ALBERTO ANDREIS | BABELE
ALBERTO ANDREIS | BABELE Ponte e parole, ombre riportate e disorientamenti contemporanei. Verso l’unità perduta a cura di Gaia Conti
INAUGURAZIONE sabato 20 maggio 2017 - ore 18.00 BAG Gallery, Via Passeri 95 - 97, Pesaro (ingresso libero)
21 maggio - 18 giugno 2017 (su appuntamento)
Lunghi silenzi echeggiano solitari. Cresce, si sviluppa, avvolge, sembra crollare e si espande. Imponente ed essenziale, vuota al suo interno, la torre di Babele si erge nello spazio stagliandosi contro un cielo graffiante. L’area circostante è densa di fosche nubi. La BAG Gallery di Pesaro presenta, tra dipinti e disegni, lo scenario onirico di Alberto Andreis. L’esposizione, dal titolo impegnativo e denso, “BABELE ponte e parole, ombre riportate e disorientamenti contemporanei. Verso l’unità perduta.”, inaugura la nuova location della galleria in centro città.
Ricca di spunti attuali questa mostra presenta i lavori di un artista che è talentuoso e raffinato scenografo, decoratore, disegnatore e fotografo. Da diversi anni Andreis analizza in maniera puntuale il tema della famosa torre. Un soggetto vecchio come il mondo, un mito di origine biblica, ma anche un’efficace metafora del nostro presente. “Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra” - Genesi (11,19). L’essere umano in competizione con l’Altissimo, l’uomo arrogante, sfacciato, che si spinge oltre i Limiti con una costruzione talmente elevata da “toccare” il cielo. E la storica vendetta di Dio che mischia le carte, anzi i linguaggi, fino a vanificare ogni sforzo.
Attraverso questo suo viaggio analitico intorno all’imperituro simbolo, l’artista riapre il discorso della stagione metafisica italiana con uno stile personale e definito. Estrema cura per ogni dettaglio, visionarietà e pathos accompagnati da un senso di cupo ed enigmatico mistero. Energia, sensibilità, spontaneità si toccano con mano nella rappresentazione di scenari surreali disabitati dall’uomo, che è sapientemente escluso dal racconto visivo, pur essendone suo diretto riflesso. Alienazione e solitudine. Come nell’imbastire una scenografia teatrale Andreis realizza composizioni congelate nel momento stesso dello svolgimento attraverso visioni labirintiche a volte instabili e traballanti, altre solide e spiraliformi, incompiute o distrutte. Spesso la costruzione oltrepassa la tela lasciandone solo intuire il termine ultimo, uno scheletro abbandonato percorso visionariamente nei suoi scarni interni. Non fornisce alcuna informazione sulla definizione di un luogo specifico, non lascia alcun indizio per intuire un tempo preciso. Alla fine di tutto e all’inizio del nulla ci sono questi spazi architettonici al sapore d’utopia e d’ispirazione neoclassica, suggestioni antiche, atemporali e immerse in un’incessante attesa.
Acrilici e carboncini che disegnano una realtà spoglia, misteriosa ed intrigante. Una visione di un mondo assoluto che non appartiene all’uomo ma all’ombra di esso e delle sue relazioni. Un’ombra che si presenta traslata lasciando la porta aperta a interpretazioni più profonde sul palcoscenico di una verità di cui Babele non è il punto di arrivo, ma quello di partenza. Il miraggio che si fa reale e tangibile, la tensione verso l’infinito cammino della costruzione, verso la visione, verso l’unità perduta.
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