E anche questo Natale...
La frase proseguitela pure voi: del resto la citazione dal leggendario Covelli (interpretato da un eccezionale Garrone, poi anche San Pietro per la Lavazza) tratta dal film "Vacanze di Natale" è diventata un must della fine delle Feste praticamente da quando esiste Facebook. Ogni anno, fra il 27 dicembre e il 3 gennaio, "levarsi il natale dalle palle" condividendo lo spezzone del film diventa trending topic, e la punta massima è stata raggiunta nel gennaio 2017. Quest'anno che la frase potrebbe essere pronunciata già con una settimana buona di anticipo, siamo tutti offesi e risentiti. Ma del resto è così con moltissime altre occasioni legate alla festa.
Prendete i clochard, per esempio: è così che sotto le feste si trasformano quelli che per il resto dell'anno sono più tradizionalmente i barboni. Proprio quei barboni cui solo all'inizio dell'autunno l'assessora di Como ha requisito le coperte buttandole nella spazzatura per salvaguardare il decoro urbano, in questi giorni stanno diventando un'esigenza ineludibile per dimostrare la propria incontenibile umanità e il proprio spirito di servizio, creando una pulsione umanitaria così forte da spingere a trasgredire le regole che costringerebbero a restare in casa con la propria famiglia, secondo il detto "Natale con i tuoi" così dolce e tradizionale come il presepe.
Il presepe, altro topic molto discusso sui social in questi giorni. Con le scuole praticamente bloccate in ogni attività prenatalizia a causa della pandemia, non potendo girovagare per le classi portando capanne, buoi e asinelli, l'attenzione di tutti si è riversata su quello del Vaticano. Che non è esattamente paragonabile ai capolavori michelangioleschi cui la casa di Pietro ci ha abituato, ma è pur sempre frutto di una antica tradizione italiana, una delle radici del nostro. E poi arriva da Castelli, in Abruzzo, terra martoriata dallo stesso terremoto che aveva tolto la casa alla famosa nonna Peppina (chi se la ricorda?) cui lo stesso signore che quest'anno vuole nutrire i clochard era andato a regalare proprio un presepe della tradizione. Tradizione napoletana, che della ceramica di Castelli e della sua tradizione poco ci importa se non ci regala una foto-opportunity o, almeno, la possibilità di criticare con parole scandalizzate presunte offese alla tradizione.
Che poi, a ben guardare, di offese e sberleffi alla tradizione proprio il presepe napoletano è stato sempre ricco: è da quando ero bambino che mi ricordo i servizi prenatalizi su San Gregorio Armeno e sui differenti omaggi all'attualità che han visto nel presepe Aldo Moro e Ilona Staller, Di Pietro e Berlusconi, e ovviamente Maradona prima che diventasse santo. Ma il presepe è così, ha anche il pastorello che fa i suoi bisogni dietro un cespuglio, proprio come fanno i clochard dietro le macchine, ma di cui nessuno si scandalizza. E nessuno, se non Tommasino di "Natale in casa Cupiello" ha mai avuto il coraggio di dire che "'O presepe nun me piace". Anche l'amara commedia di De Filippo si è ormai trasformata in una messa cantata: quest'anno sarà trasmessa il 22 dicembre nell'interpretazione di Sergio Castellitto, per celebrare i 120 anni dalla nascita di Eduardo De Filippo.
Altro simbolo, altro trend topic, ovviamente Babbo Natale. Appena apparso sui muri del naviglio grande il murale (in realtà un manfiesto sticker) di Cristina Donati Meyer che raffigura un babbo Natale con la mascherina che porta vaccini anti-Covid ha subito scatenato i commenti delle armate della difesa della tradizione del Natale. Incuranti, come sempre, del fatto che proprio l'iconografia attuale di Babbo Natale è frutto di un tradimento della figura di San Nicola che portava i doni alle ragazze senza dote, mixata con altre tradizioni importate negli USA da immigrati irlandesi e poi rivisitata in senso commerciale per la comunicazione della Coca Cola.
In fondo negli anni ottanta era proprio Coca Cola che segnava l'inizio della stagione delle feste in televisione, con il suo "Vorrei cantare insieme a voi in magica armonia", dove capelloni e ragazze in odore di Hair- The Musical (il format originale americano era del 1971) si riunivano sulla cima di una collina a cantare tutti insieme per celebrare un'unione multietnica cementata dal Natale e dalla regina delle bevande gasate. Insomma, anche qui non proprio una tradizione: questo Natale l'assembramento canoro sarebbe vietato, tanto più in un paese che sta pensando di istituire una sugar tax che moralizzi le bibite e dove nemmeno dello spot dei biscotti Ringo si vede più il ragazzino di colore, probabilmente "troppo divisivo".
Insomma, stiamo assistendo a un "ritorno alla tradizione" che sembra essere più ispirato a una rassicurante patina di superficialità che non a una vera e propria ricerca delle radici della tradizione, riuscendo a scandalizzarci perfino per una vignetta che gira sulla rete da anni, quella col pastore che esce gridando dalla capanna di Betlemme gridando "it's a girl!!!": c'è chi si scandalizza perché si prende in giro la figura tradizionale di Gesù bambino, e chi se la prende perché nel 2020, anno proverbialmente disgraziato, presentare la nascita di una bambina al posto di Gesù sembra voler dipingere anche questa come una disgrazia.
Comunque tranquilli: fra buonismi di stagione, tradizioni di facciata, difese di divinità dei consumi, suscettibilità sulle cose più superficiali riusciremo a toglierci dalle palle anche questo Natale che si potrebbe definire, parafrasando Daniele Luttazzi quando faceva ridere, "organizzato in modo chiuso per venire incontro alle nostre disposizioni mentali". E allora Buon Natale con una tradizione "Christmas in Heaven", Monty Python, dal 1983.