A MONZA C'E' IL MARE dovealtrove.com
Confermo. A Monza c’è il mare. Circa 700 ettari di “mare verde”, sul quale si stagliano distese di carpini, ippocastani, liriodendri, ciliegi selvatici, varie specie di platani, oltre a biancospini e cornioli. Un mare abitato da scoiattoli rossi, lepri, ghiri, talpe, volpi rosse e numerose specie di volatili, quali picchi, anatre mandarine, germani reali, aironi, poiane, allocchi, civette, gufi e gheppi.
Il Parco di Monza, il mare dei monzesi. Un parco unico nel suo genere, tra i più grandi parchi cintati d’Europa, con i suoi 14 km di recinzione realizzata utilizzando anche materiali provenienti dalle mura medievali della città.
Un’immensa distesa di verde, ma, al tempo stesso, una importante pagina di storia europea: nel 1805 Napoleone concepisce l’idea di un parco che fosse riserva di caccia e, al tempo stesso, un modello esemplare di tenuta agricola, da affiancare ai Giardini Reali che Maria Teresa d’Austria fece realizzare nel 1777 a completamento del magnifico complesso della Villa Reale.
Si trattò di un’imponente opera di acquisizione di terreni di proprietà della nobiltà locale e della Chiesa, che permise di includere nel Parco anche strade, cascine, terreni agricoli, ville e giardini tipici della tradizione lombarda. La progettazione dell’opera fu affidata a Luigi Canonica, allievo del Piermarini. A lui si deve la meravigliosa sintesi fra ciò che era preesistente e ciò che doveva essere semplicemente modellato e adattato alle esigenze dello stile neoclassico della vicina Villa Reale, mentre dal punto di vista paesaggistico l’architetto riuscì a soddisfare pienamente le richieste imperiali, facendo convivere ambienti diversi fra loro: la campagna aperta, i giardini, le distese boschive (adatte alla caccia) e la vegetazione a ridosso del fiume Lambro.
L’altra mattina è stato più forte di me. Sul tragitto che percorro in bici per andare in ufficio un traffico disumano in direzione Milano. Una frazione di secondo e ho imboccato esattamente la direzione opposta: tutto il resto del mondo in direzione del caos, io e la mia bici diritti verso il Parco. Perfetta metafora della mia vita, perennemente controcorrente …
Sono state due ore di immersione totale in quel mare verde, di bagliori tra le piante, di suoni della natura, di luce piena nelle immense distese dei prati, con alternanze di fresca ombra a ridosso degli alberi.
Sorridevo da sola, ripensando a quel progetto presentato alcuni anni fa. Quell’idea così semplice di attivare un servizio di noleggio sdraio nel Parco, sul modello di altri parchi europei, tipo Hyde Park a Londra. Ricordo ancora la reazione del “personaggio” a cui illustrai la proposta: “Cara dottoressa, che io attivi o meno un tale servizio a me non cambia niente. Io il mio lauto stipendio (sottolineando la parola “lauto”) a fine mese lo prendo comunque.” E così le mie sdraio restano un sogno ma, ironia della sorte, il “personaggio” in questione non ricopre più quell'incarico.
Aneddotica a parte, la questione riguarda la necessità di elaborare nuove modalità di gestione dei parchi con l’obiettivo di migliorare la loro fruibilità e affrontando contemporaneamente temi come la manutenzione del verde, la pulizia, il controllo delle criticità e l’animazione.
Aggiungere servizi minimi come il noleggio di sdraio andrebbe sicuramente nella direzione di aumentare la fruibilità del parco e, al tempo stesso, di associare ad esso una serie di connotazioni positive: l’idea di accoglienza, il concetto di “delizia” indissolubilmente legato alle ville e ai parchi della Brianza, una maggiore attrattività e qualità estetica dell’insieme.
Quel che è certo è che anche in Italia si sta facendo strada una nuova visione che pone i parchi al centro di alcuni importanti obiettivi di politica urbana. La mera venerazione della natura non ha nessun senso. Le poche risorse disponibili non possono essere finalizzate alla pura “sopravvivenza” e conservazione dei parchi, ma devono essere impiegate per elaborare soluzioni innovative che aspirino a soddisfare necessità di ordine sociale, ricreativo e culturale, attivando processi virtuosi capaci di migliorare la qualità della vita nei contesti urbani.
Voi cosa ne pensate? Avete esperienze da raccontare in proposito? Aspetto vostri commenti.