Giornata Mondiale dell’Autismo
Eleonora Daniele

Giornata Mondiale dell’Autismo


Pino Nano

Struggente il racconto che Eleonora Daniele fa del fratello Luigi

Domani 2 aprile sarà la Giornata Mondiale della Consapevolezza sull’Autismo (WAAD, World Autism Awareness Day). Venne istituita nel 2007 dall’Assemblea Generale dell’ONU. La ricorrenza richiama l’attenzione di tutti sui diritti delle persone nello spettro autistico, “disturbi -spiega oggi una nota ufficiale del Ministero della Salute- che sono un insieme eterogeneo di disturbi del neurosviluppo caratterizzati da una forte compromissione qualitativa nelle aree dell’interazione sociale e della comunicazione, modelli ripetitivi e stereotipati di comportamento, interessi e attività”. Disturbi i cui sintomi, e la loro severità, possono manifestarsi in modo differente da persona a persona. Conseguentemente, i bisogni specifici e la necessità di sostegno sono variabili e possono mutare nel tempo. Per questo -sottolinea la nota del ministro Speranza- è fondamentale progettare interventi individualizzati e calibrati su bisogni specifici”.

Solo qualche dato. La prevalenza di questo disturbo è stimata essere attualmente di circa 1 su 54 tra i bambini di 8 anni negli Stati Uniti, 1 su 160 in Danimarca e in Svezia, 1 su 86 in Gran Bretagna. In età adulta, i pochi studi effettuati a livello internazionale segnalano una prevalenza di 1 su 100.Concordemente al dato internazionale, in Italia si stima che 1 bambino su 77, nella fascia di età 7-9 anni, presenti un disturbo dello spettro autistico. Sono dati abbastanza indicativi.

Ma c’è un libro oggi, appena fresco di stampa, “Quando ti guardo negli occhi -edito da Mondadori- che ci dà perfettamente bene l’idea di cosa sia un ammalato autistico, e soprattutto di come vada curato, seguito, accudito, ascoltato, e accarezzato dalla vita. Lo ha scritto la giornalista Eleonora Daniele, straordinaria padrona di casa di Storie Italiane, il programma in onda su RAI Uno ogni mattina dalle dieci in poi.

“Quando scrivevo ci piangevo sopra, e poi l’ho chiuso e non riesco più a leggerlo. Ogni momento con lui era una scoperta, guardarlo e capire che cosa avrebbe fatto un secondo dopo, poter ascoltare senza dover parlare per forza. Noi siamo sempre tutti di corsa, si ascolta sempre poco, lui mi ha insegnato ad ascoltare. È da lui che appreso e assimilato l’arte del silenzio. 40 anni fa c’era poco, ora fanno logopedia e ti aiutano. Mio fratello forse è stato sfortunato perché è nato in anni in cui non vi era nulla, quando si parlava di autismo non si sapeva nemmeno cosa fosse. Fortunatamente adesso ci sono tante associazioni, medici e ricercatori, e c’è anche molta meno vergogna di allora. Lui ballava saltellando e la nostra chiave di comunicazione era la musica. Lui stava sempre con me, ero piccolina, mi ricordo che la cosa più bella che potevamo fare era ballare insieme allora io ho imparato a saltellare come lui, noi volavamo insieme in quella stanza”.

Quando ti guardo negli occhi” è un libro che Eleonora Daniele dedica a suo fratello Luigi, che oggi non c’è più, e di cui nessuno, mentre Luigi era ancora in vita, gli chiedeva mai conto o notizie. Un romanzo dai toni “forti”, in cui la famosa giornalista italiana racconta il dramma della sua famiglia alle prese con un ragazzo gravemente ammalato.

Nessuno mi chiede mai chi fosse mio fratello Luigi come se l’etichetta autistico definisse una persona. Lui era un ragazzo speciale, con un autismo grave, che poi dai 18 anni è cresciuto in un istituto privato. La mia famiglia fu costretta a questa scelta per via della gravità della sua malattia, che lo portava anche a picchiare mio padre. Nello stesso tempo, abbiamo capito che lui necessitava di compiere un suo percorso. La scelta è stata difficile, soffrivo moltissimo”.

