LA FUGA DEI GIOVANI, FENOMENO DI MASSA: UN EXPAT SU QUATTRO PROVIENE DA CONTESTI FAMILIARI SVANTAGGIATI.

LA FUGA DEI GIOVANI, FENOMENO DI MASSA: UN EXPAT SU QUATTRO PROVIENE DA CONTESTI FAMILIARI SVANTAGGIATI.

Le condizioni socioeconomiche di partenza influenzano le motivazioni di espatrio, le attività svolte all’estero e gli sbocchi professionali. Quasi la metà degli expat svolge mansioni per le quali le imprese italiane non trovano persone da assumere.


Non sono tutti laureati. Anzi, la maggior parte dei giovani italiani che emigrano non ha in tasca il titolo di studio più alto. Infatti, se nei tredici anni 2011-2023 oltre 550mila giovani hanno lasciato il Bel Paese (circa il triplo secondo l’analisi condotta dalla Fondazione Nord Est), poco più del 30% è perfino senza diploma di scuola media superiore e un altro 35% possiede al più tale attestato.

Nell’ultimo triennio la distribuzione si è spostata verso i laureati, che però rimangono minoranza. Questo dato è importante perché getta una luce diversa sulla fuga dei giovani italiani: non si tratta di un fenomeno elitario, bensì è popolare perché riguarda anche persone con origini familiari svantaggiate.

Proprio per esplorare le origini e le condizioni di partenza dei giovani expat italiani, la ricerca della Fondazione Nord Est (disponibile qui) ha effettuato un’analisi che aggrega (cluster) le informazioni sulla base delle caratteristiche socioeconomiche e culturali di partenza di chi ha partecipato al sondaggio. Sono emersi due profili: gli svantaggiati e gli avvantaggiati. I quali, visti dal punto di vista della spinta ad andare all’estero, possono essere anche battezzati come “emigrati per necessità” e “emigrati per scelta”.

Il primo profilo è costituito da persone con tenore di vita dichiarato nella media, provenienti da piccoli centri e con genitori con basso titolo di studio che ricoprono profili professionali di operaio o sono pensionati. Il secondo profilo, invece, è rappresentato da giovani con un tenore di vita percepito alto o molto alto, provenienti dal centro città di comuni più ampi e con i genitori dirigenti o impiegati, entrambi con almeno il titolo di studio secondario, spesso laureati.

Al primo profilo appartiene il 28% degli intervistati, e al secondo il 23%. La restante quota proviene da condizioni intermedie tra le due. Quindi, si può affermare che un po’ più di un quarto dei giovani expat parte “per necessità”, mentre poco meno di un quarto “per scelta”.

Tabella 1. Variabili e caratteristiche dei due profili emersi.

Fonte: Fondazione Nord Est

Le diverse condizioni di partenza si riflettono in differenti motivazioni per l’espatrio. Infatti, chi emigra per necessità è indotto dalla ricerca di migliori opportunità di lavoro (26,2%) e dal desiderio di una migliore qualità della vita (23,2%). Invece tra chi emigra per scelta spicca l’importanza delle opportunità di studio o formazione (29,6%), oltre a quelle di migliori opportunità di lavoro (21,0%).

Notevoli sono anche le disparità nelle attività svolte all’estero. Infatti, la quota di coloro che frequentano un corso universitario, post-universitario o dispongono di una borsa di ricerca è doppia tra coloro che partono per scelta rispetto a chi parte per necessità; tra i quali è più elevata la percentuale di chi è senza occupazione, ma comunque molto inferiore a quella dei giovani rimasti in Italia.

Figura 1. Qual è stata la motivazione principale per trasferirsi all’estero? (Val. %)

Fonte: Fondazione Nord Est

Figura 2. Cosa fa attualmente all’estero? (Val. %)

Fonte: Fondazione Nord Est

Il diverso background di provenienza influenza gli stessi sbocchi professionali degli expat: in particolare tra coloro che sono partiti contando su condizioni di vantaggio è più ampia la quota di chi svolge una professione intellettuale (23,1% rispetto a 4,9% di chi ha origini svantaggiate) o impiegatizia (40,2% rispetto al 30%). Viceversa, tra coloro che sono partiti per necessità è più significativa la percentuale di persone impiegate nei servizi (17,6% rispetto a 10,4%) e di quanti sono operai specializzati o semi-specializzati (21,6% rispetto a 2,6%) o hanno impieghi non qualificati (8,1% rispetto a zero).

L’aspetto particolarmente interessante è che po’ meno della metà di chi ha lasciato l’Italia per necessità svolge mansioni per cui le imprese italiane denunciano vacancy (tecnico, qualificato nei servizi, operaio specializzato, operaio semi specializzato, lavoratore non qualificato). In numeri assoluti si tratta di oltre 130mila giovani. La cui assenza ha un impatto diretto sulle condizioni operative delle aziende. Una ragione ancora più pressante per indurre le imprese ad adottare politiche di organizzazione del lavoro e di governance che siano più attrattive per i giovani.

Figura 3. Ha risposto di avere un lavoro dipendente: può indicarci quale posizione professionale ricopre? (Val. %)

Fonte: Fondazione Nord Est


Questa nota è stata preparata da


Lorenzo Di Lenna, ricercatore junior

Luca Paolazzi, direttore scientifico

Roberto Scaramuzza

disponibile come #Tecnico di #Cantiere #TRASFERTISTA 100% | #Commissioning #Installation #TechnicalSupport #Maintenance #CustomerService | esperto area #SouthEastAsia + #AsiaPacific | #BANGKOK #RESIDENT |

1 settimana

#DEJAVU

Barbara Blasi

fondatore rete agile Urban Collective Placemaking; e di Bridge Lab start up per la rigenerazione urbana e il welfare territoriale. Progettista opere di urbanizzazione secondaria con obiettivi ESG ad impatto misurabile.

1 settimana

con quello che non si fa per le nuove generazioni non credo possa essere una sorpresa. Grazie di cuore per evidenziare questa grande criticità.

Massimo Luca Malvisi

dirigente sindacale presso Fit Cisl

1 settimana

Un notevole impoverimento per il nostro Paese, a quando misure per un inversione di tendenza

Per visualizzare o aggiungere un commento, accedi

Altri articoli di Fondazione Nord Est

Altre pagine consultate