La Wunderkammer
Ognuno di noi ha la sua Wunderkammer, seppur stipata in una vecchia e deformata scatola delle scarpe. Un insieme di cose, di oggetti, agli occhi di altri magari insignificanti, per noi invece carichi di memorie e di impronte di vita: foto ingiallite e consumate negli angoli per le tante volte che le abbiamo rigirate tra le mani; lettere di una persona che ha percorso un pezzo di vita con noi e le cui parole vergate a mano ancora ci commuovono; un vecchio ritaglio di giornale con il necrologio per una amica cara di cui cerchi ogni giorno la presenza; la prima scarpetta di un figlio o la chiave di una porta che abbiamo chiuso per sempre.
Gli oggetti contano, non per un senso legato alla loro proprietà ma per la memoria che incarnano, per la relazione che grazie al loro possesso abbiamo intessuto con l'Altro, per la loro fisicità, a tratti persino consolatoria.
Uno psicanalista, Donald Winnicot, citato da Byung Chul Han nel suo saggio "Le non cose", ha diviso gli oggetti in due famiglie: gli oggetti transizionali e gli oggetti autistici.
Gli oggetti transizionali
Sono gli oggetti con cui i bambini imparano a crescere, come un peluche, un lenzuolo, un cuscino. Sono gli oggetti grazie ai quali si trova conforto, si acquisisce fiducia in sé stessi e si impara a distinguere a chi darla. Con questi oggetti si crea un rapporto intimo, personale, esclusivo; si sviluppa una relazione in cui l’oggetto è autonomo rispetto a noi e non rilascia stimoli da subire passivamente, ma al contrario, con la sua presenza, ci consente di allenare la fantasia e di ricercare soluzioni creative. Questi oggetti sono parte di noi e del nostro cuore, e come tali il perderli potrebbe lacerarci.
Gli oggetti autistici
Poi ci sono gli oggetti autistici, che sono duri, spigolosi e, come scrive Winnicot, “la loro durezza consente al bimbo di sentire più sé stesso che l’oggetto”, sviluppando un approccio narcisistico invece che aperto all’Altro, come gli oggetti transizionali. Gli oggetti autistici ci stimolano di continuo, frammentando l’attenzione e rendendoci schiavi; sono oggetti a cui non si fanno coccole, che se dovessimo perdere sono facilmente sostituibili, con cui non interloquiamo, sebbene attraverso essi passi molta della nostra comunicazione. Oggetti con cui intratteniamo un rapporto di ripetizione e non creativo, come suggerisce Han.
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Ti viene in mente un oggetto autistico, caro lettore, quello che magari stai usando per leggere questa Giraffa? Il nostro smartphone, che annulla l’Altro, ci ingabbia in una relazione narcisistica, dove non c’è spazio per l’empatia, ci estranea rendendoci, nonostante l’ipercomunicazione, sempre più soli e isolati.
Nello smarrire uno smartphone o nel dimenticarlo scatta un senso di vuoto, tipico della dipendenza da droga, che di certo non si può definire sana. Non è affezione, è dipendenza tossica, ben altra cosa, come sappiamo. Quella dipendenza che gli oggetti autistici ci portano a sviluppare anche con gli Altri, privandoci della nostra autonomia e libertà di affetti e di pensieri.
Nel perdere un oggetto transizionale, come è successo a me da poco, un oggetto che ha scortato la mia infanzia, con cui ho creato mondi diversi e avventure fantastiche, che mi ha protetto mentre ero in ospedale per una peritonite, perdi un pezzo di te stessa, perdi un pezzo di memoria e della tua vita di quel tempo, nei suoi momenti più veri, quelli in cui fai esperienze concrete, materiche e non confezionate dentro una storia destinata a dissolversi in 24 ore.
La mia camera delle meraviglie ha subito da poco una grave perdita, un pezzo di vita in cui non sono uno user di cui qualcuno facilita l’experience per illudermi di avere una vita avvincente, ma una vita in cui godo di emozioni vere, dove l’esperienza me la costruisco attraverso la relazione con le persone e con gli oggetti che fanno da ponte verso di loro.
E sono io a decidere che cosa tenere e che cosa buttare, non dei pollici di sconosciuti rivolti verso il basso o verso l’alto.
Come scrive il mio compagno di questi mesi, il filosofo Byung Chul Han, gli “odierni beni di consumo sono indiscreti, invadenti e ciarlieri. Sono già zeppi di idee ed emozioni precotte che assalgono i consumatori. Non vi penetra quasi nulla della nostra vita”. Non li possediamo, vi accediamo, impossibilitati a vivere con essi una relazione a doppio senso come i vecchi oggetti della vita analogica.
Me lo dico da sola, la Giraffa sta invecchiando e prende una piega nostalgica. Ma mentre sento ancora come un dolore fisico la separazione dal mio vecchio - e unico stereo - , da cui ho ascoltato Romeo and Juliet fino a consumare il vinile, non credo che avrò mai alcun pensiero nostalgico nel separarmi da quello scatolotto imbelle che vorrebbe controllare la mia vita e a cui, incautamente, qualche volta, mi accorgo pure di lasciarglielo fare.
Product Care Technical Content Communication Manager / Coach / Writer/Trainer/Facilitator
2 anniCara Giraffa, io vivo un momento di estrema insofferenza verso tutti gli oggetti autistici che ci rubano aria e spazio, ciò che spesso ci manca di più (insieme al tempo). Oggi è una giornata lunga e complessa ed io mi sono appellata ad uno dei pochi oggetti transizionali che posso indossare: è un ciondolo di mia mamma, da un lato una rosa su smalto blu e dall'altro un orologio piccolo piccolo che si carica a mano. Lo ricordo come parte della mia infanzia, quando lo vedevo poggiato sul suo petto e fin quasi sulla pancia tanto è lunga la catena. Lo guardavo di sotto in su. E stamani me lo metto io per tenerlo a bada questo tempo lungo, anche se nessuno lo può vedere di sotto in su date le mie proporzioni ridotte e considerato che anche mio figlio, ormai adolescente, è ben più alto di me. Grazie, ti auguro una splendida giornata
project consultant
2 annigrazie Alessandra : questa Giraffa mi fa sempre riflettere e riscontro percorsi simili ai tuoi anche se io tendo a “non buttare nulla” e anche questo non va bene ….
Senior Accountant presso Credem Banca
2 anniGrazie
Valorizzo l'identità dei brand e amo la Responsabilità Sociale. Conduco workshops di scrittura, musica, teatro e danza.
2 anniSai ripescare nella memoria e al tempo stesso lasciare andare, fa sempre bene. Sempre per quell’essenzialità e quella cura di cui parliamo spesso. A me capita di buttare qualche oggetto caro e poi di tornare a cercarlo. Che vuoto mi prendeva tempo fa cara Alessandra Colonna. Adesso lo posiziono un po’ li, in stand by, perché c’è e non c’è. E ci faccio pace. E mi libero da tante sovrastrutture.