NEUROSCIENZE FORENSI

Chiara Mustarelli,

23 giugno 2015

La libertà è il riconoscimento della necessità [1] 

Il termine neuroscienze ricomprende un insieme di discipline scientifiche, anche eterogenee tra loro, tese allo studio di vari aspetti morfofunzionali del sistema nervoso, nonché di meccanismi cerebrali come base per l’indagine ulteriore del comportamento umano, con lo scopo appunto di avvicinarsi alla comprensione dei meccanismi che regolano il controllo delle reazioni nervose e del comportamento del cervello umano.

L’espressione “neuroscienze” si pone come necessariamente convenzionale poiché fa riferimento a un complesso di discipline alquanto articolato e difficilmente riconducibile a unità. c.d Neuroscienze Giuridiche raccolgono diverse discipline accomunate dall’applicazione della neuroscienza al diritto. La branca neuroscientifica di maggior interesse è sicuramente quella delle Neuroscienze Cognitive, che si occupa di studiare in che modo variazioni anatomiche o fisiologiche all’interno del cervello possano influenzare il comportamento.

All'interno del gruppo neuroscienze giuridiche si possono individuare tre sottogruppi a seconda dell'ambito di interesse ed utilizzo.

1)     Neuroscienze forensi, con riferimento all’utilizzo in sede processuale dei risultati dei metodi di indagine neuroscientifica;

2) Neuroscienze criminali, concernente  lo studio del soggetto criminale con metodologie neuroscientifiche;

3) Neuroscienze normative, ovvero lo studio neuroscientifico del senso morale e di giustizia degli individui.

Decifrare le basi biologiche del comportamento e dell'agire umano è sicuramente un obiettivo della scienza che potrebbe apportare notevoli conseguenze all'universo forense. Lo studio di quelle che si definiscono neuroscienze cognitive si sta sviluppando sempre più in questi ultimi anni. Questa nuova esperienza si struttura per considerare inizialmente i comportamenti, oggetto di indagine delle discipline della mente, per risalire ai loro componenti basilari, scomponibili fino ai correlati neurali e, ancora più in profondità, alle loro condizioni genetiche di sviluppo.[‘]l ragionamento forense da cui derivano le decisioni giudiziali contribuiscono diverse figure tra cui quella dei giudici, dei testimoni, delle parti ed infine degli esperti. Sono proprio questi che garantiscono l'affidabilità della dimostrazione di un fatto in quanto scientificamente vero. Il giudice però deve stare attento ed è importante che abbia la capacità di discernere tra massime di esperienza affidabili e quelle che non lo sono. Un momento molto importante del ragionamento probatorio è quello riguardante la selezione degli elementi e degli eventi significativi da cui dipendono le ipotesi esplicative da verificare.

In questo orizzonte cognitivo processuale si inseriscono prove di verità, come quelle delle neuroscienze definibili "forti" per il sicuro impatto che hanno sul ragionamento del giudice. Esse si fondono su metodi in grado di migliorare l'indagine sulle basi biologiche del disturbo mentale e del comportamento criminale, anche se quest'ultimi sono ancora in una fase troppo sperimentale. 

Il fatto che la neuroscienze possa diventare la prova regina è un fatto incombente richiede che ci sia una stretta collaborazione tra i vari ambiti del sapere e quindi tra giurisprudenza, logica statistica, scienza cognitiva, affinché il giudice possa avere piena consapevolezza di quale passaggio logico si stia compiendo e del suo grado di certezza. Solo così diventerebbe possibile garantire la razionalità del metodo giuridico. Ciòpresuppone una specifica formazione e un continuo aggiornamento sia degli esperti che operano nelle aule dei tribunali sia dei giudici che devono aprire gli stessi alle scienze. I primi devono imparare ad usare una metodologia standardizzata, confrontabile, ripetibile e comprensibile dal giudice, accettando di rivedere eventualmente la propria formazione e impostazione, nonché di sottostare alle regole processuali. I secondi devono essere disponibili ad acquisire conoscenze nuove, estranee al sapere giuridico tradizionale, ma indispensabili per consentire il vaglio giudiziale di alcune questioni.

