Francesco Filippi analizza l'attuale momento storico, da Trump all'endorsement di Musk all'estrema destra tedesca fino a Meloni e ai 'sovranisti di casa nostra': "Stupito dal fatto che Meloni non abbia intuito il facile gioco di Trump, a cui dell'Italia non importa nulla"
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Le ingerenze sono diverse, gli interessi non sono gli stessi, le posizioni possono apparire agli antipodi ma gli obiettivi sono simmetrici e più passa il tempo, più ci si avvicina all’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca, più ci si confronta con la strategia di Elon Musk in politica, più ci si misura con gli obiettivi di Putin fuori dai suoi confini e più ci si rende conto che la convergenza c’è, è reale, è alla luce del sole, e ha al centro un unico grande interesse strategico che permette di armonizzare, in un unico calderone, le posizioni di Trump, di Musk e di Putin. In tre parole tutt’altro che retoriche: distruggere l’Europa. Distruggere l’Europa non significa farla saltare in aria con un ordigno. Ma significa fare tutto il necessario per renderla più vulnerabile, più divisa, più debole, scommettendo sulla sua esplosione politica e investendo le proprie energie per provare a sostenere la crescita dei partiti che al centro del proprio programma elettorale hanno la deflagrazione dell’Unione europea. Aleksandr Dugin, filosofo e politologo russo un tempo con buone entrature al Cremlino, qualche giorno fa ha sintetizzato il tutto con un efficace post su X. “Primi passi: Germania: AfD urgentemente al potere. Regno Unito: Starmer giù, Farage su. Meloni: lasciatela restare (le sue origini ideologiche sono compatibili con Right Woke). Macron: fuori, Le Pen dentro. Tutto il resto ha poca importanza. È facile da fare. È ora di andare”. Definire il perimetro esatto all’interno del quale poter denunciare con certezza assoluta la presenza di un’influenza esterna non è facile (e anche sentenze come quella della Corte della Romania, che ha annullato un’elezione per interferenze russe, possono lasciare perplessi anche coloro che combattono le interferenze russe). Ma quello che può essere utile mettere insieme nel nostro ragionamento non sono gli effetti dell’ingerenza ma le ragioni. E sulle ragioni c’è poco da discutere: Putin, Musk e Trump, sull’Europa del futuro, hanno sogni speculari. Nessuno ha interesse ad avere un’Europa più forte, più integrata, più solidale. Per Trump, avere un’Europa in salute, con un’economia sana, in crescita, e con paesi armonizzati, non ostaggio di partiti anti europeisti, potrebbe essere un problema. ... Le ingerenze sono diverse, gli interessi non sono gli stessi, le posizioni possono apparire agli antipodi ma gli obiettivi di Trump, Musk e Putin, in Europa, sono simmetrici. E mai come oggi coloro che hanno a cuore la difesa della democrazia liberale hanno una ragione in più per evitare che l’Europa diventi l’ippodromo ideale per le scorribande dei cavalli di Troia degli estremisti più pericolosi del mondo.
I cavalli di Troia dell'estremismo. Gli interessi in comune di Trump, Musk e Putin di fronte all'Europa
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L'Europa di fronte alla sfida della nuova élite della potenza americana, che mette insieme potere politico, mediatico, finanziario e tecnologico. Un mix di suprematismo, sovranismo e ultraliberismo che considera alla stregua di un ostacolo illecito e di una censura ogni forma di regola, garanzia e controllo.
Editoriale. Come la Ue può rispondere alla tecnocrazia Usa
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Il primo editoriale del 2025 riguarda l'insediamento di Donald Trump, alle prese con sfide inedite di notevole importanza strategica: la guerra contro sé stessi che gli americani stanno combattendo intestinamente, il declino dell'industria manifatturiera interna, l'ombra cinese che si allunga dalla Silicon Valley all'America latina, la stabilità dell'Indo-pacifico e il rinnovamento degli apparati governativi che dovrebbe essere perseguito tramite la speciale commissione costituita intorno alla figura di Elon Musk sono le nuove incognite della prossima stagione presidenziale americana. 1/2025 - Rivista Futura
Sto andando a Washington… ma cosa vado a fare?
