Il problema dei mercati è che non hanno ancora preso le misure della nuova amministrazione Trump. Per un mese, dopo le elezioni, si è provato a esaltarne gli aspetti favorevoli alla crescita. Si è sottolineata la volontà di abbassare le tasse, di attuare una deregulation aggressiva, di aumentare la produzione di combustibili fossili e di reindustrializzare l'America anche attraverso l'imposizione di dazi elevati sulle importazioni. Ora invece i mercati si accorgono dei rischi di ripresa dell'inflazione, che è già adesso un po' più alta degli obiettivi ufficiali e che alcune misure che la nuova amministrazione annuncerà non appena insediata potrebbero rendere ancora più vivace. Il controllo dell'immigrazione renderà infatti meno fluido il mercato del lavoro, alimentando l'inflazione salariale, mentre i dazi, a loro volta, faranno lievitare i costi di molte componenti industriali. Queste due visioni sono teoricamente riconciliabili in una narrazione che giudica positivamente il trade off tra una crescita che si mantiene forte e il prezzo modesto di qualche decimale di inflazione in più. In questo caso avremmo una riedizione del 2021, un anno estremamente positivo per le borse e neutrale per i bond. C'è però un punto potenzialmente debole in questa narrazione, ovvero la Fed. Nel 2021 la Fed era apertamente e nettamente schierata per la crescita, anche a costo del surriscaldamento, e ignorava volutamente l'inflazione che stava salendo. Nel 2025, come abbiamo cominciato a vedere dal Fomc di ieri, la Fed avrà un atteggiamento diverso, che in certi momenti ricorderà quello che ebbe nel 2018. https://lnkd.in/drgCf8Mj
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La Grande Rotazione e la rivincita delle Small Cap 📌 La settimana è iniziata con lo storico passo indietro di Joe Biden come candidato alla corsa per la Casa Bianca. Nel frattempo, gli occhi sono puntati alla Bce - che ha lasciato i tassi di interesse invariati - e alle trimestrali in arrivo dagli USA e dall'Eurozona. 🗣 Insieme ad Angelo Ciavarella, professore dell'Università di Greenwich, abbiamo cercato di capire come ci si dovrebbe muovere sui mercati e a quali settori è meglio rivolgere lo sguardo... è forse il momento delle Small Cap? Non perdere la puntata integrale: https://lnkd.in/d3nqw56T #wewealth #smallcap #bce #tassidiinteresse
La Grande Rotazione e la rivincita delle Small Cap | We Wealth
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Che le Elezioni USA si giochino sul filo di lana e in particolare sui 7 swing states e' evidente. Nelle ultime due settimane, alcuni pollster hanno dato qualche chance in piu' a Trump e una sua possibile vittoria ha portato a questo scenario, secondo il Wall Street Journal - Long Trump Media and Technology Group (DJT), che gestisce il suo social media preferito. - Long bitcoin, oro e dollari. - Short titoli del Tesoro e il peso messicano - Long azioni healthcare; short societa' legate al green energy - Long azioni di difesa europee. -Long banche, in particolare banche regionali. - Long azioni statunitensi vendendo il resto del mondo Secondo l'ultima rilevazione dell'Economist, Harris sembra aver superato Trump in un paio di stati particolarmente importanti per la vittoria finale. Cosa attenderci? Tanto per iniziare il Mercato dei Bond e' crollato con il rendimento sopra il 4.3% spaventato dalle politiche fiscali molto (troppo) accomodanti che i due candidati vogliono mettere in pratica una volta che mettono piede nella sala ovale. E se abbiamo avuto i Mercati Equity che fino a giovedi' scorso erano sui massimi storici, c'e' una nota molto stonata. Il Vix (L'indice della paura) ha chiuso ben 78 (!) volte sopra la Media a 200. Non accadeva dal 2019. Ricordo solo che all'inizio dell'anno con gli Indici a livelli molto piu bassi di questi attuali, il Vix prezzava tra i 12 e i 13. Il che vuol dire tre cose: ➡ Stanno tornando i Bond Vigilantes per evitare che la situazione fiscale vada totalmente fuori controllo (oltre alla paura di un ritorno di inflazione) ➡ I Mercati Equity continuano a tenere nonostante le trimestrali non particolarmente esaltanti ➡ Gli investitori magari non vendono Equity. Ma preferiscono proteggersi da potenziali correzioni o elezioni che non diano un Presidente certo (vedi 2020) #trump #elezioni #harris #bond #azioni #investimento
