La carneficina mediatica non risparmia nessuno, nemmeno i bambini
Sul caso della piccola bimba inglese di 8 mesi, scomparsa pochi giorni fa dopo una lotta tra i genitori che volevano portarla in Italia e i giudici inglesi che invece ne hanno deciso l'interruzione delle cure, si sono già spesi tutti.
Dal professor Remuzzi al mio vicino di casa, tutti hanno fatto sapere online la loro sacrosante opinione perché siamo in una democrazia e ognuno è libero di dire la propria, usando tutti i canali a disposizione e avendo a disposizione giornalisti che sono diventati semplici megafoni, senza nessuna capacità di selezione, di pazienza, di obiezione, di senso critico o di quel semplice: “No, non ne parliamo, fa lo stesso”.
Volevo stare zitta, ma non ci riesco.
Non ne parlo dal punto di vista medico, politico o bioetico, non ne ho le competenze. Se volete un bel ragionamento in questo senso, vi invito a leggere questo bellissimo articolo pubblicato su Scienza In Rete.
Ne parlo sul fronte mediatico e giornalistico, ambiti in cui qualcosina forse posso dire che vada oltre la semplice opinione personale.
È stato un massacro. E sta andando avanti.
La deontologia è morta, il gossip è diventato l’unico testo unico a cui buona parte dei colleghi e delle colleghe ormai tengono come un faro.
Gossip del dolore, pornografia del dolore, dategli il nome che volete.
Ogni sussulto dei genitori è stato raccontato nel modo più straziante possibile.
E la vicenda è stata raccontata con toni da tifo da stadio, riportando le varie posizioni giuridiche e istituzionali appositamente per creare divisione tra i lettori.
È stato riportato il falso?
Direi di no. È stato riportata ogni singola virgola detta da qualsiasi cristiano su questa Terra che avesse titolo o meno a esprimersi in modo competente sul tema.
Quando manca la capacità di sintesi, siamo al bar sport.
Quando i giornalisti si limitano a riportare le varie posizioni, senza porsi la domanda se abbia senso dare voce a qualsiasi bocca, senza mettere nel contesto giusto le posizioni, alla fine non si rende un servizio ai lettori e alle lettrici che dai giornalisti in realtà si aspettano – forse è meglio dire si aspettavano visto che ormai nei giornalisti non ci crede quasi più nessuno – la capacità di sintesi, la capacità di pensiero critico e la capacità di lasciar stare, di non riportare per forza tutto, perché non tutto è una notizia.
Sta succedendo quello che è successo durante la pandemia, quando i media chiedevano a tutti, da medici ai filosofi, se i vaccini funzionassero.
Si sta assolutizzando il diritto di cronaca, come se fosse assolutamente giusto riportare ogni minimo dettaglio e ogni posizione. Ne ho già discusso ampiamente qui:
A cosa abbiamo quindi assistito in questa vicenda? Perché parlo di carneficina?
Due paesi, Italia e Regno Unito. si sono trovati in disaccordo dal punto di vista giuridico, non dal punto di vista clinico, sul trattamento da somministrare alla bambina. L'Italia si è offerta di portare avanti le cure palliative, il Regno Unito ha deciso di interrompere i trattamenti per evitare inutili sofferenze.
Quello che i medici italiani hanno proposto era un eventuale allungamento delle cure palliative, per concedere tempo alla famiglia. Un approccio più umano per alcuni, inutile per altri che in quell’allungamento vedevano un ulteriore sofferenza per la piccola Indi.
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Questo era quello che i media avrebbero dovuto riportare. Quante righe sono? Quattro.
Qualche approfondimento sulla malattia, come ho visto in pochi casi, sarebbe stato certamente utile. Qualche nota su cosa siano le cure palliative, anche lì ho visto poco o nulla, ma ci stava. Qualche approfondimento legale, giusto per capire cosa dice la nostra legge e quella inglese. Basta.
Il resto è stato pure pietismo e sensazionalismo.
Il dolore dei genitori posso scriverlo la prima volta. Posso riportare la decisione del Governo di dare la cittadinanza alla bambini in appena 8 minuti di consiglio dei ministri. Mi limito a riportare questi FATTI in più, certamente utili a capire il fenomeno.
Basta. Se non ci sono altre novità, ad esempio un ripensamento da parte dei giudici inglesi o il via libera per portare la bambina in Italia (FATTI!!), io non scrivo nulla.
Non scrivo ogni benedetta posizione, non riporto ogni respiro e lacrima dei genitori, non presto il fianco a manipolazioni e divisioni. Il giornalismo dovrebbe limitarsi a riportare i fatti salienti che aiutano a ricostruire una questione, una storia, un crimine, un evento, etc..
I fatti salienti.
Come ci ricorda il Testo Unico dei Doveri del Giornalista, un faro per me, il nulla per tanti colleghi e colleghe, direttori e capiredattori:
«È diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà d’informazione e di critica, limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede” Art. 1.