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Se c'è una cosa dalla quale preferisco stare alla larga è l'insieme delle considerazioni spicce, ovvero tutte quei pensieri preconfezionati pronti all'uso che sbandierano inviti alla riflessione e colmi di preoccupazione per un futuro che non si presenta decisamente roseo all'indomani dell'insediamento al potere del leader di una super-potenza (anzi una super prepotenza). Attenzione però: non sto affatto dicendo che non dobbiamo preoccuparci, perchè questo dobbiamo farlo eccome, sto solamente dicendo che non mi convincono certi toni. Il fatto che le big tech abbiano dato un'enorme contributo alla campagna elettorale di Donald J. Trump (la J sta per John e non Junior qualora ve lo siete chiesti) e che con la loro influenza possano decidere da che parte deve andare la politica in temi cruciali come la crisi energetica, l'inquinamento, il cambiamento climatico, il contrasto alla povertà e,non per ultimo, la pace nel mondo si è gia presentato durante l'amministrazione precedente di Joe Biden. Come si spiega che in molti non se ne sono accorti? Dobbiamo finirla di affibbiare, come ha detto Marco Travaglio il patentino del "buono" e del "cattivo" sull'impulso dell'ondata emotiva; anche perchè a furia di valutare azioni, comportamenti, e leader politici in modo semplicistico, alla fine si commettono errori a cui è difficile da rimediare perche si tratta di temi che toccano con mano la democrazia. Siamo davvero sicuri, ad esempio, che Viktor Orban sia un "cattivo", visto che è uno dei pochi leader europei a sostenere l'importanza dei negoziati con la Russia per terminare la guerra in Ucraina? Siamo sicuri che sia stata una buona idea sospendere l'esito delle elezioni presidenziali in Romania perche ha vinto un candidato filo-russo? Siamo sicuri noi europei che dobbiamo continuare a sostenere l'invio di armi al governo di Zelensky, adesso che alla Casa Bianca c'è un nuovo super-inquilino che ha deciso di cambiare rotta in tal senso? La verità, che come dico spesso, fa male è soltanto una: non è cambiato nulla a grandi linee, semplicemente c'è stato un passaggio di consegne da un regime basato sull'imperialismo mascherato da pomposa retorica secondo la quale "dobbiamo combattere i nemici della democrazia" ad un altro regime basato sempre sull'imperialismo ma quello puro però; al 100% , semplice, schietto e diretto, e quella voglia pazzesca di mettere la bandiera a stelle e strisce sulla Groenlandia, sul canale di Panama e oltre, anche su Marte ne è una conferma.
Travaglio a La7: "I miliardari che oggi sono ai piedi di Trump fino all’altro ieri erano al servizio di Biden". Botta e risposta con Giannini - Il Fatto Quotidiano
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Forti di un’ipnotica aggressività nietzschiana, Donald Trump ed Elon Musk, tra minacce d’invasioni e progetti di transumanesimo, incarnano una tendenza pop di grande successo: la fine delle inibizioni del potere. Ovvero, il contrario della democrazia, di cui quelle inibizioni, unico ostacolo ad un autoritarismo di stampo russo-cinese, sono l’essenza. Come ci riguarda tutto questo? In molti modi. Uno in particolare. È il magic-moment di Giorgia Meloni, ma forse, per lei, quello più pericoloso. È reduce da un indiscutibile trionfo diplomatico, è la leader più solida d’Europa, detiene un potere politico non contendibile a destra e non insidiato a sinistra, è politicamente ancora giovane (mercoledì compie 48 anni, auguri) e non è sfiorata da alcuno scandalo. Si