Come vanno gli apprendimenti in quinta superiore Leggi di più nel nuovo approfondimento dell'osservatorio povertà educativa Con i Bambini
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LA SCUOLA DELLA PERFOMANCE. OVVERO LA FINE DELLA SCUOLA. Il TAR della Lombardia, (sentenza n. 2341/2024), ha respinto il ricorso presentato dai genitori di una studentessa di un liceo classico di Milano, confermando la decisione del Consiglio di Classe di non ammetterla alla classe successiva. La ragazza, dopo un percorso scolastico brillante, ha visto il suo rendimento calare a causa di problemi d’ansia, riportando insufficienze in quattro materie. Sebbene la scuola abbia predisposto un Piano Didattico Personalizzato (PDP) per affrontare le sue difficoltà, questo è avvenuto in modo tardivo, compromettendo l’efficacia dello strumento nel fornire un sostegno reale. Il PDP non è un semplice adempimento burocratico: è un diritto dello studente e un dovere della scuola, pensato per rispondere ai bisogni educativi speciali di chi vive situazioni di difficoltà, come l’ansia o altri disturbi che impattano sul rendimento scolastico. È uno strumento che deve essere tempestivo e ben calibrato, per consentire allo studente di affrontare il percorso formativo con il supporto necessario, garantendo pari opportunità di apprendimento. La sua applicazione tardiva non può essere considerata una questione secondaria, perché mina l’intero scopo del documento: offrire un aiuto concreto in tempo utile. Nonostante il TAR abbia stabilito che la bocciatura non ha intenti punitivi ma finalità educative e formative, questa decisione solleva interrogativi profondi. La vera punizione, infatti, non è solo il voto negativo o la ripetizione di un anno, ma il mancato riconoscimento delle difficoltà psicologiche di una studentessa. Quando la performance cala, sembra che con essa svanisca anche il valore della persona. È questo il messaggio che si percepisce da una sentenza che, in una società realmente inclusiva e capace di sostenere le fragilità, non avrebbe ragione di esistere. Viviamo in un contesto dove i disturbi d’ansia tra i giovani crescono in modo allarmante, spesso alimentati da una pressione scolastica che non lascia spazio all’errore. La scuola, però, dovrebbe essere un luogo di crescita, che educa, forma e sostiene, non uno spazio che giudica e penalizza. Invece, troppo spesso, si limita a istruire, dimenticando la dimensione umana. E ora anche la giurisprudenza sembra rafforzare questa visione ambigua: la scuola è davvero per tutti o soltanto per chi riesce a mantenere standard di eccellenza? Se la scuola e la società non sono in grado di accogliere e sostenere le fragilità, che futuro stiamo costruendo per i nostri giovani? Il valore di una persona non si misura con un voto. Dobbiamo ripensare il sistema educativo e giuridico, non solo per garantire una scuola inclusiva, ma anche per rispondere realmente ai cambiamenti della società, che richiede sempre più ascolto e strumenti concreti di supporto. Solo così possiamo costruire un futuro in cui la scuola sia per tutti e non solo per i più performanti.
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La scuola dovrebbe accogliere, sostenere e motivare. Dovrebbe dare spazio alle fragilità, dare luce là dove c'è uno spazio buio. La scuola come luogo di presenza e confronto. Questa non sarebbe una scuola ideale, ma semplicemente dovrebbe essere giusta e coerente con i principi che animano il diritto all'apprendimento. E invece dove stiamo andando?
