La cultura dell'innovazione
Il design thinking come chiave per vincere la grande sfida imprenditoriale. Un nuovo modo per ripensare i processi, a vantaggio di tutti.
Le aziende che innovano eccellono sul mercato, le altre nella migliore delle ipotesi sono destinate a sopravvivere. A volte falliscono. L’innovazione in azienda deve fare i conti con la necessità di ottenere ritorni rapidi dall’investimento, le procedure legate alle nuove tecnologie, i nuovi modelli di business. Al nostro tessuto imprenditoriale non mancano le idee, molto spesso non mancano neppure i mezzi. La grande lacuna che si riscontra è piuttosto legata alla difficoltà di portare l’innovazione dal piano ideale a quello reale, coinvolgendo in questo processo tutti gli attori che operano all’interno e all’esterno dell’azienda. Una risposta efficace al problema arriva direttamente dalla Silicon Valley, dove la logica degli increasing returns ha guidato un cambiamento storico della gestione dell’innovazione. Nell’ultimo ventennio i colossi hi-tech californiani hanno rappresentato il miglior esempio di come “open innovation” sia sinonimo di risultati di mercato dirompenti: l’ecosistema all’interno del quale nascono, si sviluppano e si condividono idee e progetti, garantisce un vantaggio competitivo nettamente superiore a quello che scaturisce da logiche di chiusura e difesa oltranzista delle proprie barriere, come avveniva negli anni bui della concorrenza cieca. La grande sfida imprenditoriale di oggi si vince, dunque, non solo costruendo un sistema di cooperazione che abbatte i costi, riduce i tempi di rilascio e raccoglie i feedback del mercato, ma anche, e soprattutto, abbracciando le logiche che scaturiscono dal “design thinking”. Questo modo di ripensare i processi, definito da Tim Brown come la capacità di capire i bisogni delle persone relazionandoli ai vincoli di business e a quelli imposti dalla tecnologia, rappresenta di per sé un’innovazione strutturale di cui possono beneficiare tutti, a prescindere dal settore e dal contesto operativo in cui sono inseriti. Alla luce di tutto ciò, è necessario che anche il nostro tessuto di PMI abbracci una politica d’interazione e condivisione con università, istituzioni politiche e fornitori esterni. Lo deve fare perché in un contesto di competitività globale le innovazioni sono necessarie.
Matteo, papà di Stella, CEO di MESA, fondatore della Start Up Proactive Compliance Technologies, Vice Direttore di "Quale Impresa", la rivista dei Giovani Imprenditori.
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Senior Consultant @ Business Reply, Nuotatrice Master M30🐸
9 anniConcordo pienamente con quanto scritto sopra. Mi sono occupata di open innovation nella mia tesi triennale per quanto concerne il settore del food and beverage, nello specifico di come i contest online potessero essere veicoli di tale tipologia di innovazione e l'attenzione al bisogno delle persone, seppur un bisogno diverso da quello da Lei citato sopra, è stato effettivamente il fulcro della ricerca. L'unica cosa a cui mi sento di dissentire con mio rammarico è che per fare innovazione le aziende necessitano di tempi molto brevi dovuti ad un time to market sempre più corto e ad una concorrenza sempre più spietata: mi riesce difficile vedere una collaborazione con l'università se non come supporto ad un team, come quid da aggiungere. Purtroppo per fare ricerca con l'università ai fini innovativi i tempi sono ben più lunghi di quelli del mercato. Ciò detto, vorrei sapere cosa ne pensa circa la possibilità da parte delle PMI di attuare una innovazione ,oltre che aperta, sostenibile. Nel senso: quanto secondo lei inciderebbe l'adozione di politiche di csr ai fini innovativi in azienda? La mia curiosità nasce dalla mia tesi di laurea appunto in ambito csr e mi farebbe piacere sapere cosa ne pensa.