può non condividere quello che fa e che pensa, ma è difficile negare che sia solidamente in sella. Eppure, il capolavoro della liberazione di Cecilia Sala, costruito con perizia in collaborazione con l’Aise, rischia di essere annichilito, a partire dal 20 gennaio, dai nuovi equilibri internazionali a trazione Maga (Make America Great Again, America First, gli altri in coda) e a trasformarsi nella sua nemesi. Qual è il grado di compatibilità tra la Nuova America, che considera il pianeta una pista da bowling sulla quale fare scivolare la palla della sua risorgente volontà di potenza, e la Vecchia Europa, chiamata ad allinearsi o a diventare un birillo da abbattere? È ancora possibile immaginare un equilibrio valoriale e civile con il più importante dei nostri partner? Semplificando «spadolinianamente», Giorgia Meloni è in grado – e ha voglia – di ricucire le due sponde dell’Atlantico, riavvicinandole, o ha deciso di allentare il legame della piccola Italia con l’Europa per concedersi senza rete all’abbraccio del boss di Mar-a-Lago, Donald Trump, e del debordante Elon Musk? Invitata al Gran Ballo a stelle e strisce, stregata sulla via che dal 1600 di Pennsylvania Avenue porta direttamente su Marte, Giorgia Meloni ha deciso di danzare. Ma in questo caso, tornando ad Enrico di Navarra, siamo sicuri che Parigi valga questa messa satellitare? Meloni è l’estremo baluardo europeo o il sofisticato cavallo di Troia del neo-imperialismo washingtoniano? Vuole fare da ponte o aprire l’era suicida dell’ognuno per conto suo? Passo indietro. Mercoledì, villa Taverna, Roma. L’ambasciatore uscente, Jack Adam Markell, organizza un party di commiato. Ministri, alti dignitari, giornalisti, imprenditori e amici vari. Fa un bel discorso, si congratula per la liberazione di Cecilia Sala e stringe molte mani. A chi gli chiede di Trump, Markell risponde usando una definizione di Peter Thiel, miliardario tech ex socio di Musk e volto più noto della PayPal-mafia (): «Trump è un uomo che va preso seriamente ma non alla lettera». Non troppo rassicurante. «Vuole dimostrare al mondo che è in grado di controllare tutto». Può? «No». Prosegue Andrea Malaguti
Meloni-Musk, Parigi vale ancora una messa?
lastampa.it
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La nuova amministrazio americana riserva due novità: : a) l’aquila americana è di fatto un nuovo mutante bicipite (Trumusk) fra il presidente ed il suo partner finanziatore; b) l’Occidente della Guerra Fredda era già finito nel 1991, ma adesso è chiaro che ci sono “gli occidenti”, quadriglie a composizione variabile ed opportunistica, uniti sostanzialmente in una koiné culturale, ma frammentati in politica, società ed economia. Due novità e tre scenari https://lnkd.in/d7gyXU2A
TruMusk e la politica di potenza - Pluralia
pluralia.forumverona.com
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📕🇺🇸👥 È uscito il #nuovoLimes! “Musk o Trump, America al bivio” indaga cause e implicazioni, interne ed esterne, di un terremoto che può segnare la fine del “secolo americano”. La rielezione di Donald Trump è uno spartiacque storico: un paese stanco, diviso e disorientato si lascia sedurre dal mito dell’età dell’oro, da recuperare per salvare ciò che resta di un sogno americano consumato da sovraesposizione esterna, diseguaglianze interne e perdita di un ethos condiviso. Per farlo si affida a un personaggio eversivo, il cui progetto di restaurazione della grandezza perduta passa per la guerra a vasti settori dello Stato e ai vincoli che le loro