È dunque importante che chi amministra la giustizia conosca le trappole che il ragionamento spontaneo tende al ragionamento giudiziario poiché una maggior fiducia riposta nelle tecniche neuroscientifiche potrebbe portare a trascurare le altre congetture esplicative, andando così a compromettere la fase induttiva, fondamentale per il ragionamento probatorio stesso. Bisogna inoltre tenere a mente che molte metodologie di esplorazione funzionale del cervello sono ancora sperimentali. [4]

In giurisprudenza l’applicazione delle neuroscienze al tema dell’imputabilità è un approdo recentissimo; è nota la pronuncia sul giudizio circa la capacità di intendere e di volere del l'imputato per vizio di mente. Il giudice ha riconosciuto l’esistenza di un vizio parziale di mente – e, come tale, idoneo a giustificare una diminuzione della pena – anche sulla base delle risultanze derivanti da uno studio sul soggetto reo svolto attraverso lo strumento del c.d. imaging cerebrale[5]. È maturata la convinzione che sia ormai possibile, attraverso la neuroanatomia, misurare la struttura del cervello e la sua funzionalità, potendo notare le alterazioni cerebrali e i problemi strutturali nelle aree temporale e limbica, come l’ippocampo, l’amigdala e il lobo frontale.

Sofisticati strumenti di visualizzazione cerebrale (neuroimaging) sono 

•   l’analisi computerizzata del tracciato 

EEG, che realizza un mappaggio selettivo dell’attività elettrica di specifiche aree cerebrali, e consiste nella registrazione dell'attività elettrica dell'encefalo. 

•   la tomografia assiale computerizzata (TAC), metodica diagnostica per immagini, che sfrutta radiazioni ionizzanti (raggi X) e consente di riprodurre sezioni o strati (tomografia) corporei del paziente ed effettuare elaborazioni tridimensionali.

•   la risonanza magnetica funzionale (fMRI), è utilizzata soprattutto per valutare la sussistenza di un vizio di mente del soggetto ai fini dell’imputabilità. Si tratta infatti di stabilire se c’è attività in quelle aree cerebrali adibite al controllo degli impulsi, situate prevalentemente nel lobo frontale. Pertanto, si sottopone il soggetto a risonanza magnetica funzionale per verificare se c’è abbastanza flusso sanguigno in tali aree. Nel caso si dovesse riscontrare un’insufficienza ematica proprio in quelle zone adibite al controllo dei comportamenti violenti, si dovrà dedurre che c’è un malfunzionamento e pertanto il soggetto non è pienamente capace di intendere e di volere

•   la tomografia ad emissione di positroni (PET) è lo strumento che individua  le zone in cui c’è maggior flusso ematico, che corrispondono alle zone dove c’è maggior attività neurale. Viene iniettato nel sistema vascolare del soggetto un tracciante radioattivo, che si concentra dove il flusso sanguigno è maggiore. Anche in tal caso viene chiesto al soggetto di rispondere a domande, verificando se in corrispondenza delle domande critiche si è registrata una significativa attività nelle aree cerebrali adibite ad elaborare la menzogna.

•   la magnetoencefalografia (MEG), si base sulla misurazione dei capi magnetici prodotti dall'attivitàelettromagnetica dell'encefalo 

•   la tomografia computerizzata ed emissionale di fotoni singoli (SPECT): tecnica tomografica di imaging medico della medicina nucleare che adopera una radiazione ionizzante, i raggi gamma.

nonché le acquisizioni sull’attività neurotrasmettitoriale e neuromodulatoria, fino allo studio della neurobiologia molecolare. Per quanto riguarda i disturbi mentali, sono stati evidenziati i correlati neuronali e quindi una base genetica. Allo stato attuale è possibile quasi per ogni disturbo psichico riscontrare un’alterazione cerebrale, che può essere di tipo strutturale o di tipo funzionale. Le citate tecniche di neuroimaging sembrerebbero consentire lo studio diretto dell’attività cerebrale nel corso dell’esposizione ad una stimolazione emotiva o durante la risposta comportamentale in condizioni fisiologiche.

