Chi vuole rompere la catena?

Chi vuole rompere la catena?

Sappiamo dalla ricerca in psicoterapia che una grande porzione del disagio psichico origina biograficamente nell'infanzia, all'interno del rapporto con i genitori, in una catena di credenze e relazioni disfunzionali in parte transgenerazionali. Essere genitori è molto difficile per tanti motivi, ma soprattutto se non lo si coglie come stimolo anche per lavorare su di sé psicologicamente.

Meglio darsi questa possibilità prima di divenire genitori, ma anche in quel caso mediamente ci si mette comunque circa metà della propria vita per capire sino in fondo quanto siamo invischiati nelle richieste e aspettative (più o meno internalizzate e inconsce) delle persone più vicine e significative. In continua ricerca di un equilibrio tra il bisogno di relazione ed il bisogno di individuazione. Inconsciamente proiettiamo sugli altri le difficoltà di relazione che abbiamo con le nostre parti interne.

Non so se sia chiaro, ma queste dinamiche sono tra quelle che influenzeranno maggiormente la vostra vita di coppia, relazionale, genitoriale e realizzativa. Noi umani fatichiamo a guardarci dentro, in parte per come si é evoluta la nostra mente, in parte è culturale. Se possiamo evitarlo lo evitiamo sino all'ultimo, ma invece è una delle avventure e sfide più importanti che possiamo perseguire. Per noi e per chi ci sta intorno.

Da bambini ci si illude inconsciamente che la felicità dei nostri genitori dipenda in buona misura da noi, perché psicologicamente non abbiamo le capacità e l'autonomia per fare altrimenti, dipendiamo affettivamente e materialmente da loro. Senza accorgercene sviluppiamo comportamenti e credenze fedeli a modelli che ci alienano, pur di avere amore, riconoscimento o per non sentirci in colpa se essendo noi stessi (liberi e felici) l'altro soffrirà. Invischiati come lo sono stati (in parte o significativamente) i nostri stessi genitori da figli. Escludendo casi gravi violenti e traumatici, fuori da una logica vittima carnefice, i genitori stessi subiscono inconsciamente questi meccanismi agendoli nelle relazioni.

Grazie al modello dell'attaccamento di Bowlby sappiamo che certi schemi relazionali disfunzionali influenzano non solo il rapporto genitori figli ma anche il rapporto di coppia e tutte le relazioni significative. Possiamo capire che nel 2024, nei paesi sviluppati, pensare di diventare adulti senza conoscere se stessi un pò più in profondità non è più sostenibile individualmente ma anche collettivamente a tendere.

Nota: non basta fare tutto da soli, perché la psiche ha dei limiti intrinseci nell'auto-introspezione, nella metacognizione che necessitano di essere sviluppate all'interno di una relazione positiva con un professionista, quanto meno all'inizio, poi il lavoro prosegue dentro di sé per anni.

Per fortuna ci sono molti genitori sufficientemente capaci. La genitorialità è un fenomeno super complesso in cui concorrono molti fattori: culturali, sociali, economici, genetici, ecc.. Ma il piano psicologico è uno dei più impattanti a parità degli altri fattori.

L'immagine che ho messo nell'articolo è la copertina del bel libro del collega Francesco Gazzillo, rappresentante in Italia dell'approccio psicoterapeutico psicodinamico Control Mastery Theory (CMT). Sicuramente un testo per addetti ai lavori, ma leggibile anche da non esperti essendo la CMT un modello che semplifica in modo pragmatico molti concetti psicoanalitici, a volte in passato a comunicati con un linguaggio astruso. Ho messo la copertina di questo libro perché in un capitolo Gazzillo sintetizza proprio questi temi di fedeltà e sensi di colpa disfunzionali che intercorrono tra genitori e figli, che sottendono molto del disagio mentale. In parte mi ha ricordato certi modelli sistemici di non detto e ordini disfunzionali nelle famiglie, che a loro volta furono in origine influenzati dalla psicoanalisi.

Come diceva bonariamente con una battuta la mia analista: "iscriversi a psicologia è un sintomo".

Siamo tutti immersi in misura diversa in queste difficoltà relazionali e di individuazione psicologica, il punto non è ritenersi l'eccezione, immuni o migliori di altri ma fare i conti con la propria ombra che, piccola o grande che sia, abbiamo tutti. Anche per questo C.G. Jung propose per i futuri psicoterapeuti di fare una o più psicoterapie su di sé oltre che le supervisioni. Non basta conoscersi teoricamente in terza persona, non bastano il ragionamento ed il buon senso, servono delle esperienze dirette in prima persona, incarnate, all'interno di una relazione costruttiva, a contatto con quelle emozioni difficili che attacchiamo o fuggiamo.

Forse non è un caso che Dante descrisse la parte più profonda dei gironi infernali non come quella più fiammeggiante ma bensì ghiacciata, come il dolore che ghiaccia il cuore, la speranza, la vita.

Le difese infantili, che da piccoli ci hanno in parte protetto da quel rischio di ghiaccio interiore, con il tempo si irrigidiscono e da armature d'emergenza si sono sclerotizzate diventando ipertrofiche gabbie che ci impediscono oggi di entrare pienamente in relazione con parti di noi e con gli altri, anche quelli che amiamo.

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