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GIA’ FINITA LA PUNTATA DEL TRUMP TRADE? La possibilità di un conflitto tra le politiche dell' entrante Trump e il mandato di stabilità dei prezzi della Federal Reserve è stato argomento di discussione sin da prima delle elezioni. Sappiamo da tempo – a grandi linee – quali sono le aspirazioni politiche del nuovo presidente: tasse più basse, più immigrazione, tariffe più alte, un deficit delle partite correnti più piccolo. Ieri sono trapelati i primi indizi di quale potrebbe essere la risposta della FED a tutto questo. A settembre, l'intervallo delle proiezioni dei membri sull’ inflazione per il 2025, dal più basso al più alto, era di 30 punti base, mentre ora sono 80. Ed ecco immediata la reazione del mercato di ieri, che di fronte a una Fed preoccupata per l'inflazione di Trump, e di conseguenza meno aggressiva nelle previsioni di tagli dei tassi per il 2025, l'S&P 500 è sceso del 3%, le obbligazioni a due anni sono aumentate di 14 punti base e le obbligazioni a 10 anni sono aumentate di 10 punti base (quindi male anche le obbligazioni in TR) ed infine le azioni a bassa capitalizzazione, le beniamine del Trump Trade, sono scese duramente azzerando tutti i loro guadagni post-elettorali (grafico di sinistra). Ma allora i membri della Fed hanno commesso un errore, pensando di sapere quali saranno le politiche di Trump e come influenzeranno la traiettoria dei tassi, mostrando qualche pregiudizio politico? Potrebbero, ma solo in apparenza, se volessimo ignorare che lo stile di leadership volubile del neo-presidente, le sue scelte eterogenee di gabinetto e gli stretti margini di controllo del suo partito in entrambe le camere del Congresso possano rendere semplice attuare tutto ciò che ha dichiarato in campagna, ammesso che lo voglia fare. Prima di condannare la FED infatti, bisogna ricordare alcune cose. Uno: ci sono ragioni macro che mostrano come le ultime due letture dell'inflazione dell'indice dei prezzi al consumo sono state scoraggianti e la crescita ha continuato a essere più alta del previsto, portando in effetti molti esperti a sostenere che anche il taglio di ieri sia stato un errore (immaginate la reazione del mercato se il comitato fosse rimasto fermo!). Era già in corso una riscrittura delle aspettative per il 2025. Infine: non esageriamo con la reazione del mercato. Le valutazioni delle azioni USA sono storicamente alte e il mercato rialzista è in corso da molto tempo. Le aspettative che la Fed tagli i tassi l'anno prossimo sono consolidate, pertanto in questa congiuntura non ci è vouto molto per creare un pretesto e far correggere il mercato azionario. Questo è qualcosa che Trump e Powell dovranno entrambi tenere a mente, ma anche gli investitori: mai confondere la cronaca con la storia!
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Una settimana particolarmente attesa quella appena iniziata sui mercati con l’attenzione catalizzata dalle elezioni Usa e subito dopo il voto, la riunione della Federal Reserve in agenda giovedì 7 novembre. Dopo aver tagliato il suo tasso di riferimento di 50 punti base a settembre, si attende ora di conoscere la prossima mossa della banca centrale statunitense. Nelle note di fine settembre, gli strateghi di J.P. Morgan e Fitch Ratings avevano previsto altri due tagli dei tassi di interesse entro la fine del 2024 e si aspettavano che tali riduzioni continuassero nel 2025. Ma oggi, con le recenti incertezze e i cambiamenti sul piano politico, gli analisti ipotizzano una strategia più cauta. Si prevede quindi che la Fed possa optare per un taglio di un quarto di punto (25 punti base), una mossa più contenuta per mantenere maggiore flessibilità in vista dell’esito delle elezioni presidenziali.