In particolare, l’amigdala viene considerata una sentinella, un computer emotivo del cervello, rispondendo in modo diverso alle differenti situazioni cognitive, emotive e comportamentali.

Ma ancora più interessanti per il giurista potrebbero essere certe indicazioni che gli studiosi delle neuroscienze affermano di poter fornire esaminando il lobo frontale (specie le aree “orbitali” o “ventromediane”della corteccia anteriore). Sarebbe possibile, addirittura, valutare i correlati neuronali della coscienza, determinanti per la pianificazione dell’atto o il controllo degli impulsi. Lo comproverebbero i risultati ottenuti con la misurazione del flusso ematico cerebrale regionale mediante la PET, ma anche la limitata capacità critica, di giudizio e, in generale, di controllo del proprio comportamento riscontrata in pazienti con lesioni traumatiche o con patologie degenerative di questa zona del cervello. Si tratta dunque di soggetti con la capacità di intendere non compromessa, ma che non riescono a controllare i propri impulsi, proprio a seguito di un’anomalia o lesione che li rende insensibili e incapaci di comprendere le emozioni altrui.

Nello specifico, le ricerche sui c.d. “neuroni specchio” consentirebbero di anticipare e capire non solo gli atti motori e fattori razionali, ma anche le emozioni. Le tecniche di neuroimaging, in definitiva, sarebbero in grado di individuare le componenti neurobiologiche del comportamento decisionale e comportamentale di tipo automatico e involontario, ma anche di riscontrare una base neuronale persino nel giudizio morale. In altri termini, nel cervello del soggetto sano e in quello del soggetto disturbato queste funzioni opererebbero in modo diverso, per cui il secondo non riuscirebbe a bloccare le risposte automatiche. Accade, pertanto, che soggetti con un lobo frontale mal funzionante possano più facilmente commettere illeciti, anche se non esposti ad ambienti particolarmente sfavorevoli, ovvero che, in presenza di una certa componente genetica, eventi traumatici possano generare reazioni aggressive altrimenti non verificabili. In questo modo è possibile distinguere stabilmente fra un soggetto infermo ed uno normale, ma anche operare una differenziazione all’interno dello stesso tipo di disturbo, ad esempio tra schizofrenici violenti e schizofrenici non violenti. Le implicazioni che le neuroscienze potrebbero avere nel processo penale sono peraltro prospettabili anche al di là del settore dell’imputabilità. Fra gli ambiti privilegiati per una loro applicazione si pone la valutazione delle testimonianze o delle dichiarazioni di innocenza (si pensi che attraverso la risonanza magnetica funzionale si arriva ad accertare la menzogna ben nel 90 % dei casi).[6]

Le neuroscienze sembrano particolarmente indicate ad evidenziare soggetti in cui, a causa di una lesione del cervello, permanga la capacità conoscitiva, ma non quella volitiva, empatica ed emotiva. Con buona probabilità, pertanto, di fronte a diagnosi di questo tipo l’esito giudiziale sarà il riconoscimento del vizio parziale di mente. 

Non mancano infatti studi, anche recenti, dai quali sarebbe emerso come nella personalità dominata, disturbata da assenza di empatia, da bassa moralità, guidata da un esasperato pensiero utilitaristico e caratterizzata da incapacità di capire, di interpretare il punto di vista dall’altro, costellazione di sintomi tipica dei disturbi di personalità, alcune particolari aree del cervello preposte ai comportamenti empatici abbiano mostrato delle patologie strutturali e funzionali. È il caso problematico del disturbo di personalità antisociale, al quale è spesso correlata la violenza c.d. estrema. Su tale disturbo le ricerche dimostrerebbero come “i geni giochino un ruolo importante nel comportamento antisociale”.[7]

Esiterebbero quindi dei c.d. fattori di rischio la cui presenza rende statisticamente più probabile il comportamento criminale e che insieme alle altre evidenze psicopatologiche e processuali forniscono la spiegazione più convincente del fatto illecito. 

