‘Craftindustrial’: i nuovi player delle filiere di valore
I maker rappresentano una comunità in crescita di creatori, costruttori e pensatori di tutte le età, interessi e livelli di abilità che, utilizzando le nuove tecnologie digitali si impegnano nella sperimentazione, nella collaborazione e nell’innovazione.
Si stima che oggi circa 135 milioni di adulti statunitensi siano makers, che il business generato dai maker in tutto il mondo sia pari a circa 29 miliardi di dollari e che il mercato dei prodotti di stampa 3D valga circa 8,4 miliardi di dollari. Anche in Italia abbiamo tutti sentito ampiamente parlare di loro durante le prime fasi della pandemia di Covid-19, soprattutto in ambito healthcare, quando a decine si sono mobilitati per far fronte alla carenza di attrezzature e dispositivi medici.
Il movimento nasce nel 2006 con il lancio del magazine di Dale Dougherty “Make: Magazine” nel 2005, seguito dalla prima edizione di Maker Faire nel 2006 a San Mateo in California. Da allora il Maker Movement unisce ingegneri, inventori, artigiani, pensatori e semplici appassionati in una subcultura strettamente associata alla stampa 3D e alle tecnologie di desktop manufacturing – dal taglio laser fino all’elettronica, ma anche l’hacking, il coding fino al mondo nuovo del biohacking – all’arrivo di Arduino e alla creazione degli spazi hacker, ovvero spazi di innovazione collaborativa sia fisica sia virtuale. Nel nostro Paese la consacrazione del Movimento Maker è stata sancita dall’enorme successo della
Maker Faire Rome – la più grande edizione al di fuori degli Stati Uniti, seconda solo a quella della Bay Area – e dall’esplosione di fablab e “maker spaces” per i quali l’Italia è seconda al mondo dopo gli Stati Uniti e insieme alla Francia.
Oggi i maker meritano sicuramente un’attenzione particolare. Non solo per l’ampiezza e la portata del movimento a livello globale ma anche perché ci stiamo muovendo, a passo spedito, verso una traiettoria che fa cadere i confini tra mondo artigianale e mondo digitale. Una traiettoria che abbiamo chiamato nel nostro volume
“Rilanciare la competitività” ‘craft-industrial’ e che unisce, appunto, il mondo dei maker con quello delle imprese più consolidate. La tendenza passa da un uso crescente delle tecnologie digitali e sfocia in una democratizzazione diffusa dell’imprenditorialità. Tutti possiamo essere imprenditori oggi grazie al fatto che le nuove tecnologie ci permettono di dare concretezza immediata alle nostre idee.
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La convergenza tra artigiani e industria, e questa democratizzazione imprenditoriale, ci conducono verso quello che è stato definito da Bentivogli “Rinascimento digitale”. Spiega l’autore nel suo libro sulle opportunità dell’artigianato hi-tech per l’Italia “Come accadde nel Rinascimento, quando artisti e artigiani poterono finalmente firmare le loro opere, i maker costituiscono un vero e proprio movimento culturale dalle enormi potenzialità sul piano dello sviluppo sociale ed economico, grazie alle loro capacità di esplorare nuove strade o semplicemente di percorrere in modo moderno quelle esistenti”.
L’avanzata dei maker denota e consacra, però, anche altre due importanti trasformazioni a cui tutti, ed in primis le imprese, dovrebbero prestare attenzione. La prima si lega alla tendenza all’innovazione aperta e collaborativa a cui i maker ci hanno ispirato e abituato. Il principio numero uno del ‘Maker Movement Manifesto’ è, infatti, quello dello sharing, della condivisione, ossia la libertà e la volontà di fornire idee e metterle a sistema, perché quando l’innovazione è condivisa moltiplica il suo effetto, producendo benessere per tutta la comunità. Una cultura collaborativa che, peraltro, come anche sottolineato da Massimo Banzi, padre fondatore di Arduino e co-protagonista del Maker Movement italiano, ben si inserisce nel tessuto imprenditoriale italiano. L’artigiano è da sempre chiamato a innovare continuamente, attraverso gli strumenti, i materiali, i modi di lavorare e le nuove conoscenze. Oggi, significa però anche accettare la sfida della tecnologia per rinnovarsi nel tempo, adottando questo nuovo modello produttivo-organizzativo incentrato su una idea di lavoro e di valore che deve partire dal basso.
La seconda sancisce l’importanza della ‘combinatorial innovation’, fenomeno largamente condiviso negli ultimi anni da Hal Varian, Chief Economist di Google. È un’innovazione che, non solo deve essere aperta e collaborativa, ma che deve passare anche attraverso la messa a sistema di ‘mattoncini di base’ che possono poi essere modificati, ampliati e ricombinati per portare a nuove idee. Secondo Varian è questa l’essenza stessa dei maker, la fluidità da maker a maker, ma anche da disciplina a disciplina, o da ‘stool’ a ‘stool’ (da sgabello a sgabello), usando il linguaggio maker. “Come si possono mettere insieme idee, scoperte, tecnologie e concetti usando un pensiero interdisciplinare fuori dagli schemi per creare l’incantesimo?”
Maker come Elon Musk di Tesla e società come Ford Motor ne rappresentano esempi alle due estremità dello spettro. Entrambi lavorano ogni giorno per diventare maker, combinando il progresso in una varietà di discipline come la fisica e l’informatica, l’energia (tecnologia delle batterie), la matematica (algoritmi, GPS) e il computer-aided design (CAD), per inventare le nuove macchine a guida autonoma. Molte delle scoperte scientifiche sviluppate dalla Defense Advanced Research Projects Agency (DARPA) e dalla NASA sono al centro del lavoro che SpaceX di Elon Musk sta facendo per costruire un razzo in grado di atterrare su Marte.
È questo il genere di progresso, è questo il potenziale trasformativo che questi nuovi player, i maker e, più in generale, la tendenza ‘crafindustrial’, sono in grado di creare oggi nelle filiere del valore. Ancora molto ci sarà sicuramente da vedere nei prossimi anni grazie alla caduta dei confini tra settori e, soprattutto, tra discipline un tempo non connesse tra loro. Tutti noi nelle imprese dovremmo, quindi, conoscere e adottare i principi del Maker Manifesto per competere con successo, innovando in modo continuativo, aperto e collaborativo.