Le astraintes in Italia

Le astraintes in Italia


Le astreintes secondo la riforma Cartabia: può costar molto caro non obbedire agli ordini del Giudice.

Uno dei punti focali dell’ordinamento civile italiano è sempre stato il principio a mente del quale il soggetto pregiudicato in uno dei propri diritti possa ottenere in via coattiva dall’ordinamento solo la piena restaurazione del diritto leso (in forma specifica) o, alternativamente, l’equivalente in valore economico del diritto leso.

In tal senso, l’ovvio corollario di un tale principio è stato il conseguente principio per cui il soggetto danneggiato non possa invece ottenere un vantaggio dal ristoro del danno (ossia non possa ottenere un bene migliore o di maggior valore rispetto al bene danneggiato o un equivalente pecuniario quantitativamente superiore al valore del bene o interesse perduto).

Purtroppo, in tempi di cronica difficoltà di tutela dei diritti, l’applicazione di tali principi per lunghi periodi di tempo ha comportato un indebito vantaggio per il debitore che, pur obbligato verso il danneggiato o il proprio creditore, può trovare più conveniente non adempiere (o adempiere nel lunghissimo periodo) piuttosto che soddisfare rapidamente il diritto altrui.

Per ovviare ad un tale “inconveniente”, l’ordinamento italiano ha avviato un processo di ammorbidimento del principio di non locupletazione del danneggiato, in un’ottica di avvicinamento verso ipotesi di astreintes propri di altri ordinamenti.

L’astreinte (o penalità di mora) è un obbligo addizionale che viene imposto ad un soggetto inadempiente, e prevede una somma di denaro aggiuntiva da versare a titolo di penalità periodica (giornaliera, settimanale, mensile), per ogni lasso di tempo di persistente inadempimento. Ovviamente, tanto è maggiore la somma (o la sua frequenza) e tanto più il debitore viene coartato all’adempimento.

La figura viene introdotta nell’ordinamento italiano nel 2009 con L. 69/2009, la quale ha aggiunto al codice di procedura civile l’articolo 614bis, il quale permetteva al Giudice, esclusivamente in sede di condanna di merito, DI fissare a richiesta di parte una astreinte congrua ed equa, la quale però era comminabile nel solo caso di inadempimento ad obblighi di fare infungibili o di non fare.

L’istituto, invero, non ha avuto però frequente applicazione, principalmente per la rara ricorrenza di espressa richiesta di parte. Nel 2015 il Legislatore è nuovamente intervenuto sul tema, prevedendo che l’astreinte potesse essere disposta, sempre in sede di condanna, “per ogni ipotesi di inadempimento ad obblighi differenti dal pagamento di somme di denaro” (così il nuovo art. 614bis, frutto della modifica introdotta con d.l. 83/205, conv. in L 132/2015).

Infine, la cd. Riforma “Cartabia” ha definitivamente aperto le maglie: la nuova formula dell’art. 614bis c.p.c., infatti, concede la possibilità di tutela tramite astreinte anche nella ipotesi in cui la sentenza di condanna nel merito non lo preveda né ne faccia menzione, e dunque anche nella fase esecutiva.

Infatti, ogni creditore che abbia ottenuto una condanna di controparte all’adempimento ad un certo obbligo (non avente ad oggetto il pagamento di somme di denaro, giacchè in tale ambito la reale tutela avverso il ritardo è affidata allo strumento degli interessi legali e moratori) può chiedere ed ottenere che il Giudice dell’esecuzione condanni la parte obbligata ed inadempiente ad una vera e propria “multa” periodica per ogni unità di tempo di ritardo nell’adempimento.

Le applicazioni sono potenzialmente infintite: si pensi al ritardo nella esecuzione di lavori (di costruzione o di demolizione), al compimento di ogni obbligo di facere, etc.

Da ultimo, addirittura con recentissima Ordinanza il Tribunale di Brindisi con pronunzia del 6.5.2024 ha affrontato il tema della applicabilità dell’astreinte in tema di inadempimento all’obbligo di concludere un contratto. La fattispecie sottoposta al Giudice era molto semplice, in sede di merito una impresa, obbligata alla stipula di un contratto dal quale aveva operato indebitamente atto di recesso, era stata obbligata alla stipula di rinnovo contrattuale dello stesso contratto.

La materia dell’obbligo di prestare il consenso, del resto, è sempre stata emblematica fra le ipotesi in cui procrastinare indebitamente l’adempimento diviene sostanzialmente vantaggioso per l’obbligato inadempiente: questi infatti è e rimane obbligato alla stipula di quel contratto alle stesse condizioni, senza la possibilità di esser vincolato ad ulteriori obblighi a prescindere dalla data di stipula.

Ed in effetti, il Tribunale di Brindisi valorizza l’aspetto per cui la nuova formula dell’art. 614bis non preveda alcuna limitazione operativa (se non quella di essere inapplicabile per le obbligazioni pecuniarie), disponendo con la pronunzia evidenziata di “costringere” l’obbligato ad una rapida esecuzione, ed imponendo il pagamento di una cifra fissa per ogni giorno di ulteriore ritardo.

Ritenuta la novità della novella legislativa, non rimane che attendere l’applicazione della norma presso le Corti di Giustizia, viste le infinite possibilità di esecuzione ed applicazione, quanti sono gli obblighi possibili gravanti sulla parte inadempiente.


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