In Italia fino a oggi sono quattro i provvedimenti della giurisprudenza di merito che hanno visto l’utilizzo endoprocessuale di tecniche neuroscientifiche.

In tre casi su quattro esse sono state impiegate in relazione al giudizio di imputabilità. In un caso invece per la validazione delle dichiarazioni rese dalla persona offesa.


1)     Sentenza di Trieste (2009)

Questa pronuncia ha rappresentato il primo caso in assoluto di impiego delle neuroscienze in tema di giudizio sull’imputabilità in Italia .

Un cittadino algerino Abdelmalek Bayout, da anni residente in Italia, accoltella a morte un cittadino colombiano Walter Felipe Novoa Peréz a seguito di una provocazione, costituita da insulti omofobi dovuti dall’appariscente trucco agli occhi dell’imputato. Nel corso del giudizio di primo grado, l’imputato è dichiarato parzialmente incapace di intendere e di volere sulla base di una perizia che riscontra la sussistenza di una severa patologia psichiatrica di stampo psi-cotico con tratti impulsivi e asociali, associata a capacità cognitive ed intellettive inferiori alla norma, il giudice d’appello dispone una nuova perizia ex art. 603 c.p.p., affidata a due studiosi nel campo delle neuroscienze. Nell’espletamento dell’incarico peritale, gli esperti non sostituiscono i metodi tradizionali, ma affiancano loro il sapere neuroscientifico: a una diagnosi descrittiva, compiuta all’esito di un colloquio psichiatrico e della somministrazione di alcuni test standard validati a livello internazionale, seguono, rispettivamente, una diagnosi di sede realizzata per mezzo della risonanza magnetica dell’encefalo volta a riscontrare la sussistenza di eventuali alterazioni morfo–funzionali, e una diagnosi di natura fondata sugli strumenti della genetica molecolare.

La risonanza magnetica all’encefalo non identifica segni di alterazioni strutturali. I periti riscontrano però una riduzione dell’inibizione al controllo della risposta motoria, e la presenza di un polimorfismo genetico. [8]

 La Corte concede il massimo della riduzione della pena, al fine di limitare il più possibile il periodo di esplosione del soggetto ad uno stress derivante dalla carcerazione, dato che proprio lo stress sarebbe stato all'origine della sua condanna aggressiva. 

2) Sentenza Como (2009)

Una donna, Stefania Albertani, uccise sua sorella maggiore segregandola in casa e costringendola ad assumere psicofarmaci in dosi tali da causarne il decesso. Successivamente diede fuoco al cadavere. Indiziata per la scomparsa della sorella e controllata dalla polizia, durante un diverbio con la madre, tentò di strangolarla. In seguito all'arresto emerse un complesso disegno criminoso, per cui l'imputata è tenuta a rispondere del sequestro di persona e poi dell'omicidio della sorella e del tentato omicidio di entrambi i genitori. 

La decisone del Gip di condannarla a 20 di reclusione, riconoscendole un vizio parziale, è supportata anche da accertamenti psichiatrici tradizionali e neuroscientifici, i quali hanno rivelato la morfologia del cervello e il patrimonio genetico dell'imputata. 

Viene riconosciuta valenza accertativa alle neuroscienze: sono molte le possibili correlazioni tra le anomalie di certe aree sensibili del cervello ed il rischio, ad esempio, di sviluppare comportamenti aggressivi o di discontrollo dell’impulsività, oppure tra la presenza di determinati alleli di geni ed il rischio di maggiore vulnerabilità allo sviluppo di comportamenti social-mente inaccettabili perché più esposti all’effetto di fattori ambientali stressogeni.


