La dimensione sociale della sostenibilità e le responsabilità dei giovani
Oggi sarei dovuto essere a Roma per l’evento organizzato da ASviS - Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile "La Legge di Bilancio 2020 e lo sviluppo sostenibile. Esame dei provvedimenti e situazione dell’Italia rispetto ai 17 Obiettivi dell’Agenda 2030".
Data l’impossibilità di partecipare all’evento, ho scritto un breve articolo che spero possa fornire qualche spunto di riflessione per la diretta Twitter (che invito tutti i miei contatti a seguire dalla pagina @ASviSItalia e con l’hashtag #Agenda2030achepuntosiamo).
La dimensione sociale della sostenibilità e le responsabilità dei giovani
Sarò volutamente di parte. Oggi presterò particolare attenzione agli interventi sulla sostenibilità sociale e a quelli dei giovani relatori invitati all’evento.
La sostenibilità sociale perché, senza girarci troppo intorno, copre trasversalmente SDGs più vicini alla sensibilità di un sociologo (povertà, disuguaglianze, lavoro) e costituisce – almeno dalla mia prospettiva – la base da cui partire per rilanciare un credibile, ambizioso, modello di sviluppo. Una maggior attenzione alla dimensione sociale della sostenibilità e alle “condizioni materiali” del benessere umano (tutele sociali, salari equi, lavori dignitosi) produrrebbe fiducia dei cittadini nelle istituzioni e creerebbe le condizioni per rilanciare quel patto sociale necessario per avviare processi virtuosi e per riattivare, soprattutto in tempi di crisi, il funzionamento dei sistemi sociali. D’altronde, lo stesso fondatore e portavoce di ASviS Enrico Giovannini ha recentemente dichiarato: «Abbiamo ormai un’evidenza scientifica consolidata sull’insostenibilità, non solo ambientale, ma anche economica e sociale, del nostro modello di sviluppo. Anzi, numerose analisi ci segnalano che alcuni fenomeni fortemente destabilizzanti (si pensi al cambiamento climatico, alle migrazioni o all’aumento delle disuguaglianze) stanno verificandosi con una velocità e un’intensità superiore a quella prevista solo alcuni anni fa proprio perché, quando l’instabilità di un sistema cresce, le interazioni esistenti tra le sue diverse componenti provocano un’accelerazione dei singoli processi».
La voce dei giovani perché nutro una smodata passione per il mondo dei giovani e delle politiche giovanili. Una passione che negli ultimi anni mi ha fatto incontrare e intervistare centinaia di ragazze e ragazzi: dai giovani volontari ai presidenti delle associazioni giovanili, dai dipendenti delle grandi organizzazioni non profit ai forum dei giovani locali, nazionali e internazionali. Se c’è una cosa che ho capito da queste esperienze è che siamo in tanti, ma spesso soli e poco efficaci. In tanti ossessionati, per dirla con Freud, dalla voglia di “penetrare” la società con le nostre azioni, ma spesso soli di fronte alle sfide che richiedono unione e coordinamento per portare a casa il risultato. Poi ci sarebbe la questione dell’impegno. E, probabilmente, rispetto a questo i social non ci stanno aiutando. È il paradosso dei movimenti contemporanei evidenziato dalla sociologa Zeynep Tufekci: facili da organizzare – basta un click –, ma forse proprio per questo più deboli, meno incisivi.
«Sono mature le condizioni per sottolineare l’importanza concreta dell’attenzione alla condizione giovanile», ha dichiarato in un suo discorso Luciano Forlani. Il portavoce di Asvis ha ricordato l’importanza di farci guidare da un atteggiamento oculato nelle scelte delle politiche e degli strumenti in un sistema di risorse limitate. Politiche e strumenti, appunto. In Italia – come evidenzia lo stesso Forlani – strumenti come Garanzia Giovani sono stati usati per produrre tirocini, mentre in altri paesi più lungimiranti sono stati usati per produrre posti di lavoro veri. Così come – questa è una mia osservazione – molte politiche di welfare aziendale si sono trasformate in goffi tentativi per ripulire attraverso azioni di social washing la reputazione di aziende non virtuose dal punto di vista dell’etica sociale (vedi Amazon).
«I giovani devono essere protagonisti del cambiamento», così recitava il motto di #Oggiprotagonistitour, un’iniziativa presentata nel 2019 dal Dipartimento per le politiche giovanili e dall’Agenzia Nazionale Giovani. A breve, stando alle dichiarazioni del ministro Vincenzo Spadafora, per farlo potremmo servirci di una piattaforma che ci permetterà di unirci e di coordinarci. L’ennesima piattaforma (potenzialmente utilissima) servirà però a poco se non siamo in grado di appropriarci di un nuovo paradigma di partecipazione: più inclusivo, più meritocratico, più cooperativo, in grado di proporre soluzioni intelligenti a problemi complessi (con i ragazzi di D20 Leader ce lo ripetiamo tutti i giorni).
Abbiamo dimostrato sensibilità non solo rispetto a questioni ambientali, ma anche rispetto alle ingiustizie sociali (fa riflettere l’endorsement oltreoceano dei millennial a Bernie Sanders e Alexandria Ocasio-Cortez). Abbiamo combattuto le stesse istituzioni che volevano educarci predicando bene e razzolando male. L'European Youth Forum ha portato aventi una giusta battaglia contro i tirocini non retribuiti proprio presso le Nazioni Unite (si, le stesse Nazioni Unite degli SDGs e dell’empowerment giovanile), così come ha fatto l’intergruppo Giovani del Parlamento Europeo per abolire i tirocini gratuiti presso le Istituzioni Europee (come se fosse una questione generazionale e non di civiltà). Abbiamo criticato un certo modo di fare politica, di prendere decisioni, di governare il potere.
Ora è il momento di assumerci le responsabilità; di dimostrare che le cose si possono fare meglio, alla nostra maniera; di disegnare il mondo che vogliamo abitare e che vogliamo lasciare alle future generazioni!
L’Agenda 2030 può essere uno strumento utile, nella misura in cui permette di condividere un quadro di riferimento sui target da raggiungere e sugli indicatori da monitorare per misurare l’impatto delle nostre azioni. Non sprechiamola.