Commento settimanale ai mercati finanziari (3 ottobre)
Adesso abbiamo anche il problema Credit Suisse con i CDF (Credit default swap) saliti ai massimi del 2009, a farci ricorda l’infausta stagione dei mutui subprime culminata con il fallimento di Lehman, a cui se ne sarebbero ben presto aggiunte altre banche con conseguenze disastrose sul settore finanziario se non fosse intervenuta la Fed a salvare il sistema con copiose immissioni di liquidità. E di fatto dando l’avvio a quella sorta di “helicopter money” che contraddistinto il sistema finanziario fino a qualche mese fa.
La paura di una altro crollo di Wall come nel 1929, sui cui Ben Bernanke allora a capo della Fed aveva fatto la sua tesi di laurea, determinò la decisione di sostenere il mercato finanziario cambiando il ruolo della Fed passata da arbitro a giocatore a tutti gli effetti nel sistema, seppure non in maniera cosi decisa che costrinse la banca centrale ad inseguire, situazione ancora attuale. Ma gettando la semina per le problematiche a cui stiamo assistendo oggi come l’iperinflazione e la mancanza di credibilità della principale istituzione monetaria.
Tutta la liquidità pompata nel sistema, addirittura implementata nel 2018 e dopo la pandemia del 2020, si è diretta principalmente verso il comparto finanziario ed immobiliare, più che verso i consumatori, gonfiando di fatto qualsiasi attività finanziaria,( basti solo ricordare il vertiginoso aumento del Bitcoin divenuto un asset speculativo a tutti gli effetti pur essendo nato come valuta anti-sistema) essendo perdipiù supportata dalla stessa Fed che visto ampliarsi a dismisura il suo bilancio per sostenere una politica ultra espansiva
Il secondo aspetto fondamentale riguarda ovviamente la credibilità dell’istituzione monetaria, pesantemente compressa con la dichiarazione da parte di Powell della presenza di una inflazione “transitoria” che invece ha segnato massimi da 40 anni a questa parte. E già questo è già grave perché evidenzia una perdita di consapevolezza della realtà da chi dovrebbe essere deputato a gestirla. Ma che ben identifica il processo di normalizzazione in corso, non solo sul discorso tassi ma anche sul lato del ruolo della Fed tornato nuovamente al suo ruolo originario di arbitro, cioè di stabilizzatore dell’economia e non dei mercati finanziari, cosa che gli investitori faticano a capire oltre 10 anni di “bonanza”
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La situazione attuale ha molti punti in comune con ciò che è accaduto in America a cavallo degli anni ’70 e ’80 del secolo scorso quando una crisi energetica, proprio come adesso, portò l’inflazione su livelli molto elevati e furono necessarie dosi massicce di rialzi dei tassi per riportare la situazione sotto controllo che innescarono una forte recessione ed una disoccupazione superiore al 10%. Ma la riduzione troppo prematura dei tassi provocò una nuova ripartenza dell’inflazione cosa che spaventa Powell attento a non commettere nuovamente lo stesso errore. Ma allo stesso modo ricorda molto da vicino anche lo scoppio della bolla dot.com ad inizio secolo, anche se in maniera decisamente più ordinata grazie alla sostanziale tenuta della decina di titoli principali Big tech che ormai capitalizzano più di un terzo del listino
Con tale credibilità da recuperare sembra pertanto difficile che Powell si discosti in tempi brevi dalla linea della fermezza, come avevano erroneamente pensato gli investitori provocando il rally estivo. Mentre all’orizzonte si avvicina la stagione delle trimestrali che daranno una idea dell’impatto sugli utili aziendali del rialzo del 3% dei tassi visto da marzo in poi proprio in virtù del fatto del tempo richiesto per far sentire gli effetti sull’economia, in presenza comunque di un mercato del lavoro che continua a rimanere forte come dovrebbero confermare i dati sull’occupazione del prossimo venerdi.
La complessità della situazione generale, anche in termini geopolitici con l’inasprirsi del conflitto Ucraino assieme al ritorno delle voci di uso di armi nucleari a cui si aggiunge la crisi energetica in Europa e le difficoltà economiche cinesi, evidenziano ancora di più l’errore di “timing” e di visione di Powell che ha clamorosamente sbagliato a non operare sulla leva del rialzo dei tassi nell’ estate del 2021 in presenza di un contesto estremamente favorevole anche post pandemia, con il risultato di dover essere sempre costretto ad inseguire “la curva”. Esattamente come aveva fatto il suo predecessore Bernanke 10 anni prima. A conferma che difficilmente si impari dagli errori passati e che la storia tende sorprendentemente a ripetersi, pur con caratteristiche diverse, in particolare in campo finanziario.
Settimana contrassegnata principalmente dai dati sull’occupazione americana venerdi prossimo fondamentali per capire l’operato della Fed assieme all’ Ism manufatturiero lunedi. Per quanto riguarda l’Europa lunedi verrà pubblicato il dato sul Pmi manufatturiero , martedi quello sui prezzi alla produzione PPI mentre giovedi le vendite al dettaglio. Altro evento chiave sarà la riunione dell’Opec+ mercoledì.