Ma scorriamo insieme la Carta di Treviso, ripresa dal Testo Unico, sui doveri del giornalista nei confronti dei minori. Al punto 7 si cita:
Nel caso di minori malati, feriti, svantaggiati o in difficoltà occorre porre particolare attenzione e sensibilità nella diffusione delle immagini e delle vicende al fine di evitare che, in nome di un sentimento pietoso, si arrivi ad un sensazionalismo che finisce per divenire sfruttamento della persona;
Abbiamo visto la bambina in tutte le foto possibili e immaginabili, con tubi e tubicini, immagini forti che suscitano emozioni, senza informare. Non le riporto qui perché, appunto, non servono, ma credo le abbiate viste tutti.
Ma il Testo Unico, all'art. 6 che riguarda le persone fragili (come i minori e i malati) cita un altro aspetto altrettanto importante quanto ignorato ormai da anni:
b) (il giornalista) evita nella pubblicazione di notizie su argomenti scientifici un sensazionalismo che potrebbe far sorgere timori o speranze infondate avendo cura di segnalare i tempi necessari per ulteriori ricerche e sperimentazioni; dà conto, inoltre, se non v’è certezza relativamente ad un argomento, delle diverse posizioni in campo e delle diverse analisi nel rispetto del principio di completezza della notizia;
Tipo così?
Altro che sensazionalismo. Qui l’occasione è troppo ghiotta per non dividere ancora di più: Tafida ce l’ha fatta, Indi no. Vergogna!!!
Con tanto di chicca dell'ex sentatore Pillon che addirittura tira in ballo la fatwa che avrebbe agevolato la storia di Tafida, senza che i giornalisti chiedano spiegazioni o la fonte stessa di questa notizia.
Tafida, come si racconta bene qui, non soffriva e non soffre come stava soffrendo Indi (riporto i nomi perché ormai, anche se non dovrebbe, sono di dominio pubblico). Tafida ancora oggi è in hospice, anche se fuori dalla riabilitazione.
Ma in ogni caso, non è sui media che va discussa la giustezza o meno di questa scelta rispetto a quella di Indi. O se si vuole farlo, lo si fa dando voce a tutti i protagonisti e spiegando bene le diverse situazioni, senza titoli assurdi come questo che servono proprio per dividere, far venire la schiuma alla bocca e cliccare.
Queste situazioni sono così delicate da non poter essere discusse tramite media e social, ma nell’intimità che necessitano situazioni come queste, con medici palliativisti capaci come quelli che abbiamo qui. Nessun medico, che io sappia, ha detto che Indi in Italia sarebbe potuta guarire. Molti hanno sottolineato che la bimba stava soffrendo.
Una volta appurati questi fatti, qual è il senso di ripeterli ed esaltarli, con foto in primo piano di quei poveri genitori disperati, il cui dolore non si può nemmeno immaginare?
Ma la domanda è: a cosa serve il Testo Unico dei Doveri del Giornalista se tanto a rispettarlo siamo rimasti in pochi?
A niente.
Leggo i giornali, guardo la tv, e ormai noto come il giornalismo stia cedendo il passo all’infotainment, l’informazione che intrattiene e non informa.
Si spettacolarizza la morte, la violenza di genere, il dolore dei genitori, la malattia grave, la disabilità. La miseria umana sta diventando un’ottima fonte di ricavi per il giornalismo e come il maiale, di questi casi non si butta via niente, si spolpa tutto, dai singoli sussulti dei genitori alle virgole dette dai giudici inglesi, perché tutto può fare spettacolo.
Poi la bambina muore, piano piano i riflettori di spengono, qualche esperto rilancia con riflessioni personali, ma intanto le luci si abbassano e quella grande cloaca che si spaccia per giornalismo torna nell’ombra nell’attesa di spolpare la prossima vittima. Senza capire che la prima vittima è proprio il giornalismo.
Co Founder New Era - Business Coach certificato - Special Project Consultant presso Powervolley Milano
1 annoParole sacrosante!!
Administrative Coordinator, Public Affairs presso Gilead Sciences
1 annoCondivido ogni parola, grazie Angelica
oggi Attivista, ieri Imprenditrice SanitàDigitale | InspiringFifty | InclusioneDonna | Soroptimist | 100DonneperTutte | PASocial | DonneProtagonisteinSanità | CDTIRoma | RestartHerAcademia | SideBySide | ASSD | AISDET |
1 annoGrazie Angelica. Hai fatto bene a scriverne perché è importante "denunciare" quello che non va bene! Altrimenti passa davvero tutto, nell'indifferenza e nel menefreghismo dei più.
#personecondisarbillità, #inclusionesociale
1 annoHo vissuto con ansia e sofferenza fisica questa vicenda. Infastidita dai toni usati in ambito giornalistico, mi sono trovata spesso nella condizione di preferire di spegnere la tv. Fare del sensazionalismo su un dramma di questa portata, è inaccettabile e disumano, tanto quanto lo è stato, a mio avviso, l'epilogo a cui è stata condannata, senza appello, la piccola Indi.
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1 annoParole sacrosante. La mediocrità per l’amor di Dio, è sempre dietro l’angolo, ma ci sono dei frangenti o contesti nella vita che riescono a tirar fuori il meglio di noi e l’umanità anche da chi meno te lo aspetti. Se nemmeno una creatura di 8 mesi e il senso di genitorialità riescono a farlo, è il momento di fare una grossa riflessione.