L’impronta dell’editore
Un racconto autobiografico, carico di riflessioni, sulla vita editoriale del grande Roberto Calasso (che ci ha lasciato da poco) e sulla nascita di Adelphi, oltre a un volo radente sull’editoria europea dal primo dopoguerra in poi con qualche picchiata su alcuni territori a lui cari come Einaudi o Gallimard.
Assieme all’amico Bazlen, (singolare personaggio ai più oggi sconosciuto. Calasso ne parla in un altro bel libretto che si chiama Bobi), dell’editoria avevano da sempre un’idea ben precisa: l’idea di un “libro unico”, inteso come qualcosa che è accaduta una sola volta a quell’autore e che potrebbe essere perciò anche il suo unico libro, teoria da entrambi successivamente sviluppata ritenendo l’intera collana di Adelphi “un libro unico” dove ogni opera è indissolubilmente connessa con tutte le altre. Concetto di unicità talmente forte che spinge Calasso a dire che in questa ottica un editore arriva a rifiutare un libro principalmente perché sarebbe come introdurre un personaggio sbagliato in un romanzo. Tutte le opere di una casa editrice sarebbero perciò nella sua - grandiosa - idea assimilabili ad un lungo romanzo senza fine.
In questo meraviglioso libricino si trovano tante ghiottonerie editoriali. Ad esempio i primi romanzieri da lui pubblicati, come Joseph Roth allora sconosciuto in Italia, o Simenon, che Calasso andò a corteggiare personalmente a Losanna pur di metterlo in collana trasformando un autore al tempo mediamente conosciuto in Italia con i “Maigret” in edizione da chiosco di stazione di Mondadori, in uno dei maggiori narratori del secolo (meritatamente) grazie alla pubblicazione dei “romanzi duri” (come li chiamava lo stesso Simenon).
Molti retroscena insomma, vere leccornie per chi è appassionato di editoria. E visto che di editoria in tutti i suoi aspetti ci parla non c’è solo la letteratura ma anche il libro inteso come oggetto che ha una forma, una dimensione, un peso, un profumo, dei caratteri, un oggetto fatto di carta, inchiostro, colla o filo di refe e il risvolto (il cui antenato, ci racconta, era l’epistola dedicatoria, dove l’autore si rivolgeva al Principe che aveva protetto l’opera) e soprattutto la copertina che non è un semplice vestito del libro quanto una promessa di ciò che esso contiene.
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Qui peraltro il buon Roberto - sul culmine della mia venerazione - tira un colpo basso che fa riflettere chi per anni ha fatto un lavoro come il mio: «Volevamo poi fare a meno dei grafici, perché bravi e meno bravi - erano accomunati da un vizio: qualsiasi cosa facessero, appariva subito come ideata da un grafico, secondo certe regole un po' bigotte che osservavano i seguaci della vulgata modernista. Pensavamo che ci fossero altre vie…», vabbé, incasso e vado avanti a leggere.
Si trovano poi altre Pillole di storia dell’editoria come Aldo Manuzio, primo editore che pubblicò un libro in formato tascabile 500 anni fa… altro che Mondadori; e chi se lo aspettava?
Arriva poi a quello che ritiene l’editore al tempo ineguagliabile (assieme a Peter Suhrkamp): il grande Giulio Einaudi e la sua rabdomantica capacità di non inserire mai il libro sbagliato nel bellissimo animale unico Einaudi. E poi proprio di Einaudi racconta un interessante aneddoto di quando il responsabile della prima enciclopedia gli commissionò di scrivere la parola “corpo”. Passato il giustificato moto d’orgoglio iniziale gli venne da chiedere chi avrebbe invece scritto la parola “anima”, ma nessuno ci aveva pensato… fu allora, dice, di aver capito che non avrebbero mai avuto un punto d’incontro.
Giunge infine ad ipotizzare un modo possibile di fare editoria scevro dai limiti del denaro e del mercato (lo so: scritto dal padrone unico di Adelphi può sembrare strano ma io credo fosse proprio uno dei suoi sogni) prendendo come esempio la creazione della “libreria degli scrittori”, luogo fondato da tre scrittori russi durante la rivoluzione d’ottobre quando le tipografie erano chiuse, un luogo dove si tentava di dare ospitalità e circolazione a libri destinati ad essere dispersi, di mantenere in vita un gesto: quello di tenere tra le mani quegli oggetti rettangolari di carta, sfogliarli, ordinarli leggerli e parlarne… ridotta ala sua definizione minima, dice Calasso, questa è appunto l’arte vera dell’editoria.