European cancer congress, i nuovi farmaci oncologici e la sindrome di Stendhal 2.0

European cancer congress, i nuovi farmaci oncologici e la sindrome di Stendhal 2.0

Da pochi giorni si sono spente le luci sull’European cancer congress, l’evento annuale che attira l’attenzione di migliaia di oncologi del Vecchio continente.

Sono state davvero tante le novità emerse al congresso, che quest’anno si è tenuto a Vienna. A cominciare dalla denuncia, ribadita anche sulle colonne di The Lancet oncology, sulla scarsa presenza di una chirurgia oncologica di qualità nei Paesi in via di sviluppo (e non solo in quelli)

Stando ai dati presentati, oltre l'80 per cento dei 15 milioni di persone in tutto il mondo che nel 2015 hanno ricevuto una diagnosi di tumore e che hanno bisogno di un intervento chirurgico, meno di un quarto avrà accesso a un trattamento corretto, sicuro e a prezzi accessibili.

Ad analizzare nel dettaglio il fenomeno è una commissione costituita ad hoc per monitorare l’accesso e la qualità delle cure chirurgiche in chirurgia. Nel suo rapporto ha peraltro rivelato che l'accesso risulta peggiore nei paesi a basso reddito, dove il 95 per cento delle persone con il  tumore non ricevono nemmeno i trattamenti chirurgici essenziali.

Terapie target, sempre al centro dell’attenzione

Succede all’Ecc e ad altri congressi di oncologia. A tenere banco sono spesso i nuovi farmaci oncologici. Le nuove indicazioni, i nuovi studi clinici. Può capitare di sentirsi disorientati davanti alla mole di trial e relative molecole presentate e discusse nelle varie sessioni e nei simposi.

Se non si trova la bussola, si rischia di andare incontro a una versione 2.0 della sindrome di Stendhal, la nota sensazione di malessere, accompagnata da tachicardia, vertigini, confusione (e perfino allucinazioni) quando ci si trova davanti a tante opere d’arte di straordinaria bellezza in spazi limitati.

Sì perché i risultati di certi trial possono davvero rappresentare una svolta nell’oncologia. Al punto di essere assimilabili, senza ombra di piaggeria, a vere e proprie opere d’arte.

Una delle novità di queste novità riguarda nab-paclitaxel, il nanofarmaco che potrebbe cambiare radicalmente l’approccio al carcinoma polmonare di tipo squamoso.

Dopo aver dimostrato, in uno studio recente, di far regredire la neoplasia nel doppio dei pazienti rispetto al trattamento standard, un trial presentato a Vienna dimostra la sua efficacia anche come terapia di mantenimento, successiva alla chemioterapia iniziale. Ne abbiamo parlato diffusamente in questo articolo.

Molto interessanti anche i risultati presentati sugli inibitori del check point immunitario Pd-1, farmaci immuno-oncologici che puntano a sbloccare l'attività delle cellule T nei confronti del tumore. Come per esempio nivolumab, nel carcinoma renale avanzato. Uno studio di fase III in aperto, ha dimostrato un significativo incremento della sopravvivenza globale rispetto a everolimus.

Sarebbero davvero tantissime le novità terapeutiche da raccontare, ma non è questa la sede e non sarebbe giusto per i lettori.

Mi limito a segnalare un interessante studio sul comportamento degli uomini affetti da tumore della prostata allo stadio avanzato.

L’indagine, condotta in tutto il mondo, deve far riflettere soprattutto gli oncologi e tutto il personale sanitario che, a vario titolo e grado, si prendere cura di questi pazienti.

Da quanto emerge, il fenomeno del denial, la negazione dei sintomi, il non voler affrontare un peggioramento del quadro clinico, è tutt’altro che occasionale o sporadico. È un problema che affonda le proprie radici in culture e abitudini sedimentate nei secoli. Nei confronti del quale però non possiamo restare indifferenti.

Per chi volesse approfondire, ne abbiamo parlato diffusamente in questo articolo.

Massimo Barberi

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