LA SCUOLA DELLA PERFOMANCE. OVVERO LA FINE DELLA SCUOLA. Il TAR della Lombardia, (sentenza n. 2341/2024), ha respinto il ricorso presentato dai genitori di una studentessa di un liceo classico di Milano, confermando la decisione del Consiglio di Classe di non ammetterla alla classe successiva. La ragazza, dopo un percorso scolastico brillante, ha visto il suo rendimento calare a causa di problemi d’ansia, riportando insufficienze in quattro materie. Sebbene la scuola abbia predisposto un Piano Didattico Personalizzato (PDP) per affrontare le sue difficoltà, questo è avvenuto in modo tardivo, compromettendo l’efficacia dello strumento nel fornire un sostegno reale. Il PDP non è un semplice adempimento burocratico: è un diritto dello studente e un dovere della scuola, pensato per rispondere ai bisogni educativi speciali di chi vive situazioni di difficoltà, come l’ansia o altri disturbi che impattano sul rendimento scolastico. È uno strumento che deve essere tempestivo e ben calibrato, per consentire allo studente di affrontare il percorso formativo con il supporto necessario, garantendo pari opportunità di apprendimento. La sua applicazione tardiva non può essere considerata una questione secondaria, perché mina l’intero scopo del documento: offrire un aiuto concreto in tempo utile. Nonostante il TAR abbia stabilito che la bocciatura non ha intenti punitivi ma finalità educative e formative, questa decisione solleva interrogativi profondi. La vera punizione, infatti, non è solo il voto negativo o la ripetizione di un anno, ma il mancato riconoscimento delle difficoltà psicologiche di una studentessa. Quando la performance cala, sembra che con essa svanisca anche il valore della persona. È questo il messaggio che si percepisce da una sentenza che, in una società realmente inclusiva e capace di sostenere le fragilità, non avrebbe ragione di esistere. Viviamo in un contesto dove i disturbi d’ansia tra i giovani crescono in modo allarmante, spesso alimentati da una pressione scolastica che non lascia spazio all’errore. La scuola, però, dovrebbe essere un luogo di crescita, che educa, forma e sostiene, non uno spazio che giudica e penalizza. Invece, troppo spesso, si limita a istruire, dimenticando la dimensione umana. E ora anche la giurisprudenza sembra rafforzare questa visione ambigua: la scuola è davvero per tutti o soltanto per chi riesce a mantenere standard di eccellenza? Se la scuola e la società non sono in grado di accogliere e sostenere le fragilità, che futuro stiamo costruendo per i nostri giovani? Il valore di una persona non si misura con un voto. Dobbiamo ripensare il sistema educativo e giuridico, non solo per garantire una scuola inclusiva, ma anche per rispondere realmente ai cambiamenti della società, che richiede sempre più ascolto e strumenti concreti di supporto. Solo così possiamo costruire un futuro in cui la scuola sia per tutti e non solo per i più performanti.
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Non sono un'esperta di educazione scolastica, ma ho toccato con mano - anche con un progetto portato avanti da poco in una scuola media - che i ragazzi hanno tanto di bisogno di #ascolto e #relazioni. Come tutti del resto... Sarebbe opportuno accanto alla #formazione tradizionale, sviluppare delle competenze che diano loro la possibilità di stare nel mondo, come #identitàrelazionali... #scuola, #intelligenzaemotiva, #emozioni, #corporatefamlyresponsibility, #welfareaziendale, #conciliazionefamiglialavoro
"La scuola deve farsi carico dello sviluppo umano degli studenti – che è nozione ben più ampia della sola educazione alla affettività e alle relazioni – e ciò richiede di inscrivere le competenze a ciò necessarie (le competenze per la vita) tra gli obiettivi del sistema scolastico". Ma come è possibile attuare tutto questo? Raffaella Briani prova a dare alcune possibili nel suo contributo all'ultimo Quaderno #Donneerelazioni. Scarica qui l'intero Quaderno: https://lc.cx/DkUsi5 La pubblicazione affronta il tema della #formazione sul piano affettivo per riconoscere le #relazioni tossiche ed evitare i rapporti abusanti, con l’intento di promuovere identità relazionali capaci di #leadership sia in ambito privato che pubblico. #Famiglia, #scuola e #lavoro devono entrare in #dialogo su questi temi per educare e per educarsi all’#inclusione e alla #paritàdigenere mediante una formazione che permetta ai #giovani di sperimentare il rispetto per la #persona, la conoscenza delle #differenze