Fed: riunione post voto, per Wall Street il taglio tassi sarà più contenuto
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COSA RESTA DELL'EFFETTO TRUMP SUI MERCATI FINANZIARI Sono trascorse oltre due settimane dal voto presidenziale americano e alcune tendenze hanno perso di intensità mentre altre sono persistenti. Qui ci concentreremo soltanto su queste ultime. Maggiore forza dei mercati azionari americani rispetto alle borse europee. Debolezza dei titoli di stato USA che ha provocato un rialzo dei rendimenti, in particolare nella parte lunga della curva. Rafforzamento del dollaro nei confronti delle principali valute internazionali , tra cui l'euro, tanto che il raggiungimento della parità viene considerato un obiettivo raggiungibile. Queste tendenze andranno monitorate nelle prossime settimane, anche perchè saranno in grado incidere sulle performance complessive dei portafogli per il 2024. Vediamo ora quali sono le logiche che stanno muovendo gli investitori in queste direzioni. La politica economica che Trump perseguirà nel suo mandato può essere sintetizzata in quattro pilastri: stimoli fiscali per le imprese americane, imposizione di dazi sulle importazioni, deregolamentazione in alcuni settori economici (tra cui il sistema bancario), controllo dell'immigrazione. Nel complesso questo mix di misure viene considerato in grado di sostenere la crescita economica degli Stati Uniti (e per questo motivo la borsa è ottimista). D'altro canto, si percepisce che alcune di queste misure hanno connotati inflazionistici e che implicano un aumento del deficit pubblico ( questo è il motivo per cui i Treasury hanno perso di valore, sfiorando anche il rendimento del 4,5% sul decennale). In particolare, si può osservare che con un'economia vicina alla piena occupazione uno stimolo fiscale produce più inflazione che aumento della produzione. Gli acquisti sul dollaro riflettono proprio queste ipotesi che vedono forza economica statunitense, rendimenti dei Treasury elevati nel tempo ed una FED riluttante ad avviare/proseguire un ciclo di tagli dei tassi. A questo proposito le recenti parole di Powell che qualcuno ha definito una piroetta indicano che non vi è un'urgenza per i tagli dei tassi, anche se si può escludere una mossa preventiva della FED contro una futura crescita dell'inflazione da tariffe. Occorrerebbe anche parlare dei brutti indicatori economici dell'eurozona (PMI), della divaricazione di rendimento delle obbligazioni tra Usa ed eurozona e di interessanti movimenti sulla parte breve dei titoli di stato europei. Tratterò questi argomenti in un prossimo articolo.
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QUALE SARA' IL TEMA CHE MUOVERA’ I LISTINI NEL 2025, I DAZI O IL DECENNALE USA ALLE SOGLIE DEL 5%? Tutti sanno che i riflessi macro delle politiche trumpiane pro-dazi costituiscono la preoccupazione principale di questo inizio 2025. . La ragione è comprensibile: i dazi hanno impatti sui prezzi, quindi maggiore inflazione nelle importazioni USA, ma anche mercati azionari in frenata per le aziende che vedrebbero utili erosi (lato azionario) ma contraccolpo anche sui mercati obbligazionari per via delle valute che registrano volumi di scambio alterati da politiche “protezionistiche”. Eppure c’è anche un altro tema del quale interessarsi. Scott Bessent, prossimo segretario del Tesoro USA, proviene dal mondo della finanza, come molti dei suoi predecessori. Recentemente ha dichiarato al Congresso che ha deciso di abbandonare la sua “quiet life” da manager di hedge fund perché ha sentito il dovere di servire l’amministrazione statale nel cercare di fronteggiare l’impennata del deficit fiscale che comincia a disturbare la percezione di più di qualche asset manager di bene rifugio storicamente attribuita ai Treasury USA. Se fosse così dovremmo augurargli il successo in questa impresa, perché probabilmente non saranno i timori inflazionistici paventati anche dalla FED a influenzare la politica trumpiana sui dazi, quanto forse l’opportunità di non spodestare il Treasury dal suo ruolo di “global risk free asset” scongiurando una crisi del debito USA che deluderebbe di gran lunga i suoi “Maga boys” (Make America Great Again ndr).