3) Sentenza di Cremona (2011)

Un commercialista è accusato di aver molestato sessualmente con abuso di autorità una stagista a lui affidata da un istituto tecnico nell’ambito di un progetto di formazione.

Il giudice ha riscontrato da subito alcune incongruenze tra le dichiarazioni rese dalla ragazza, che descriveva ripetute molestie, e quanto affermato dal datore di lavoro, che smentiva le dichiarazioni della stagista.

La ragazza ha chiesto di essere sottoposta ad un test che confermasse la veridicità delle sue dichiarazioni e il giudice, di conseguenza, ha disposto una perizia neuro-scientifica.

Il test effettuato è stato lo IAT necessario per avere conferma non soltanto della congruenza tra quanto  dichiarato dalla persona offesa e la traccia di memoria, ma anche del danno psicologico che ella affermava aver subito dopo le molestie 

L’esperimento «ha dimostrato l’esistenza di un ricordo che risulta avere idoneità lesiva ed è congruente con il sintomo postraumatico lamentato dalla persona offesa». Nel complesso, quindi, proseguono le motivazioni, «l’esame strumentale del ricordo autobiografico permette di identificare come proprio e “naturale” il ricordo corrispondente a quello descritto nell’accusa e costituisce una conferma delle prove narrative che erano state raccolte nel corso dell’indagine». [9]

Il giudice ha condannato il datore di lavoro ad un anno. 

L’Autobiographical IAT (o Forensic IAT) è uno strumento di misura indiretta che, in base ai tempi di reazione nelle risposte, stabilisce l’associazione tra concetti.

Si tratta di un test computerizzato durante il quale si chiede al soggetto di classificare gli stimoli che appaiono sul monitor, avendo a disposizione due possibilità di scelta (premendo, cioè, un tasto o un altro), nel minor tempo possibile. Tali stimoli possono consistere sia in parole sia in immagini, e ogni volta che uno stimolo appare sul monitor, il soggetto deve associarlo ad una delle due possibilità di scelta (ad es., “vero” o “falso”).

Al soggetto vengono poste sia domande di mero controllo, di cui si conosce già la risposta(ad es., «In questo momento sono davanti ad un monitor» - vera, «In questo momento sono in macchina» - falsa), sia domande critiche da verificare (ad es., al fine di riscontrare un alibi, le domande critiche potrebbero essere le seguenti: «Il giorno 20 gennaio mi trovavo a Roma», che il soggetto afferma esser vera, e «Il giorno 20 gennaio mi trovavo a casa della vittima a Milano», che il soggetto afferma esser falsa).

Alla fine del test, si mettono a confronto i tempi di reazione alle due tipologie di domande (critiche e di mero controllo): se emergono incongruenze tra tempi di reazione che dovrebbero essere identici, allora la risposta del soggetto alla domanda critica viene ipotizzata falsa. Più semplicemente, se il soggetto impiega più tempo per rispondere ad una domanda critica rispetto al tempo impiegato per rispondere ad una domanda di controllo, vorrà dire che egli sta mentendo.[10]

Altra tecnica finalizzata a individuare tracce di memoria è la Poligrafo con Guilty Knowledge Test (GKT).

Attraverso tale metodo, sono mostrate alla persona alcune immagini, o sono rivolte alcune domande, in parte attinenti al reato e in parte irrilevanti. Un soggetto non colpevole non sarebbe in grado di distinguere le domande rilevanti da quelle irrilevanti e tenderebbe a fornire risposte “fisiologiche” identiche per ogni domanda; il soggetto colpevole, invece, manifesta delle variazioni fisiologiche di fronte a domande o immagini attinenti al crimine.

Soltanto il colpevole, a conoscenza che la vittima è stata uccisa con una 9-mm, avrà una risposta fisiologica diversa al presentarsi dell’opzione pistola 9-mm rispetto alle altre alternative. Affiora quindi inconsapevolmente una “traccia di memoria” che il soggetto ha riguardo la scena del crimine.


