Accordi di ristrutturazione “ordinari”: incompatibilita’ con i reati di bancarotta e divieto di analogia in malam partem.
La V sez. pen. della Corte di Cassazione, con sent. n. 19540 del 2022, affronta una faccenda particolarmente intricata: le norme in materia di bancarotta possono essere estese per punire le condotte illecite tenute nell’ambito degli accordi di ristrutturazione c.d. “ordinari”?
Brevemente i fatti: il Tribunale del Riesame vietava temporaneamente l’esercizio di ogni attività imprenditoriale all’amministratore di una S.p.a., indagato per aver simulato l’esistenza di crediti inesistenti al fine di ottenere l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti.
Il difensore dell’indagato, attraverso un valido ricorso per Cassazione, “aggredisce” la decisione, facendo valere un evidente vizio di motivazione: nonostante l’art. 236 l. fall. parli inequivocabilmente di accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari, il Tribunale de libertate ha optato per una sua interpretazione analogica in malam partem, così da non lasciare impuniti i comportamenti illeciti commessi nell’ambito di un accordo di ristrutturazione “ordinario”.
Il Supremo Collegio, mediante pregevoli argomentazioni, accoglie il ricorso e censura integralmente la decisione di merito, disponendo l’annullamento della misura interdittiva disposta.
In primis, la Corte ricorda che l’art. 236, co. 2, l. fall. estende le disposizioni incriminatrici in materia di bancarotta agli amministratori della società, soltanto qualora questi ultimi si siano attribuiti attività inesistenti per concludere un accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari ex art. 182 septies.
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Per tali ragioni, in forza del divieto di interpretazione analogica in malam partem, gli eventuali comportamenti illeciti “tipici della bancarotta” commessi nell’ambito di un accordo di ristrutturazione c.d. “ordinario” non possono essere puniti ex art. 236 l. fall., poiché non contemplati in alcun modo dal dato normativo che si riferisce ad accordi sui generis.
In secundis, la V sez. evidenzia la diversa natura degli accordi di ristrutturazione c.d. “ordinari” rispetto agli accordi ex art. 182 septies l. fall: i primi consentono all’imprenditore in crisi di proporre un accordo ai creditori per evitare l’apertura di una procedura concorsuale, i secondi permettono all’imprenditore di estendere gli effetti dell’accordo (sottoscritto con le banche) anche ai creditori finanziari non aderenti.
Ad adiuvandum, la Corte ribadisce che le eventuali condotte illecite realizzate nell’ambito degli accordi di ristrutturazione “ordinari” non sono destinate a rimanere impunite, ben potendo integrare altre fattispecie di reato (quali ad esempio le false comunicazioni sociali).
In conclusione, nonostante la “larghezza delle maglie” dell’art. 236 l. fall., la pronuncia in esame disapprova l’estensione “smisurata” delle ipotesi di bancarotta, redarguendo quei giudici che svolgono un inopportuno sindacato sul merito delle scelte compiute dall’imprenditore, piuttosto che sull’effettiva sussistenza di un delitto.