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🌟 Perché Il Mio #Fondo Obbligazionario Non Beneficia del Taglio dei Tassi della Fed? 🌟 📈 Il grafico confronta la curva dei #rendimenti dei Treasury USA di ieri, 8 gennaio 2025 (linea verde), con quella del 6 novembre 2024 (linea gialla), giorno dell’elezione di Trump, evidenziando un netto rialzo dei tassi. La dinamica che emerge non lascia spazio a dubbi: i #tassi di mercato stanno già scontando le implicazioni di politiche economiche che promettono spese pubbliche massicce e un incremento significativo del deficit federale. 📉 📊 La curva verde rappresenta la situazione attuale, mentre la curva gialla mostra i rendimenti registrati il giorno delle elezioni di #Trump. Come si può osservare, la curva verde si colloca sistematicamente più in alto rispetto a quella gialla. Il rialzo è evidente dai 2 anni in poi, lasciando i benefici dei tagli ai tassi della Federal Reserve confinati alla parte brevissima della curva, che non ha effetti tangibili sui portafogli obbligazionari sovraesposti ai Treasury USA. Dai 5 ai 20 anni, il rialzo è marcato, così come marcata è la #distruzione di performance. 📈 💡 L’origine di questa #tensione si trova nelle promesse elettorali di Trump, che ha annunciato piani ambiziosi di spesa pubblica, con tagli di tasse e aumenti della spesa in armi. Queste misure avrebbero come immediata conseguenza una ulteriore impennata del #deficit federale, già vicino ai 2.000 miliardi di dollari annui. Un aumento del debito pubblico alimenta le preoccupazioni di inflazione e un rischio di credito a lungo termine sugli Stati Uniti. 📊 📉 Il grafico mostra come il mercato stia incorporando questa narrativa. Nella parte bassa, i cambiamenti dei rendimenti (barre gialle) segnalano variazioni positive (aumento dei #tassi) lungo quasi tutte le scadenze, eccetto i titoli a breve termine. Questo riflette un equilibrio precario: la #Fed potrebbe non intervenire con ulteriori tagli, lasciando pressione sui rendimenti a lungo termine. 📈 ⚡ Non pesa solo la politica fiscale. Le minacce di nuovi #dazi commerciali e politiche migratorie restrittive alimentano spinte inflazionistiche: i dazi aumentano i prezzi dei beni importati e politiche sull’immigrazione riducono la disponibilità di manodopera, aumentando i costi. I mercati temono un "rigurgito" dell’inflazione, proprio mentre la Fed era riuscita a riportarla sotto controllo. 🌍 📊 Le #scadenze decennali, spesso utilizzate per valutare le aspettative future di crescita e inflazione, mostrano un incremento significativo rispetto al 6 novembre. Questo segnala aspettative di inflazione più alta e un costo del debito crescente, che potrebbe limitare la capacità del governo di reagire a shock economici. 📉 🌍 Operativamente parlando ribadisco quanto affermo sin dalla scorsa estate: sotto pesare i bond #USA a favore di quelli dell'eurozona che, sebbene condizionati dai tassi USA, dovrebbero beneficiare di politiche più espansive a supporto di un'economia che non ha la forza di quella USA. 📈
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IL MERCATO USA «SENTE» L’ARRIVO DI DONALD TRUMP di Federico Fubini - Corriere della Sera - 30 Oct 2024 Ci sono mille modi per stimare le possibilità di Kamala Harris e Donald Trump alle elezioni tra sette giorni, nessuno dei quali sicuro. C’è un modo solo però per capire chi Wall Street vede alla Casa Bianca: i mercati, cioè dove gli investitori stanno piazzando le loro scommesse in vista del voto. E se questo è il metro — come sempre, discutibile — oggi le banche e i grandi fondi si stanno preparando alla seconda amministrazione Trump. Da cosa si vede? Non dal mercato azionario americano, che quest’anno continua a salire chiunque sia in testa nei sondaggi. L’indice principale, L’S&P500, è di