La nostra guerra
Fatti medioevali in tempi moderni.
Da qualche giorno non possiamo fare a meno di chiederci quali e quante conseguenze avrà sulla nostra vita quotidiana il conflitto tra Russia e Ucraina, come ci siamo arrivati e cosa, come singoli cittadini, potremmo fare per fermare il conflitto e per evitarne di nuovi in futuro.
La mia vuole essere un'analisi priva di dati e senza alcuna pretesa e certificazione; trovo piuttosto che questo articolo sia, da un lato, un modo per tirare giù delle osservazioni fatte venendo a contatto con tanti singoli e tante realtà, dall'altro, una strada di confronto per opinioni dissimili o affini alle mie.
La mia generazione, quella dei ragazzi choosy per intenderci, si è trovata nel giro di pochi anni a dover cambiare repentinamente prospettiva rispetto a tutto ciò che conosceva. Già dai tempi della scuola competizione e velocità sono stati, controvoglia, i nostri principali alleati. Abbiamo vissuto un'ardua lotta al massacro e al sacrificio per i pochi posti di lavoro disponibili e, una volta trovati, per tenerceli stretti.
Eppure noi non siamo così, non siamo questi (o almeno non solo). Siamo la generazione della condivisone e dell'empatia, della normalizzazione del supporto psicologico e dei tentativi di resettare tantissime forme di insani dogmi (es. possiamo fare dell'ambiente ciò che ci pare e piace; è nostro diritto togliere diritti al prossimo; le donne non hanno ambizioni e gli uomini non possono avere dei sentimenti).
Un momento così delicato ci pone davanti a nuove sfide da dover affrontare e, prima di ogni cosa, ci chiede di alzare la voce. Il nostro compito è quello di portare secondi termini di paragone a elementi considerati attualmente l'unica scelta possibile.
Prima di ogni cosa, ritengo sia necessario uscire da una visione totalmente legata alla sola fattibilità economica ed iniziare ad orientarci verso una sostenibilità emotiva. Questo andrebbe fatto in ogni singola scelta e a qualsiasi livello.
L'esaltazione e centralizzazione del potere ci ha portato a guerre disumane e a ripercorrere periodicamente errori come passi in strade già compiute; è un po' come se girassimo sempre nella stessa rotatoria a ripetizione quando abbiamo tutte le possibilità per poterne uscire.
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A questo termine dovremmo cercare fortemente di contrapporre un opportuno sviluppo della collettività.
Il nostro obiettivo comune deve essere quello di pensare che la crescita personale debba andare e accompagnare quella del prossimo.
Si badi bene, il concetto non va incasellato in ormai arcaiche distinzioni di preferenze politiche, morte e sepolte almeno 30 anni fa. La scelta di una necessaria visione collettiva deve essere ritenuta unanime e imprescindibile, non è pensiero politico ma etica sociale.
Innovazione, sviluppo e sostenibilità sono i fattori di una sfida generazionale importante, non possiamo voltare le spalle a questi concetti nè nell'ordinario nè nello straordinario.
L'urgenza del momento ci chiede di iniziare già da ora a prendere le redini della situazione partendo dalle singole quotidiane decisioni.
Possiamo fare meglio, dobbiamo fare meglio.
Direttore di Itaca - Presidente CESFOL Centro Studi Formazione e Lavoro - AIF Campania Consigliere Direttivo
3 anniComplimenti Noemi, un pensiero assolutamente condivisibile