4) Sentenza di Venezia (2013) 

pediatra di una scuola elementare è arrestato in flagranza di reato nell’atto di commettere violenza sessuale nei confronti una minore. In seguito egli confessa di aver molestato sei diversi minori, tutti di età inferiore ai dieci anni. La tesi difensiva è quella di dimostrare, mediante il ricorso a tecniche neuroscientifiche, che l’impulso pedofilo dell’imputato sarebbe stato conseguenza della pressione esercitata sull’ipotalamo da parte di una formazione tumorale, riscontrata poi con risonanza magnetica. Tale formazione avrebbe quindi provocato effetti compressivi sulla regione dell’ipotalamo, una struttura del sistema nervoso centrale deputato, tra le altre cose, al controllo degli stati emotivi e del comportamento sessuale. La difesa chiede l’assoluzione dell’imputato in quanto incapace di intendere e di volere al momento della realizzazione dei fatti di reato o per lo meno il riconoscimento del vizio parziale di mente. Il giudice condanna l'imputato dal momento che gli esperti concordano con i consulenti circa la zona su cui il tumore avrebbe esercitato la propria pressione: non andrebbe a giustificare le azioni compiute. [11]

È utile sapere ai fini psicologici e anche giuridici quale sia il danno subito da un minore in seguito a violenza per sensibilizzare l'attenzione su una effettiva tutela dei loro diritti violati. Grazie ai neuroni specchio sappiamo che le violenze subite rimango impresse nella corteccia celebrare incidendo inevitabilmente sul loro sviluppo neurologico. Infatti i neuroni specchio proiettano l'immagine della violenza dal mondo esterno nel microcosmo del ragazzo, attivando meccanismi di imitazione e condizionando il loro comportamento sociale. La violenza fisica e psichica avviene nell'area percettiva visiva, che collegata con i neuroni specchio, genera traumi nell'emisfero celebrale e provoca sofferenza e traumi gravi. [12]

Il principale problema che nasce dall’applicazione in ambito processuale delle neuroscienze riguarda la compatibilità di tali tecniche con quanto stabilito dagli artt. 188-1891 c.p.p., che tutelano la capacità di ricordare e la libertà morale della persona nell’assunzione della prova, e dall' art. 220 c.p.p., che vieta la perizia psicologica in capo al l'imputato. 


I lobi frontali umani e digitali

Negli ultimi decenni si è sviluppato un rapporto epistemologico "uomo-macchina" molto particolare: infatti le nostre conoscenze sui meccanismi del cervello hanno tratto ispirazione dell'analogia con il computer. Le prime reti neutrali erano direttamente ispirate all' analogia con il neurone biologico: la creazione di certi linguaggi informatici sì è ispirata direttamente al concetto di contesto psicolinguistica. L'evoluzione biologica del cervello e l'evoluzione tecnologica dei computer rivelano principi guida simili? A quanto pare sistemi complessi in evoluzione fanno fronte a maggiori esigenze computazionali. Si può quindi riscontrare una simmetria tra la transazione da un'organizzazione fondata su un principio modulare ad una organizzazione eretta sul principio di un gradiente distribuito, transazione che caratterizza tra l'altro l'evoluzione del cervello e della società, e quella che si applica al mondo digitale. 

Sembrerebbe quindi che gli esseri umani introducano quella che è la propria organizzazione interna nella società e nei congegni artificiali. Ma se anche questo avvenisse, si tratterebbe di un processo di ricapitolazione involontario e inconscio, dal momento che l'evoluzione della società e quella del mondo digitale non sono state guidate in modo esplicito dalla conoscenza delle neuroscienze.

Analizzando l'evoluzione del computer è inevitabile incominciare il discorso parlando degli elaboratori mainframe, i quali si occupavano di ricerca civile e militare. Ogni mainframe aveva una complessa organizzazione e una grande potenza computazionale, ed era isolato dagli altri: era di natura modulare. 