quasi il 40% sopra a un anno fa e di oltre il 16% sopra a sei mesi fa. Indifferente (per ora) a qualunque oscillazione elettorale. Il recupero di Trump nei sondaggi nelle ultime settimane si vede invece nel mercato dei titoli di Stato americani. Nell’ultimo mese il prezzo dei Treasuries decennali è improvvisamente crollato e dunque i rendimenti sono saliti di 56 punti-base (0,56%) e di quasi 71 dal taglio dei tassi della Federal Reserve di metà settembre. Il cedimento della carta americana è tale che ormai paga uno spread di quasi 80 punti — sul decennale — persino sull’indebitatissimo Tesoro italiano. Sono smottamenti sismici, macroscopici, visibili ad occhio nudo dalla Luna: il debito pubblico americano da solo è un mercato da circa 30 mila miliardi di dollari, quasi tre volte la capitalizzazione di tutte le borse europee messe insieme. Ma perché crolla così improvvisamente? Non può essere per timori d’inflazione, che in America è in calo verso livelli rassicuranti. È perché Trump promette vasti tagli alle tasse a favore di ricchi e imprese tutti a debito, alzando ancora di più un deficit che già oggi viaggia al 7,3% del prodotto lordo. Ciò comporterebbe l’emissione di molti più titoli pubblici americani in vendita, quindi rendimenti più alti (e prezzi più bassi) per attrarre compratori. Il mercato si posiziona su Trump alla Casa Bianca. E ha sempre ragione, meno quando si sbaglia.
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Aumenta l’incertezza sui mercati azionari dopo il dibattito Trump-Harris: nessuno dei due candidati ha chiarito le politiche economiche e fiscali future. Il faccia a faccia tra i due candidati non ha ancora spostato l’ago della bilancia e i mercati finanziari riflettono questa indecisione, aspettando i dati sull’inflazione CPI alle 14:30 di oggi. Gli indici di Wall Street hanno chiuso in ordine sparso, prima che il duello TV iniziasse alle 21 ora locale (le 3 del mattino in Italia), con il Dow Jones in calo dello 0,23%, l’S&P 500 in crescita dello 0,45% e il Nasdaq Composite a +0,84%. L’indice di volatilità implicita del Cboe (VIX), a 19 punti circa, resta sotto i livelli di guardia dopo l’impennata di agosto, ma secondo gli esperti potrebbe crescere nelle prossime settimane in vista delle elezioni di novembre.
Cresce il rischio sui mercati. Tutta colpa del dibattito Trump-Harris
money.it
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Giovedì La cravatta viola fornisce un appiglio nella confusione del giorno Ma lei è Jerome o Christine? Il Nasdaq sale Il Vix scende Dal Trump trade al Powell trade è un attimo Ok la stabilità dei prezzi, ma anche quella dei mercati non ci spiace Un taglio da 25 punti base che segue il precedente da 50 I tassi, ancora restrittivi, raggiungono il 4,5% Citando Michael Bublé, Jay si sbilancia sull’economia “I’m feeling good”, ma senza swing Poi, riprendendo se stesso: la politica fiscale “is on an unsustainable path” Il messaggio è subliminale: se con questo deficit abbiamo piena occupazione, un suo ridimensionamento potrebbe portare a conseguenze che non dipendono dalla Fed Poi però pensa a Trump, alla gestione del defic… ok ok, torniamo all’inflazione Gli aggiustamenti rispetto allo speech di settembre sono minimi L’attenzione è a dicembre e all’aggiornamento delle previsioni macro Dazi, stretta all’immigrazione, taglio delle tasse, deregulation, programmi di spesa… "Non facciamo ipotesi, non speculiamo e non diamo nulla per scontato" La ricetta è semplice: ci muoveremo nel breve termine a seconda dei segnali dell’economia Oplà Un’ultima cosa: “Se il presidente Trump glielo chiedesse, si dimetterebbe dall'incarico di presidente della Fed?” Due lettere e nessun giro di parole La risposta, in foto.
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