CORONAVIRUS: sintomi psichiatrici?
In un periodo di quarantena forzata, imposta un po’ in tutto il pianeta, dopo aver affrontato le emergenze sanitarie derivanti dalla pandemia del coronavirus, si inizia a parlare seriamente degli effetti sull’#economia, e degli effetti sulla #psicologia delle persone. Tralasciando gli aspetti medici, e quelli economici della #pandemia, cerchiamo di concentrarci sugli aspetti psicologici della quarantena da #coronavirus. Ad oggi non esistono studi scientifici validi, che possano predire le conseguenze di questa condizione planetaria, perché non si è mai verificato nulla di simile prima, che possa servire da confronto. Per valutare le conseguenze psicologiche della #quarantena, si utilizzano i criteri standard della valutazione di sintomatologie psichiatriche classiche, ma su questa procedura occorrerebbe riflettere bene.
Cos’è in pratica un sintomo di una patologia psichiatrica? Per certi versi i #sintomi psichiatrici potrebbero essere paragonati ai sintomi della comune #allergia: quando una persona allergica entra in contatto con la sostanza che le provoca allergia, il suo corpo genera delle risposte fisiologiche normali, che però vengono accentuate enormemente, fino a provocare condizioni non compatibili con la vita. Allo stesso modo dell’allergia, i sintomi psichiatrici sono comportamenti (ed in alcuni casi anche reazioni fisiologiche) normali, che però vengono messi in atto in situazioni che non richiedono quei comportamenti, e vengono messi in atto in modo molto accentuato. In alcuni casi, anche i sintomi psichiatrici possono portare alla morte per suicidio, o per conseguenze secondarie, derivate dai comportamenti messi in atto. Dunque un comportamento normale diventa “psichiatrico”, quando viene messo in atto in situazioni che non lo richiedono, e viene messo in atto in modo particolarmente accentuato. Aggiungiamo che tali comportamenti diventano cronici nel tempo.
Adesso proviamo a pensare alla condizione della quarantena, che oggi rappresenta la normalità. Viviamo in ambiente ristretto, siamo costretti a sperimentare una convivenza diversa dal solito, fatta da una continua compresenza mai provata, sono ridotte le scelte alimentari, chi non ha un giardino gode di meno ore di luce del solito, abbiamo meno impegni del solito, ma soprattutto viviamo nell’incertezza più totale sul nostro futuro.
Questa situazione, che sarebbe anormale di per se, oggi è la normalità, dunque i comportamenti, che vengono definiti psichiatrici, dovrebbero essere valutati in funzione della condizione di vita “normale” attuale, e non in funzione di una condizione di vita ideale.
Proviamo a fare qualche esempio pratico. Se passiamo la giornata in casa, abbiamo poca luce del sole, ci annoiamo, mangiamo più frequentemente del solito (usando cibi di conforto al posto di frutta e verdura), è piuttosto normale che la notte possano verificarsi episodi d’insonnia. Molto probabilmente questi episodi di insonnia finiranno con la ripresa di sane abitudini quotidiane post-quarantena. Se siamo in casa, preoccupati per il futuro, senza impegni lavorativi, senza la possibilità di fare movimento, e con il frigo a portata di mano, è abbastanza probabile che aumenti l’appetito, ed il peso. Passeremo poi la primavera a correre ed a cercare di perdere il peso accumulato.
Insomma, prima di ipotizzare di essere diventati pazzi, ricordiamoci che è il mondo normale ad essere cambiato, e spesso i nostri comportamenti si adeguano al mondo, usando quella capacità di adattamento all’ambiente che ha fatto dell’uomo la specie dominante sul pianeta.
Solo a quarantena finita torneremo a valutare i comportamenti psichiatrici in base alle norme classiche ma, durante la quarantena, i comportamenti vanno valutati in funzione dell’ambiente circostante, e spesso l’aiuto di personale esperto può evitare #autodiagnosi (o peggio diagnosi del Dr. #Google ® o del Dr #Facebook ®) che possano portare preoccupazioni inutili.
Buona #quarantena a tutti
Dott. Alfonso DI GIUSEPPE
Psicologo