burocrazie pongono al potere esecutivo. In questa battaglia Trump è affiancato da Elon Musk, la cui ascesa alle stanze del potere incarna plasticamente il momento dell’America: il peso dei nuovi poteri economico-tecnologici, il carattere fortemente plutocratico della politica elettiva, le “utopie distopiche” prodotte dalla rivoluzione informatica e dalle sue onnipresenti ramificazioni. Queste dinamiche sono destinate a produrre effetti profondi sulla traiettoria geopolitica degli Stati Uniti, sul loro impegno estero, sull’uso del loro temibile strumento militare, sul rapporto con gli alleati – asiatici ed europei – e con gli avversari – su tutti Cina, Iran e Russia. Buona lettura e buon 2025! https://lnkd.in/dR4UU5dv
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Se l’interesse nazionale americano lo richiede per battere sfidanti e concorrenti, si proceda quindi a trivellare ovunque di gran lena e a conferire nuovamente pieno futuro ai motori a combustione interna. C’è una contraddizione in questo atteggiamento verso la ripresa di un legittimo orgoglio produttivista. Si magnificano le acquisizioni scientifiche e tecnologiche che ci consentono di estrarre risorse a profondità e con procedure appena ieri inimmaginabili, di arrivare un giorno a colonizzare Marte (“rosso pianeta, bolscevico e traditor…”), di impiegare i prodigi dell’intelligenza artificiale e il moltiplicatore di ricchezze delle valute elettroniche, ma si rifiutano, quasi fossero superstizioni o invocazioni del malocchio, i moniti che gli stessi scienziati lanciano con monotono e preoccupato sgomento sui rischi di un progresso non governato. In questa visione pre novecentesca del mondo e del futuro degli Stati Uniti non stupisce che accanto al ridimensionamento del ruolo degli alleati, torni la legittimazione delle sfere di influenza, che gli Stati Uniti accettarono di malavoglia persino nella fase più complicata della Guerra fredda, per denunciarle già ai tempi degli Accordi di Helsinki (a metà degli anni Settanta!), un fatto che costituisce un oggettivo regalo a Vladimir Putin e un siluro lanciato contro l’Unione europea che, del resto, è nata e ha prosperato all’interno dell’ordine internazionale liberale postbellico a guida americana. Mentre è assai meno coerente che si persegua una politica che nel nome del cosiddetto realismo – termine che copre malamente una miopia gravida di conseguenze – espelle dal suo campo visivo ogni dimensione etica e di empatia: questo sì un tradimento verso lo spirito dei Padri fondatori. I quali anche avrebbero molto da dire nel vedere l’imbarazzante concentrazione di milionari al governo della Repubblica che fu di George Washington, John Adams e Thomas Jefferson, uno spettacolo che rende meno eccentrico il coro di oligarchi che fa da contorno all’autocrate russo. Sembra uno scherzo del destino, ma mentre assistiamo alla crisi del politico, vediamo trionfare la dimensione del potere, di un potere che si fa pervasivo e protagonista in molti ambiti, diversi da quelli istituzionali – dalla finanza alla tecnologia, dall’informazione alla creazione di contenuti – ma non per questo si diluisce: anzi si presenta sempre più concentrato e lascia noi con un numero via via minore di strumenti per controllarlo. In fondo Elon Musk incarna tutto questo. Non siamo forse al tramonto della democrazia ma se quest’ultima, nella sua versione liberale, costituisce innanzitutto una teoria del potere limitato, siamo allora di fronte a una sfida inedita e dall’esito altamente incerto.
