Città intelligenti
Le chiamano Smart Cities, città intelligenti!
Città che, grazie all'innovazione tecnologica, contribuiscono a migliorare la qualità della vita delle persone riducendo – un po' come in una moderna fabbrica 4.0 – tutti gli sprechi di tempo, di denaro e di risorse che spesso, in questo caso, finiscono per essere le principali responsabili dell’inquinamento e del riscaldamento globale.
E' anche per questo che l'Agenda 2030 dell’ONU ha messo al centro dei suoi 17 macro obiettivi per lo sviluppo sostenibile (SDG) il tema delle “smart cities”: “Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, resilienti e sostenibili è infatti l’Obiettivo n.11 in cui, ancora una volta però, si associano le città “intelligenti” alla tecnologia o ad altri aspetti non legati direttamente all’uomo.
Dopo la “Nuova Agenda Urbana” redatta a Quito (Ecuador), nel 2016 anche l’Unione Europea ha emesso una sua “European Urban Agenda” che spazia dalla riduzione della povertà alla mobilità, dall’alloggio alle economie circolari, dal cambiamento climatico all’integrazione degli immigrati.
Ma quale che siano i trend di governance, resta il fatto che - da un punto di vista generale - la progressiva urbanizzazione continuerà ad essere un fenomeno mondiale anche nei prossimi anni. E se nei decenni scorsi ciò che rendeva la città un luogo attraente in cui vivere e lavorare era in gran parte legato alla sicurezza e alla condivisione di servizi e risorse unite in una fitta rete di interazioni, nei prossimi anni tutto ciò si integrerà con un concetto di “smartness” tecnologica sempre più rapida e pervasiva che andrà a impattare anche in molti aspetti legati alla qualità della vita.
Così creando una “rete” elettronica e digitale che, assieme alla "grid" infrastrutturale, trasformerà fortemente la “value proposition” dei centri urbani.
Ora, se però nessuno sa ancora con certezza come si evolveranno i modelli urbani a lungo termine, tuttavia è molto probabile immaginare che in un futuro prossimo le persone – soprattutto quelle legate alle nuove generazioni - diventeranno più attente ad altri aspetti legati al vivere: pensiamo all’ambiente, alla mobilità, al lavoro ma anche al comfort e alla funzionalità (e convenienza) dell’essere e del benessere. Insomma, se il mondo è anche complesso è perchè ai giorni nostri le (tante) persone vogliono sempre più (e subito) cose diverse che diano loro valore aggiunto. E che possono variare a seconda del loro genere, lavoro, età o passioni. O stili di vita. Per esempio, se per alcuni è normale tornare a fare ore di coda in auto per andare al lavoro dopo tanti mesi di pandemia, per altri quello che è successo diventerà uno stimolo per uscire dagli schemi precedenti, così andando a cercare una qualità della vita fuori dalle città o uno spazio urbano di vita dettato dalla prossemica dei “15 minuti" da casa.
Essendo tutto questo un fenomeno mondiale, possiamo dire che ogni città troverà la sua strada?
Io ritengo di sì. Così contribuendo a mantenere le umane differenze non fosse altro che ogni città è lo specchio delle diverse persone che le vivono. Quindi anche le “smart cities” giocheranno un ruolo in questo passaggio epocale, aiutando gli abitanti a crescere in maniera più sostenibile dentro le mura dell'ambiente urbano.
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Tuttavia tutti questi ambiziosi traguardi non potranno essere realizzati in breve tempo: tante ancora sono le sfide – tecnologiche ma anche sociali e politiche – che oggi restano aperte.
Quale che sia la prospettiva dalla quale si osservino tali fenomeni, le “smart cities” raccoglieranno molteplici significati anche a causa di quattro dimensioni fondamentali del nuovo spazio urbano: l'infrastruttura della rete, la governance, l'inclusione sociale e la sostenibilità.
Indubbiamente per ognuna di queste dimensioni, la tecnologia e l'innovazione giocano trasversalmente un ruolo chiave per la creazione e l’evoluzione delle città intelligenti. Ed è forse per questo motivo che molto spesso si è andati a confondere la “smartness” con la sola parte tecnologica o infrastrutturale. Così finendo per dimenticare il ruolo del cittadino, ossia l’end-user o il fruitore/destinatario finale di questi spazi.
Ecco perchè, al di là di quali e quanti siano gli indicatori di efficienza strutturale, poco o nulla si è detto per spiegare con esattezza quando un cittadino è “smart”.
Dobbiamo infatti pensare che, pur essendo anche cittadini digitalmente “abili”, le “smart people” di queste “smart cities” restano in fondo uomini e donne di un “nuovo mondo” che - sotto la “pelle digitale” e dentro una città di “smart homes” - rimangono pur sempre esseri umani portatori di competenze e bisogni “umani”, culturali e sociali prima che digitali.
Ecco allora che - per essere davvero "cittadini smart" – potrebbe essere utile (ri)partire dal concetto che la tecnologia non può essere fine a sé stessa ma deve servire a riconnettere (o a connettere meglio) chi è al centro della città, vale a dire l’uomo.
Non fosse altro che per evitare l’estremo paradosso di avere in un futuro persone che parlano di più con gli elettrodomestici piuttosto che con la propria famiglia, il proprio collega o vicino.
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