e la valorizzazione di sé in rapporto con l’altro e dell’altro in rapporto con sé. Grazie a chi ha partecipato a questa pubblicazione: Ilaria Vigorelli, Franca Zacco, Annamaria Nicolò, Marco Scicchitano, Lorenzo Fariselli, Valeria Bonilauri, Valerie Schena Ehrenberger. E a tutti i membri del comitato scientifico dei Quaderni e di FMV: Isabella Crespi, Vittorio Coda, Giacomo Vigorelli, Maria Novella Bugetti, Guglielmo Faldetta, Alessandra Lazazzara, Franca Maino, Anna Maria Minetti, Riccardo Tosi, Laura Tucci, Simona Sandrini, Alberto Vigorelli, Guido Vigorelli, Tiziana De Marino, Rosamaria Loiacono. #corporatefamilyresponsibility, #welfareaziendale, #conciliazionefamiglialavoro, #worklifebalance
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La scuola è lo strumento più potente che abbiamo per cambiare il mondo
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Non si può rimettere al centro la persona se chi deve insegnare spesso ormai: 1. Non ha l’età 2. Non ha voglia 3. Non ha entusiasmo 4. Afferma nell’80% dei casi che lavora per lo stipendio. Dunque… 1. Scuola dell’infanzia a mio avviso, si può insegnare max fino a 60 anni, non oltre ed idem alla primaria. 2. Secondaria di primo e secondo grado fino a 65 ma non oltre. 3. La formazione così com’è fatta e proposta non serve a nulla. Il grande divario è che abbiamo insegnanti altamente formati non impiegati a dovere. Ad esempio, dando loro obiettivi specifici, tradotti in termini economici costerebbero sicuramente meno dell’impiegare risorse inopportune, inadatte ed inefficaci. 4. I docenti di sostegno facciamoli fare agli psicologi che vogliono; hanno molta più competenza in termini di efficacia sugli alunni, comprensione e stesura dei documenti e dialogo con le famiglie. Alleggerirebbero a tutti il lavoro. 5. Decidiamoci di occuparci seriamente del benessere dei docenti! Benessere che passa attraverso un aumento economico, un alleggerire da compiti che non li riguardano e spettano a figure amministrative o psicologi esperti, offrendo loro programmi di benessere in due momenti dell’anno. Se non si parte dai giusti punti… tutto è un buco nell’acqua!
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condivido pienamente!! ascoltando i racconti di più ragazzi emerge quanto sentano la demotivazione dei prof. in primis come grande resistenza alla formazione. Prof. che parlano dei propri problemi personali ai ragazzi (....) comprensibile? condivisibile? bisogna capire fino a che punto è che tipo di problemi personali.... insegnanti che azzardano a toccare tematiche sensibili come il SUICIDIO senza avere nessuna tutela, nessuno strumento e senza rendersi conto che farlo, senza "studio" preparazione e strumenti, si può trasformare in "istigazione" su menti così sensibili. insegnanti che scherniscono ragazzi DSA dicendogli che son semplici fannulloni, con la giustificazione a fare meno degli altri...nel 2024 stiamo ancora a questo.... dobbiamo riformulare l'insegnamento e la formazione dei giovani!!
Neuropsicologa del benessere; Psicologa Clinica; Psicodiagnosta;Training autogeno;Psicosomatica;PNEI; Mindfulness Professional Trainer; Mindfulness Clinical Therapist; MBSR;MBCT;MB-EAT;MAPS ADHD;MFY;MATTERS;MBCP.
Non si può rimettere al centro la persona se chi deve insegnare spesso ormai: 1. Non ha l’età 2. Non ha voglia 3. Non ha entusiasmo 4. Afferma nell’80% dei casi che lavora per lo stipendio. Dunque… 1. Scuola dell’infanzia a mio avviso, si può insegnare max fino a 60 anni, non oltre ed idem alla primaria. 2. Secondaria di primo e secondo grado fino a 65 ma non oltre. 3. La formazione così com’è fatta e proposta non serve a nulla. Il grande divario è che abbiamo insegnanti altamente formati non impiegati a dovere. Ad esempio, dando loro obiettivi specifici, tradotti in termini economici costerebbero sicuramente meno dell’impiegare risorse inopportune, inadatte ed inefficaci. 4. I docenti di sostegno facciamoli fare agli psicologi che vogliono; hanno molta più competenza in termini di efficacia sugli alunni, comprensione e stesura dei documenti e dialogo con le famiglie. Alleggerirebbero a tutti il lavoro. 5. Decidiamoci di occuparci seriamente del benessere dei docenti! Benessere che passa attraverso un aumento economico, un alleggerire da compiti che non li riguardano e spettano a figure amministrative o psicologi esperti, offrendo loro programmi di benessere in due momenti dell’anno. Se non si parte dai giusti punti… tutto è un buco nell’acqua!
