Il vocabolario come narrazione
Quando ero alle scuole elementari, mio padre mi obbligava a studiare cinque termini al giorno del vocabolario, rigorosamente in ordine alfabetico, partendo da Abaco. Poteva finire in due modi: diventare una matematica oppure innamorarmi delle parole.
Non solo i vocaboli creano (il pensiero, la conoscenza, le emozioni, le azioni, come ha ampiamente dimostrato la psicologia cognitiva), ma raccontano la società contemporanea. Accade in maniera ufficiale quando entrano nel dizionario dopo il loro rodaggio nella quotidianità. Penso al Dizionarietto di parole del futuro nel quale Tullio De Mauro aveva raccolto ottanta parole «di uso incipiente », secondo la definizione di Bruno Migliorini: non ancora registrate dai dizionari, ma appartenenti a linguaggi specialistici destinati a diffondersi nel linguaggio d’uso comune.
Quanti nuovi termini abbiamo imparato negli ultimi mesi? Quanti hanno esploso il loro significato? Quanti sono entrati nelle narrazioni dei vocabolari di riferimento? Un articolo di Matteo Motolese su Il Sole 24 Ore di domenica 13 dicembre si apriva con questo bell'occhiello: "Il vocabolario dell’emergenza. Il Devoto-Oli 2021 registra neologismi e nuovi significati di lemmi già presenti: molti termini resteranno a lungo perché la ferita è troppo profonda e la lingua vive anche di memoria". Tanti di questi non c'erano nel vocabolario che studiavo da bambina e molte parole che ho imparato, oggi sono cadute in disuso (abaco compreso) perché diversa è la realtà da dire.