Campania 2015
Che prospettive ci sono per l'economia del Sud e della Campania nel 2015? Le indicazioni dei dati macro-economici sono timidamente rassicuranti, con un Sistema Italia che si ritrova ad essere Mezzogiorno d'Europa più che economia trainante dell'Eurozona. Per invertire la rotta servono cambiamenti e quelli annunciati da Renzi non sembrano preoccuparsi troppo della frattura Nord/Sud che taglia ancora di netto lo stivale. Sud e Campania attendono di capire come saranno spesi nel concreto i soldi della nuova programmazione 2014-20. Perché si tratta di economie ancora dipendenti dalla spesa pubblica e un cambio di mentalità in tal senso è ancora lontano. I dati riferiscono di un leggero aumento del Pil e dei consumi. Basterà per la ripresa? Più che un mercato preoccupato alla produzione quello meridionale è un mercato dedito al consumo. Pubblica amministrazione, dipendenti pubblici, commercio al dettaglio, restano componenti ancora troppo centrali dell'economia meridionale. Sembra inoltre assente un disegno industriale prospettico per i grandi comparti dell'economia campana legati al metalmeccanico, la cantieristica, i trasporti, l'industria aerospaziale, per i quali le prospettive di internazionalizzazione sono ancora insufficienti a generare una crescita generalizzata. La disoccupazione, secondo l'Istat, in Campania resterà più alta che in Italia e nel Sud. Secondo lei perché? Quella campana resta un'economia dal potenziale di crescita altissimo, grazie alla presenza di grandi aziende traino ma anche di tantissime medie e piccole aziende aziende guidate da imprenditori che continuano dalla Campania sfidare la globalizzazione. Finito, si spera, il tempo delle grandi assunzioni nella P.A., le possibilità di rilancio dell'occupazione dovrebbero passare per una visione dell'economia meridionale che al momento sembra mancare. E anche laddove ci sono timidi segnali positivi, come nel terziario avanzato e nel tecnologico, bisognerebbe smetterla con politiche simboliche volte ad incentivare la costituzione di nuove imprese. Stop alle retoriche celebrative degli incubatori e delle start-up ma lavorare piuttosto su processi di accorpamento, per ridurre la polverizzazione delle micro-imprese, costruendo soggetti grandi e competitivi a livello internazionale. Secondo molti economisti il grande problema della Campania e del Sud è rappresentato dalla scarsa produttività più che dalle norme sul lavoro. E' così? Lei che ne pensa? Credo che non esista un problema antropologico di bassa produttività ma che esista una questione meridionale, come grande ritardo organizzativo e manageriale che colpisce la media e la piccola impresa, specie nel settore HR e Marketing, spesso affidata a soggetti leader che riescono a delegare poco e che sono più propensi a passare il governo dell'azienda a parenti che non a figure manageriali provenienti dal mercato delle competenze. Scarsa organizzazione generale dettata dalla cecità della politica meridionale di capire i bisogni delle imprese ma anche di comprendere i cambiamenti che le aziende possono generare per trasformare il territorio. Il mercato campano e meridionale è ancora poca cosa rispetto all'economia pubblica e alla pubblica amministrazione, troppo forti per perdere il monopolio dell'attenzione politica. Quali potrebbero essere le principali leve di sviluppo della Campania nel 2015? Direi terziarizzazione attingendo alle risorse intellettuali dei giovani laureati nelle nostre università, managerializzazione spinta del settore enogastronomico, incentivi all'accorpamento in settori caratterizzati da forte frammentazione, turismo e ancora servizi lavorando su alcuni brand particolarmente vincenti a livello internazionale, penso a Mozzarella, Sorrento, Pompei, Vesuvio, Paestum, Dieta mediterranea ma l'elenco potrebbe continuare ad oltranza se vi fosse un approccio di marketing territoriale in grado di valorizzare le risorse materiali di cui disponiamo. Spesa pubblica sul patrimonio storico e architettonico ma anche in grado di stimolare l'investimento dei privati e poi più sostegno da parte delle banche ancora, troppo guardinghe nei confronti dei profili di rischio delle imprese meridionali. E le imprese locali che scenario devono aspettarsi? Più che aspettare l'arrivo di uno scenario favorevole, il compito delle imprese deve esse quello di stimolare un cambio radicale di mentalità, accrescendo lo status dell'economia privata nei confronti della agenzie deputate all'educazione e alla formazione dei cittadini. Serve una cultura aziendalista capace di penetrare nelle aspettative della gente del Sud. Penso a di figure professionali come quella dei commerciali, fondamentali per la vita di tante aziende e che nel Mezzogiorno godono di una reputazione non proprio favorevole, spesso percepiti come l'ultimo gradino della filiera produttiva. Penso alla separazione del mondo della Scuola e cosa ancora più grave dell'Università rispetto a quello delle aziende, che finisce per sfornare laureati poco attenti a competenze imprescindibili per accrescere la competitività di aziende che devono organizzarsi e internazionalizzarsi.