L'homo sapiens è un animale agonistico. Per moltissimo tempo i nostri concorrenti sono stati gli eventi naturali, gli animali predatori, le altre comunità umane rivali per le poche risorse. Dietro il fascino che esercitano ancora su di noi corse, salti e frecce ci sono tracce di un Dna collettivo che ha svolto quei gesti essenziali per decine di migliaia di anni, dal cui successo dipendeva spesso la sopravvivenza. Da lì il loro richiamo primordiale che ci incolla e incanta davanti alla tv e negli stadi.
Le olimpiadi sono una grande expo della commedia umana, una celebrazione di alcune tra le dimensioni migliori degli umani. Quella eccellenza esposta e celebrata è frutto di virtù che apprezziamo e desideriamo per noi e per tutti. Tra queste la capacità di auto-disciplina, la tenacia, l’elaborazione delle sconfitte, la lealtà, tanto che abbiamo anche inventato un sostantivo sintesi: la sportività. Ed è difficile trovare qualcuno che neghi che queste sono virtù universali che valgono in ogni ambito della vita.
Accanto a queste virtù evidenti ci sono altri aspetti più controversi. Tra questi un certo ambiente militaresco che circonda lo sport e le olimpiadi di più, fatto di bandiere e quindi di quel patriottismo che per qualcuno è virtù ma per altri (me incluso) no - dopo ogni grande evento sportivo globale, ad esempio, l’idea di Europa ne esce sempre indebolita. Anche se si potrebbe ribaltare questa legittima critica restando sullo stesso piano: lo sport è anche una elaborazione narrativa e simbolica della violenza per trasformarla nel suo opposto. È metamorfosi della guerra, è una sua resurrezione.
E, forse, guardando quelle spade flessibili e spuntate che fanno accendere soltanto una luce verde o rossa e quelle lance scagliate senza un nemico da colpire, possiamo addirittura scorgervi una certa realizzazione della grande profezia di Isaia: “Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci … non impareranno più l’arte della guerra” (Is 2,4).
Una volta riconosciuta tutta questa bellezza, possiamo e dobbiamo però provare a dire qualcos’altro. Lo sport, se guardato bene, è un grande fenomeno cooperativo. Ciò è evidente negli sport di squadra, ma non è meno essenziale in quelli individuali. Dietro a ciò che appare talento e abilità di un singolo atleta c’è davvero un ‘intero villaggio’ fatto di allenatori, tecnici, medici, federazione, società sportive amatoriali, compagni di allenamento, e molti altri ancora. Tra questi ‘molti altri’ ci sono anche i concorrenti, compagni ma essenziali di ogni atleta, perché la bravura di chi compete con noi è ingrediente decisivo nei nostri buoni risultati - una sventura di un potenziale campione è non avere abbastanza concorrenti eccellenti. Nello sport (e nella vita) anche la competizione è una forma di cooperazione.
E invece nella narrativa sportiva è proprio la dimensione cooperativa a mancare, sovrastata e ammutolita da quella costruita sulla rivalità e sul me
Prosegue
Luigino Bruni
ANSORAEE / Gen Transall / Memorial Normandie Niemen / ANTAM. Délégué Harmonie Mutuelle Lot Tarn/Garonne SG Administrateur La Roseraie (SSR+EHPAD) Montfaucon
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