Dalla gerarchia al dialogo: come gli agenti AI stanno cambiando il nostro modo di chiedere.

Dalla gerarchia al dialogo: come gli agenti AI stanno cambiando il nostro modo di chiedere.

C'è stato un tempo in cui frasi come "Vai a farmi le fotocopie" rappresentavano la quintessenza della gerarchia operativa. Comandi chiari, diretti e senza spazio per ambiguità. Ma nell’era degli agenti di intelligenza artificiale (AI), come Perplexity o Operator di OpenAI, quel modello sembra sempre più obsoleto.

La relazione con l’AI non è più univoca, ma dialogica. E richiede non solo precisione, ma anche una nuova forma di consapevolezza comunicativa.


Dal comando al dialogo: chi educa chi?

Con l'evoluzione degli agenti AI, non basta più impartire ordini secchi. Serve collaborazione, chiarezza e, perché no, un tocco di gentilezza. Pensate a questa situazione:

  • Comando tradizionale: "Vai a farmi le fotocopie."
  • Risposta AI: "Quali pagine? A colori o in bianco e nero? Quante copie?"
  • Replica: "Fai tu."
  • Conclusione AI: "Errore nella richiesta. Non posso procedere."

Questa è la nuova realtà: l’AI vuole capire prima di eseguire. E noi, invece di "comandare", dobbiamo imparare a comunicare. Questo nuovo approccio riflette un cambio di paradigma, dove non è più il "cosa fare", ma il "perché farlo" a diventare centrale.


Un nuovo galateo per l'era digitale

Se gli agenti AI diventano partner dialogici, anche il tono conta. Nessuno apprezza un capo autoritario, tanto meno un algoritmo. Ad esempio:

  • Versione autoritaria: "Prenota un volo per Milano."
  • Versione collaborativa: "Mi aiuti a trovare il miglior volo per Milano? Preferisco partire al mattino e con pochi scali."

La seconda versione non solo è più chiara, ma paradossalmente anche più umana. È ironico: un agente privo di emozioni ci costringe a riflettere sul nostro modo di comunicare.


Dal “cosa” al “perché”

Quando chiediamo qualcosa all’AI, implicitamente trasferiamo il processo decisionale. Non è più solo una questione di esecuzione, ma di interpretazione. Ad esempio:

  • Richiesta vaga: "Organizza la mia giornata."
  • Rischio: L’AI potrebbe pianificare otto meeting consecutivi senza pause, semplicemente perché non le abbiamo fornito contesto.

La lezione? Chiedere bene implica essere consapevoli di ciò che vogliamo. Serve chiarezza, ma anche riflessione sul "perché" della richiesta.


Chi educa chi?

L’ironia è evidente: stiamo insegnando agli agenti AI a capire il linguaggio umano, ma nel farlo stiamo imparando a essere più chiari, collaborativi e riflessivi. Questa trasformazione non riguarda solo la tecnologia, ma anche noi stessi.


La gentilezza del futuro

Forse, il vero impatto dell’AI non sarà solo nell’efficienza o nell’automazione, ma nel suo ruolo nell’affinare le nostre capacità di comunicazione. Potremmo guardare indietro e scoprire che la rivoluzione dell’AI ha portato a un mondo più riflessivo, collaborativo e, sorprendentemente, gentile.

E magari, la prossima volta che ci verrà da dire "Vai a farmi le fotocopie", diremo: "Mi aiuti a organizzare questo lavoro al meglio? Grazie." Quel "grazie" potrebbe essere il simbolo del nostro progresso.


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