AGGREGAZIONE: DA DIVIETO AD OPPORTUNITA'
Tre mesi. Lunghissimi. Nei quali ci è stato ripetuto, come un mantra, che l'aggregazione (o l'assembramento) era ed è la principale forma di propagazione del virus. Al di là delle diverse opinioni sulla reale necessità de lockdown, è indubbio che la Fase 1 e la Fase 2 sono state caratterizzate dalla prevalenza dell'aspetto sanitario rispetto a quello economico.
Ora ci attende una Fase 3.
Ed il principale cambiamento nella Fase 3 è l'inversione delle priorità: l'economia, con tutto quello che serve per rilanciarla, diventa prioritaria rispetto ad una situazione sanitaria che sembra essere di nuovo sotto controllo. E che anche se non lo fosse, diventa lo scoglio verso il quale navigare perché un ulteriore impatto con quello della recessione economica provocherebbe sicuramente l'affondamento.
Gli indicatori economici sono da dopoguerra, forse anche peggio. Tutti. PIL, disoccupazione, bilancia commerciale, fiducia dei consumatori. Le aziende fanno fatica a ripartire, leggevo oggi una statistica prevedere che il 28% delle aziende che ha riaperto, e sono una piccola parte del totale, non ce la farà e dovrà chiudere definitivamente. E posti di lavoro che se ne vanno.
Probabilmente è arrivato il momento di fare quel grande cambiamento culturale che l'Italia non ha fatto: lasciare il piccolo a favore del medio e del grande. Intendiamoci: per definizione europea rientrano tra le piccole aziende società con decine di dipendenti (fino a 50) e milioni di fatturato (fino a 10). Ma esiste un "esercito" di microimprese, le aziende con massimo 10 dipendenti e 2 milioni di fatturato. Quelle che per struttura ed organizzazione sono più vulnerabili e saranno le prime ad essere colpite dalla crisi. Ed in Italia sono 4,1 milioni, il 95% del totale.
Lo vedo in uno dei settori nei quali opero, l'organizzazione di eventi, che prendo ad esempio. Ma le mie riflessioni valgono per tutti i settori.
Facile intuire che il settore non ha avuto un calo di fatturato: si è azzerato. Ed è facile immaginare che tra i tanti settori, sarà tra gli ultimi a ripartire, a riacquistare, se mai succederà, una parvenza di normalità.
Solo a Milano, capitale italiana degli eventi con 40.000 appuntamenti annuali, ci sono oltre 400 aziende che si occupano di questo. Il 95% con meno di 10 dipendenti.
Quanti non ce la faranno? Quanti posti di lavoro salteranno? Tanti.
A mio avviso c'è una sola strada per arginare il fenomeno: l'aggregazione.
Come? Le formule sono tante. E deve essere scelta quella giusta in relazione agli obiettivi che l'aggregazione si pone:
- condividendo gli spazi e i costi fissi, per esempio. L'equazione è molto semplice nel suo cinismo: se due aziende con due dipendenti chiudono, perdiamo quattro posti di lavoro. Se si mettono insieme è probabile che almeno due di quei quattro posti vengano salvati
- aggregando le unità produttive per chi, per esempio, produce allestimenti, stampa, visual, gadget o altro.
- creando gruppi d'acquisto, per chi, ad esempio, fa catering.
- condividendo l'attività sotto un unico brand, dimezzando, o più, le spese commerciali e di promozione
Oggi è una tattica difensiva, finalizzata alla sopravvivenza. In prospettiva una grande opportunità per riacquisire competitività sui mercati. Ed è da fare in fretta perché il tempo non ci è amico.
Che dite, ci aggreghiamo?