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#Insegnante e #Società La crisi della Scuola e del ruolo dell'insegnante, cui siamo assistendo, è grande. Il superamento dell'attuale senso di precarietà e la costruzione di una vera Istruzione devono dipendere in gran parte da un rinnovamento educativo, che veda gli Insegnanti impegnati in prima linea e giustamente gratificati e rispettati. La crisi si potrà risolvere, sul piano scientifico e politico, rivisitando sia l'educabilita' dei discenti sia la funzione docenti, in modo da tenere in considerazione le domande poste dallo sviluppo sociale, per un possibile futuro della Scuola inserita nel tessuto economico e sociale. La funzione dell'insegnante va dunque rivisitata : egli infatti non è più né la fonte unica del sapere né la sola garanzia della validità dell'educazione dello studente, ma diventa una guida Socratica dei giovani nel processo di scoperta del vero se' e un tramite di riqualificazione sociale dell'educazione. La formazione continua degli insegnanti si rende quindi non solo necessaria, ma urgente: si tratta in primo luogo di formare persone culturalmente vive ed attive ed in secondo luogo professionisti capaci di suscitare, appoggiare e guidare a loro volta altre persone culturalmente vive e responsabili. In una società che si possa definire sincronizzata con i tempi , l'insegnante dovrebbe essere l'organizzatore e il facilitatore culturale delle "influenze" extra scolastiche dei discenti. È questo il punto chiave: consentire una maturazione globale degli alunni in rapporto ai problemi personali e sociali che dovranno affrontare. Il rapporto scuola - contesto sociale è ricco di sfaccettature e il compito dell'educazione è soprattutto quello di risolvere le contraddizioni dei giovani e guidarli verso la razionalità, l'impegno etico e la scoperta del vero senso di sé nel mondo e con il mondo. Se all'insegnante si assegna la responsabilità di operare una sintesi dinamica tra la società culturale e la micro cultura in cui opera, allora il suo ruolo comporta una ri - definizione sia nei confronti della comunità scolastica sia nei confronti delle agenzie educative extra scolastiche ( famiglia, gruppi di pari, associazioni, mezzi di comunicazione, uso dei social e delle IA). Il docente organizzatore e facilitatore diventa quindi un soggetto pedagogico e un politico , nel senso etimologico del termine ( dal greco antico politikos: relativo alla città stato). Quindi se si procedesse con una vera riforma della Scuola, finalmente in grado di " spaccare" l'attuale cristallizzazione in cui è caduta ( al passo con il rallentamento economico e sociale del Paese), forse si riuscirebbe a creare una futura società di studenti - persone motivati, partecipi, responsabili e in grado di affrontare le sfide di un mondo robotizzato e competitivo e proprio per questo bisognoso anche di una profonda e salda Intelligenza Emotiva.
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A settembre, il Ministro Giuseppe Valditara ha annunciato che "la dispersione scolastica ha raggiunto un nuovo minimo storico, scendendo al 9,4%". Un dato apparentemente incoraggiante (considerando che, nel 2002, il valore era del 24%), ma che, come ogni statistica, richiede una riflessione più profonda. La dispersione scolastica può essere analizzata in due modalità: esplicita o implicita. Quella esplicita si basa sulla quota degli "ELET" (Early Leavers from Education and Training), cioè tutte quelle persone tra i 18 e i 24 anni che non hanno terminato la scuola superiore, non possiedono qualifiche professionali ottenute in corsi della durata di almeno due anni e non frequentano né corsi scolastici né attività formative. La dispersione implicita, invece, viene considerata in termini più ampi. Oltre agli "ELET" considera anche chi ha conseguito il diploma di scuola superiore, ma senza raggiungere le competenze minime richieste dal percorso di studi (misurate con lo strumento “ufficiale” del Ministero: le prove Invalsi). Analizziamo qualche dato a riguardo. Nel 2024, all'uscita della quinta superiore, il 48% degli studenti e delle studentesse non ha raggiunto i traguardi minimi in matematica, il 46% in italiano; in inglese, il 40% non arriva ad acquisire le competenze minime nel 'reading' e il 55% nel 'listening'. Il tutto con un marcato divario tra Nord e Sud. La politica dichiara "un significativo passo in avanti" l'aver raggiunto un tasso di dispersione esplicita pari al 9,4%... ma che dire di tutto il resto? Nel libro 'Educazione Democratica' di Christian Laval e Francis Vergne - che offre una prospettiva profonda e ispirante su “come educare i cittadini del mondo di domani” - si parte dal concetto di 'disaffiliazione sociale' ideato dal sociologo Robert Castel per parlare di 'disaffiliazione scolastica'. Gli autori la descrivono come quel processo di "erosione dei legami con l'istituzione e con le identità formate nell’esperienza scolastica". E aggiungono che "l'affiliazione scolastica, al contrario, si sviluppa tramite legami molteplici con l'istituzione, che sostengono l'adesione ai valori e mantengono la speranza di raggiungere risultati". A questo aggiungerei: l’affiliazione scolastica si costruisce quando si è parte di un sistema basato sulla fiducia e non sul controllo; quando ci sono adulti che diventano punti di riferimento; quando, citando Danilo Dolci, "si cresce poiché si è sognati". Se così fosse, sono convinto che i passi in avanti sarebbero decisamente più significativi.
