Il cambio di passo
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Il cambio di passo

È opinione ormai consolidata che l’anno e mezzo dei lockdown a livello mondiale abbia intensificato una tendenza già diffusa a un maggiore utilizzo di tecnologie, di comunicazione e connessione e di altro genere. È logico e comprensibile: il distanziamento sociale ha determinato il ricorso al lavoro a distanza con l’ausilio delle piattaforme di connessione; ha aumentato l’utilizzo dell’e-commerce; ha incentivato l’uso di software collaborativi; ha incrementato la domanda di strumenti sofisticati; ha incoraggiato la didattica e la formazione a distanza; ha accelerato l’adozione di soluzioni più avanzate di mobilità, e altro ancora. In breve, ha prodotto un effetto inatteso: è aumentata la propensione a cambiare. In passato il cambiamento era visto con sospetto e ostilità. Per i nostri nonni il punto di riferimento era la tradizione, il “si è fatto sempre così”. Anche la generazione dei nostri padri, pur nel vortice di innovazioni sempre più frequenti, si sentiva più a suo agio con routine abitudinarie che con cambiamenti troppo rapidi. Negli ultimi 10-15 anni il ritmo dell’innovazione è diventato sempre più rapido, spesso dirompente, qualche volta addirittura esplosivo. I fattori competitivi mutano sempre più velocemente: come si è visto nel periodo di pandemia, anche da un giorno all’altro. Dunque, chi non è pronto a cambiare può correre il rischio di vedere la domanda azzerarsi e di uscire dal mercato in modo repentino. Da qui la necessità di cambiare, ma soprattutto di farlo nel modo giusto. Qui ovviamente arriva il difficile. Scegliere la strada giusta per cambiare strategia, organizzazione, persone e prodotti non è un esercizio semplice e non bastano formule anche ben pensate per garantirci di farlo. Oggi dobbiamo imparare a unire capacità di visione lungimirante con un sano pragmatismo strutturato e dobbiamo dotarci di sistemi aziendali adeguati in tal senso. Dobbiamo saper guidare l’azienda come un’auto, lungo strade incerte, mai percorse prima e in condizioni di nebbia fitta. Dobbiamo sapere dove vogliamo andare, ma è vitale procedere con molta attenzione, metro dopo metro, ed essere pronti a schivare pericoli, rallentare, accelerare a seconda di ciò che incontriamo lungo la strada. In termini aziendali, possiamo dire che oggi diventa vitale trasmettere all’intera organizzazione una direzione strategica di medio-lungo termine e, allo stesso tempo, una focalizzazione estrema al miglioramento continuo e all’esecuzione di breve termine. Ma, per cambiare il modo di fare pianificazione strategica e di gestire l’impresa, è necessario acquisire la piena consapevolezza degli errori compiuti nel passato e quindi dei comportamenti che, diventati abitudini operative, sono reiterati in un contesto mutato. Quali sono gli errori più frequenti nella pianificazione aziendale, commessi prima e purtroppo durante quest’ultimo anno di pandemia? 1. Decisioni istintive e selezione degli obiettivi sbagliati: è l’errore in cui incappiamo quando le decisioni sono prese con pochi dati e informazioni parziali; quando tali decisioni riflettono in gran parte desideri, modelli e schemi mentali di una manciata di persone anziché rispecchiare interpretazioni oggettive di rischi e opportunità per l’azienda. 2. Assenza di chiari elementi fondanti di base: valori, vision e mission. Quando la strategia aziendale non ha un legame con una visione ideale di lungo termine, ma si basa solo su tattiche opportunistiche e speculative, sarà molto bassa la probabilità di fare le scelte giuste. 3. Scarso processo di comunicazione al team e agli stakeholder: quando una strategia non è strutturata e ben comunicata a tutti, attraverso un processo bidirezionale che accoglie i feedback, non è più una strategia, ma un insieme di affermazioni e di obiettivi di alto livello che rimane nella cabina di regia e non svolge uno dei suoi compiti principali: portare a bordo tutte le persone. 