Alleati ridimensionati e sfere d'influenza. L'orizzonte di Trump è pre novecentesco
ilfoglio.it
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La fine della storia al contrario È tornato. Anzi, non se n’è mai andato. Dopo Trump, c’è ancora Trump. Con una vittoria a valanga che fa apparire quella di Biden una parentesi, un passeggero ripensamento nel percorso di inesorabile affermazione della destra populista. Nel nuovo come nel vecchio continente. Eppure, proprio i trend degli ultimi anni dovrebbero portarci a diffidare dalle letture unidirezionali, dai toni trionfali o apocalittici. Conviene riavvolgere il nastro a quei giorni del 2020: esattamente quattro anni fa. Pur di fronte alle macerie di un paese lacerato, in molti tirarono un sospiro di sollievo. Il mostro era stato sconfitto. Era stato solo un brutto incubo, una sbandata. L’America era rinsavita, rimessa sulla buona strada. Bastava tenere duro ancora un po’: resistere ai colpi di coda della 45ma presidenza, alle accuse di brogli, all’ultimo assalto alle istituzioni. La storia degli anni successivi è però diversa. E a cantare vittoria sono ora i fan del risorto tycoon. L’élite dei radical-chic-democratici, con annesso stuolo di celebrity militanti, intellettuali supponenti e giornalisti asserviti, è stata riportata sulla terra. L’ideologia woke demolita. Il paladino dell’America profonda sta per smantellare il deep state. È l’inizio di una nuova era. Dall’altra parte, gli avversari sono annichiliti. Schiacciati dall’avanzata globale degli uomini forti: Putin e Orbán da una parte, Trump e Milei dall’altra. Condividono in fondo la stessa lettura: è il colpo definitivo alla democrazia liberale, la fine della storia al contrario. Intendiamoci, lo sfondamento è massiccio. Il cappotto del presidente-eletto, con il filotto camera-senato-presidenza, passando attraverso la conquista di tutti gli stati chiave e del voto popolare, è impressionante. Tornato al comando del paese, e riconquistata la sfera digitale grazie a Musk, Trump disporrà delle leve per provare a plasmare gli USA (e il mondo) a sua immagine e somiglianza. Prima di disegnare tendenze di lungo periodo, tuttavia, conviene proporre alcune avvertenze. 1. Pur nel quadro di un mondo disordinato e multipolare, le scelte (o le non-scelte) degli USA di Trump peseranno, certo. Ma immaginare un effetto, diretto e automatico, sulla politica interna di altri paesi potrebbe essere fuorviante. 2. La società americana rimane spaccata al suo interno. Se i 4,5 punti di distanza (nel voto popolare) tra Biden e Trump, nel 2020, descrivevano un paese diviso, ha davvero senso cestinare questa interpretazione di fronte alle tre lunghezze fra Trump ed Harris? 3. Le dinamiche elettorali più recenti ci hanno spesso regalato significative oscillazioni. La vera regolarità, semmai, è data dalla volatilità. E dalle difficoltà di chi sta al governo. Sono trascorsi solo pochi mesi, del resto, da quando veniva celebrata la rinascita della sinistra in terra britannica. L’onda rossa, allora, era quella del labour di Starmer. CONTINUA ⬇️
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Herbert Kickl, leader di un partito nato dalle ceneri del nazismo, il Fpö, potrebbe diventare cancelliere in Austria. Novantun anni dopo la nomina di Adolf Hitler, la storia non si ripete come tragedia o farsa: si camuffa. È il travestimento della democrazia che concede l’incarico a chi promette di “orbanizzare” un Paese, demolendo i valori europei, diffamando le persone migranti e glorificando nazionalismi rancorosi. La scelta di Alexander Van der Bellen, presidente della Repubblica, appare inevitabile. Ma il suo volto scuro, i richiami alla libertà di stampa e alle conseguenze della guerra in Ucraina svelano la fragilità di una democrazia che concede spazio a chi la vorrebbe distruggere. La Övp, il partito popolare, ha ceduto alla pressione, sacrificando i propri principi sull’altare della convenienza elettorale. Ciò che colpisce, però, è il silenzio assordante dell’Europa. L’indifferenza davanti a cortei che gridano “mai più fascismi” o al rischio di un’ulteriore erosione dello Stato di diritto. La memoria si affievolisce, i valori si indeboliscono. E mentre Vienna si prepara a un governo che fa del revisionismo il proprio manifesto, Bruxelles osserva con lo stesso torpore che ha già segnato pagine nere della storia. La democrazia non si difende concedendo spazio ai suoi nemici. Si difende con scelte coraggiose, quelle che oggi sembrano mancare. E l’Europa, ancora una volta, sembra spettatrice impotente del suo stesso declino. Del resto coloro che quotidianamente minimizzano il ritorno di fascismi e nazismi avranno buon gioco anche questa volta. Potranno dirci che le SS non sono più quelle di una volta. Buon martedì. Il mio #buongiorno per @Left_rivista https://lnkd.in/ddwBhW4J
Novantun anni dopo Hitler, l’Austria ci riprova: un post nazista vicino al potere
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