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Su Linkedin parlare di scuola? Certo: è da lì che inizia tutto... Al termine di un anno scolastico importante per entrambi i miei figli, confermo l’opinione che il sistema scolastico stia vivendo una completa perdita di punti di riferimento e di valori. Le mie osservazioni ormai decennali mi portano a dire che la “Scuola” con cui mi confronto si sia arresa consapevolmente e inconsapevolmente a rappresentare e rafforzare le manifestazioni deteriori della società, anziché promuovere valori e modelli virtuosi. Come invertire la rotta? Agendo proprio sui valori intrinseci della missione formativa – opposti a quelli della performance in quanto tale –, recuperando riti di passaggio, riconoscendo la dignità di ciascun attore del sistema scolastico. Non a caso, da quasi vent’anni, in Francia si pratica il “coaching scolaire”… Clicca qui https://lnkd.in/dQYUrZPn e qui https://lnkd.in/d-miRTFW per accedere rispettivamente al testo e all’audio di un articolo del mio blog dedicato a questo argomento. #mcc #coaching #systemiccoaching #systemthinking #scuola #coachingscolaire
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Come genitore, credo di poter valutare la qualità dell'istruzione offerta a mio figlio basandomi sui risultati scolastici che ottiene. Se vedo che è sveglio, ma non impara molto durante le lezioni, potrei decidere per esempio di spostarlo in un'altra scuola. In molti paesi, come la Svezia, il Canada e gli Stati Uniti, ai genitori è riconosciuta la possibilità di esprimere un giudizio sulla scuola frequentata dai propri figli, perché l'offerta formativa è molto vasta e c'è la libertà di scegliere, persino tra scuole private, le cui rette sono spesso sostenute interamente dallo stato. Negli Stati Uniti, queste scuole private vengono chiamate Charter School, in Svezia, Friskole. Entrambe sono criticate perché, essendo istituzioni private, puntano al profitto e si teme che possano "risparmiare" sulla qualità dell'insegnamento. Tuttavia, il fatto che una scuola privata miri al profitto non è sufficiente per metterla fuori legge. Dovremmo forse chiudere l'Università Bocconi di Milano o tutte le università americane della Ivy League solo perché sono private? Ovviamente no. Se la qualità dell'istruzione fosse scarsa, queste istituzioni non avrebbero iscritti e sarebbero costrette a chiudere. Porto questi esempi per sottolineare che esistono paesi in cui i genitori sono presi molto sul serio, specialmente quando si instaura una competizione tra scuole, sia pubbliche che private, per attirare gli studenti, con lo stato che paga le rette delle scuole private. In Italia, molti sono contrari all'idea di competizione tra scuole, mentre io ritengo che la competizione, se ben regolata, possa essere "sana". Nel caso delle scuole private, la norma dovrebbe essere che lo stato copra l'intera retta, non solo una parte come avviene attualmente. I voucher, che in Italia coprono solo un terzo della retta, avvantaggiano le famiglie più ricche, capaci di pagare il resto. Ma c'è una domanda importante che dobbiamo porci: tutti i genitori sono davvero in grado di fare una scelta informata sulla scuola da far frequentare ai propri figli, indipendentemente dal loro livello culturale? Purtroppo, la risposta è no. I genitori più istruiti, capaci di raccogliere informazioni, sapranno trovare le scuole migliori e inseriranno i loro figli nelle lunghe liste d’attesa con largo anticipo. Gli altri, meno informati, finiranno per mandare i propri figli nelle scuole "peggiori", spesso semplicemente perché sono le più vicine a casa. In un caso invece di "concorrenza perfetta tra scuole", i docenti dovrebbero rendere le loro lezioni appassionanti, invitando i ragazzi a discutere e partecipare senza la pressione costante di un voto. I docenti dovrebbero lasciar ogni tanto da parte la valutazione, permettendo ai ragazzi di apprendere con passione, nonché di aprire le loro menti a vere abilità di analisi e giudizio. E i genitori non correrebbero tutti a iscrivere i figli nelle scuole socratiche dove ti insegnano a pensare con tua testa? #scuola #formazione #docenti #istruzione
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