Bisogna attendere gli anni settanta per incominciare a osservare una diffusione dei primi personal computer (PC). La potenza di questi ultimi è indubbiamente inferiore rispetto ai mainframe, ma potevano eseguire compiti di una varietà decisamente più vasta e soprattutto erano di gran lunga più numerosi. 

Successivamente, negli anni ottanta, i compiti computazionali dei pc aumentarono notevolmente fino a ridurre l'importanza e l'utilizzo del primigenio mainframe.

Fu durante gli anni novanta con l'avvento di internet dei network pc, la cui principale funzione era quella di fornire l'accesso al già citato internet, che il mondo digitale assumeva i connotati di una rete virtuale.   

Il sopraggiungere di quella che si potrebbe definire "anarchia digitale" coincise con l'esplosione del volume di informazioni pubblicati su World Wide Web, il quale rese sempre più difficile la ricerca di informazioni specifiche necessarie per un compito particolare. Come nel caso dell'evoluzione del cervello, sorsero pressioni adattive le quali favorirono l'emergere di un meccanismo che, pur preservando in linea di principio i gradi di libertà del sistema, fosse capace di vincolarlo in qualsiasi situazione specifica orientata a un fine. Nacquero i motori di ricerca.

Come i lobi frontali, i motori di ricerca non contengono l'esatta conoscenza necessaria per risolvere il problema corrente, ma hanno una visione d'insieme del sistema che consente loro di trovare, all'interno della rete, i siti specifici dove si trova quella conoscenza. Essi sono apparsi ad uno stadio relativamente tardivo della transazione del mondo digitale da organismo prevalentemente modulare a organismo distribuito. I motori di ricerca rappresentano la funzione esecutiva all'interno di internet: sono i lobi frontali digitali.

Sono di facile intuizione le somiglianze che intercorrono tra l'evoluzione del cervello, della società e dei sistemi computazionali artificiali. Ciascuno è caratterizzato dalla transazione da un principio di organizzazione modulare al principio distribuito del gradiente che individua, ad uno stadio molto avanzato, un sistema di controllo esecutivo con il compito di limitare la prospettiva dell'anarchia, che per natura è portata ad aumentare un modo parallelo alla complessità di qualsiasi sistema.[13]




[1] Citazione di Friederich Engels

[2]http://www.academia.edu/8903881/NEUROSCIENZE_FORENSI_E_GIUSTIZIA_PENALE_TRA_DIRITTO_E_PROVA_DISORIENTAMENTI_GIURISPRUDENZIALI_E_QUESTIONI_APERTE_

[3] Valentina Zuech, Neuroscienze e diritto. Possibilità e limiti di un'esperienza neuro-giuridica

[4] M. Bettolino, Prove neuro-psicologiche di verità penale, pp. 31 ss

[5] Diritto e scienza, rivista telematica giugno 2012, n*6

[6] "Le possibili ricadute delle neuroscienze sull'ordinamento giuridico" 

[7] "Prove di verità neuroscientifiche di imputabilità e di pericolosità"

[8]http://www.academia.edu/8903881/NEUROSCIENZE_FORENSI_E_GIUSTIZIA_PENALE_TRA_DIRITTO_E_PROVA_DISORIENTAMENTI_GIURISPRUDENZIALI_E_QUESTIONI_APERTE_

[9]http://www.academia.edu/8903881/NEUROSCIENZE_FORENSI_E_GIUSTIZIA_PENALE_TRA_DIRITTO_E_PROVA_DISORIENTAMENTI_GIURISPRUDENZIALI_E_QUESTIONI_APERTE_

[10] Di Mascio, Neuroscienza forense 

[11] Cfr. 9

[12] Sara Mazzaglia ,I neuroni specchio nella violenza sui minori

[13] Elkhonon Goldberg, La sinfonia del cervello, pp. 368 ss

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