Ci sono passaggi di questo suo romanzo in cui Eleonora Daniele racconta suo fratello Luigi con una dolcezza così struggente e un trasporto umano senza fine, ma che danno per intero l’idea di cosa sia davvero un malato autistico.

Eravamo felici, a quei tempi. Luigi non riusciva a pronunciare una sillaba, ma quello che provava lo trasmetteva con gli occhi e con sorrisi che dicevano più di mille discorsi. Ci sdraiavamo sotto la grande quercia e guardavamo tutto intorno. Sapevo che se fosse passato una farfalla la avrebbe seguita anche lui, che una nuvola dalla forma strana attirava anche la sua attenzione. A fine giornata, per me avevamo visto le stesse cose, avevamo provato le stesse emozioni. Potevo capirlo davvero solo guardandolo negli occhi e comprendere tutto ciò che non sapeva dire.”

Un ruolo fondamentale lo hanno giocato anche papà e mamma, racconta Eleonora.

“Sono molto orgogliosa di entrambi, mi hanno insegnato che non bisogna vergognarsi di niente. Le persone con disabilità vanno apprezzate e vissute come una ricchezza per la società, la famiglia, i parenti e gli amici. Loro non si vergognavano di Luigi, vivevamo una vita abbastanza normale: Nel nostro piccolo paese, Saonara, in provincia di Padova, ci hanno coccolato e amato tutti. Secondo me oggi è proprio questa rete di affetto che manca nelle grandi città. Ad un certo punto mamma e papà sono stati costretti a mettere Luigi in un istituto. Nessuno voleva prendere questa decisione, ma lui era un autistico grave ed era diventato un uomo. Ci siamo accorti che aveva bisogno di un aiuto che noi non potevamo più dargli. È stato accolto in questo istituto per anni e seguito da socio operatori molto bravi.A cui non finiremo mai di dire grazie”.

Una tragedia questa di Luigi che Eleonora Daniele si porta dentro da una vita.

Quando Luigi Daniele è nato, negli anni Settanta, poco si sapeva dei disturbi dello spettro autistico: la medicina brancolava nel buio ed erano ancora tanti i pregiudizi che riguardavano la salute mentale. Oggi Eleonora Daniele ha deciso di raccontare la vita di quel fratello amatissimo, scomparso nel 2015. Con disarmante sincerità ripercorre gli anni passati insieme a lui e le emozioni, spesso contrastanti, che l’hanno accompagnata: il senso di colpa per aver avuto in sorte un destino così diverso dal suo, la sensazione di impotenza di fronte alle tante difficoltà burocratiche e assistenziali a cui la sua famiglia, come quelle di molte altre persone autistiche, ha dovuto far fronte. La preoccupazione per le esplosioni di rabbia improvvise ma anche la felicità per ogni breve attimo di normalità, per quei momenti di pura condivisione in cui tra loro si stabiliva una connessione che andava oltre le parole. E, più di tutto, Eleonora ci racconta l’amore incondizionato che Luigi ha saputo donare e la lezione che le ha insegnato: “Luigi è stato un dono immenso. Senza di lui, non sarei diventata la persona che sono. Mi ha spinto a lottare per chi mi sta accanto, a infervorarmi per le ingiustizie. Ogni volta che ho la tentazione di mollare, penso agli sforzi titanici di mio fratello nelle sue estenuanti risalite”.

“Quando ti guardo negli occhi” è un racconto emozionante, a tratti feroce, che vuole restituire voce a chi non ce l’ha. Ai ragazzi come Luigi, ai loro familiari, e a chi ogni giorno si trova a lottare in un mondo che ancora fatica a comprendere e ad accogliere la diversità.

Eleonora Daniele parla di Luigi e i suoi occhi grandi diventano minuscoli.