4. Processo unidirezionale e autoritario: dietro il successo e il carisma di imprenditori e manager che hanno costruito grandi imperi aziendali non c’è mai una sola persona solitaria al comando, ma solidi sistemi di gestione aziendale e un esteso team di persone che viene ispirato e guidato dalla figura del leader. Qualsiasi processo unidirezionale e autoritario, quando si sostituisce alla conduzione operativa autonoma dell’organizzazione, non consente la crescita delle persone e dell’azienda. 5. Carenza nel monitoraggio e nella verifica dei progressi: una corretta pianificazione strategica può essere suddivisa in tre fasi: genesi delle direzioni strategiche da intraprendere (strategy generation); declinazione operativa a tutti i livelli della strategia (strategy deployment); realizzazione, monitoraggio e governo operativo del piano strategico (strategy execution). Spesso la strategia di un’azienda si ferma alla prima fase, senza dedicare il giusto spazio alla progettazione e alla realizzazione delle due fasi successive, di gran lunga più importanti per gli effetti pratici sul lavoro quotidiano dei collaboratori. 6. Cattiva gestione dei vincoli temporali e di allocazione delle risorse: le aziende spesso commettono lo stesso errore che riscontro nelle singole persone: la pianificazione con sovraccarico delle risorse. Facciamo tutti questo errore, ma la cosa più grave è renderlo un comportamento organizzativo. 7. Attività pianificate senza sufficiente cura dei fattori di insuccesso: nell’ambito della pianificazione ed esecuzione di una strategia aziendale vincente, una delle capacità più importanti da sviluppare a livello manageriale è quella della cura preventiva dei possibili fattori di insuccesso. Potremmo definirla più correttamente “risk management” se volessimo far ricorso a metodi strutturati per la gestione dei rischi in qualsiasi progetto, anche se spesso è sufficiente assicurarsi di piazzare in modo strutturato alcune domande chiave nel giusto momento della pianificazione strategica e rendere obbligatorie le relative risposte. 8. Autoreferenzialità: spesso molte aziende non crescono come potrebbero perché paradossalmente non pianificano di farlo e tendono a ripetere mosse strategiche operate nel passato perché danno, in apparenza, maggiore sicurezza. Una pianificazione strategica orientata alla crescita guarda molto di più all’esterno che all’interno, parla molto di più il linguaggio del mercato che quello storico dell’azienda e tende a mettere in discussione quanto già fatto, anche quando ha portato buoni risultati nel passato. 9. Cattivo equilibrio tra innovazione incrementale e innovazione ad alto impatto: un buon piano strategico dovrebbe proteggere l’azienda dai rischi legati all’obsolescenza del modello di business, delle tecnologie, dei prodotti e servizi, così come dovrebbe aiutare a prevenire situazioni di crisi dovute a nuovi vincoli normativi e legislativi, a nuove condizioni di mercato e a tutto ciò che mina il proficuo funzionamento aziendale. Allo stesso tempo, una buona strategia dovrebbe aiutare l’azienda a cogliere opportunità di mercato, di tecnologie, di prodotto e servizi al fine di far crescere profitti e margini. “Non si può mai pianificare il futuro pensando al passato”. Edmund Burke

 

 


Donato Capodiferro

Passion for innovation and continuous improvement

3 anni

Grazie Pietro per la tua minuziosa analisi e lavoro. Purtroppo l'ignoranza generale non ha confini e siamo rimasti in pochi ad usare quell'organo di fondamento chiamato CERVELLO!

Riccardo Bordignon

BASTA ETICHETTE, NON SONO UNA LATTINA (per gentile concessione di Andy Warhol)

3 anni

Analisi che sicuramente tocca tutti gli elementi importanti e del tutto condivisibile.

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