO DEL REATO PRESUPPOSTO La Corte di Cassazione, con la recentissima sentenza n.34476/2024, è tornata a pronunciarsi in tema di diritti di difesa dell’ente nell’ambito dei processi che lo vedono coinvolto per responsabilità ai sensi del D. Lgs.231/01. Nella sentenza in esame, in particolare, la Suprema Corte ha ulteriormente ribadito il divieto assoluto di rappresentanza per il legale rappresentante imputato del reato presupposto dell’illecito amministrativo, richiamando espressamente l’art.39 del Decreto. Tale disposizione, infatti, stabilisce che “l'ente partecipa al procedimento penale con il proprio rappresentante legale, salvo che questi sia imputato del reato da cui dipende l'illecito amministrativo”. Dalla norma in esame emerge chiaramente che il divieto di rappresentanza è assoluto e non ammette deroghe, in quanto funzionale ad assicurare la piena garanzia del diritto di difesa dell’ente. Inoltre, l’esistenza del conflitto di interessi è presunta iuris et de iure dall’art.39 D. Lgs.231/01 e la sua sussistenza non deve essere accertata in concreto. La ratio di tale divieto, precisa la Corte, è chiaramente rinvenibile nella circostanza per cui “il rappresentante legale e la persona giuridica si trovano in una situazione di obiettiva e insanabile conflittualità processuale, dal momento che la persona giuridica potrebbe avere interesse a dimostrare che il suo rappresentante ha agito nel suo esclusivo interesse, o nell'interesse di terzi, ovvero a provare che il reato è stato posto in essere attraverso una elusione fraudolenta dei modelli organizzativi adottati, in questo modo escludendo la propria responsabilità e facendola così ricadere sul solo rappresentante”. #dlgs231 #legalerappresentante #dirittodidifesa #conflittodiinteressi #ente In collaborazione con la Dott.ssa Concetta Sferrazza
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La Sesta Sezione della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 22935 del 2024 (ud. 5 marzo 2024, dep. 6 giugno 2024) rimetteva alle Sezioni Unite la seguente questione: “se, in caso di pluralità di concorrenti nel reato, la confisca per equivalente del relativo profitto possa essere disposta per l’intero nei confronti di ciascuno di essi, indipendentemente da quanto da ognuno percepito, oppure se ciò possa disporsi soltanto quando non sia possibile con certezza la porzione di profitto incamerata da ognuno; od ancora se, in quest’ultimo caso, la confisca debba comunque essere ripartita tra i concorrenti, in base al grado di responsabilità di ognuno oppure in parti eguali, secondo la disciplina civilistica delle obbligazioni solidali”. Il mio articolo è disponibile su "De Iustitia", al seguente indirizzo: https://lnkd.in/dvpSa9hj
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