Non immaginavo che il gesto semplice di accendere la radio potesse provocare una valanga. In treno, nel solito tragitto da Roma a Padova, ho messo le cuffiette per isolarmi dai discorsi altrui ed è partita Last Christmas degli Wham! È la Vigilia di Natale, è normale che la trasmettano, ormai è agganciata alle feste come la slitta alle renne, però io non me l’aspettavo. Non sono pronta ad ascoltarla, soprattutto da sola, ma non riesco a cambiare frequenza. È una calamita, una chiamata, un appuntamento che ho disertato e che non vuole più essere rimandato. Mi tremano le gambe, le mani sudano, è come se stavolta non avessi riparo, così abbandono ogni resistenza e lascio che la canzone mi attraversi. Qualcosa dentro di me si stacca, rotola veloce, cresce, raccoglie tutto ciò che trova nella discesa, mi seppellisce. Prima il mio corpo diventa una gabbia di ghiaccio, poi le lacrime cominciano a scioglierlo come cera. Piango a dirotto. Luigi non c’è più”.

Ricordi su ricordi, emozioni e commozione diventano un mix straordinario di un racconto senza fine e pieno di amore.

La voce dolce di George Michael e quei sonagli in sottofondo che mettevano mio fratello di buonumore non possono più raggiungerlo. Questo pensiero è insopportabile. Non so perché mi investa con questa ferocia definitiva proprio ora. Immagino sia perché sono incinta. Di tre mesi, e non l’ho ancora detto a nessuno. La pancia si nota già, la copro con giacche di una taglia più grande, ma il viso è inequivocabilmente più tondo, addolcito, levigato, quasi fossi tornata bambina. Deve essere questo senso di perdita e insieme di nascita a rendermi così emotiva, disarmata davanti all’evidenza”.

Il giorno peggiore della vita di Eleonora è stato il giorno in cui la chiamano per dirle che Luigi non c’è più.

Sono passati quattro anni da quando se ne è andato, non so ancora come. Mi arrivò una telefonata: «Luigi è morto», nient’altro. Sono stata male, malissimo, ma ho finto di stare bene, benissimo, perché non potevo permettermi di crollare, perché ci si aspetta che io reagisca con maturità, perché è così che va la vita”.

Ma le leggi dello spettacolo sono impietose.

Qualche giorno dopo il suo funerale, ero già in diretta su Rai Uno. In diciott’anni di trasmissioni quotidiane, ne ho assorbiti di colpi. Storie umane forti, a volte tragiche, spesso piene di speranza, non importa che appartengano a sconosciuti. Per accoglierle ho dovuto aprirmi, questo significa anche che mi sono lasciata ferire. Quando chiudo il programma, non chiudo il cuore. Mi porto tutto dietro, dentro la vita privata. Ho imparato a conviverci. Pensavo di riuscire a fare lo stesso il giorno in cui mi arrivò quella notizia, ma non andò così. Per la prima volta non riuscivo a trovare la voce per parlare in tv. Mi usciva solo aria, l’affanno di chi non ce la fa a proseguire. Mi sentivo senza vita, e così avrei voluto rimanere, a galleggiare nel nulla, imbozzolata nell’assenza di Luigi”.

Dolore, e poi ancora tanto dolore.

“Da allora ho coperto il dolore con un manto di neve e ho tirato avanti, pensando che il tempo lo avrebbe tenuto in letargo, invece è bastata una canzone, la nostra canzone, a risvegliare tutto. Una punta di spillo e la bolla in cui mi sono chiusa per tutto questo tempo è esplosa.

Cosa rimane di tanta tristezza in corpo?

Ciò che porto in grembo ha posto le condizioni affinché io fossi qui, e ora una donna più malleabile, sensibile a una semplice canzone, per niente pronta ma quantomeno disposta ad assistere allo scioglimento dei propri ghiacci. Qualche nota e la slavina interiore è arrivata. Non accetto la morte di Luigi, perché non è vero che così va la vita. È andata così a lui, e a lui soltanto. È andata nel verso opposto alla mia, sin dall’inizio”.

Un libro bellissimo, da leggere tutto d’un fiato, perché parla di vita e di morte insieme, e soprattutto di amore fraterno.

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