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Powell e Lagarde alla resa dei conti


Buongiorno a tutti e benvenuti nella newsletter di Egos Finance.

La scorsa settimana ha visto il coincidere di un gran numero di eventi di rilievo tra le riunioni di molte banche centrali (FED, BCE, BoE) e i dati sul mercato del lavoro americano.

Senz’altro i più importanti sono stati i discorsi di Powell e Lagarde che, a fronte dei rialzi dei mercati dell’ultimo periodo, erano attesi estremamente hawkish al fine di ridimensionare le aspettative di “pivot” della politica monetaria. Proprio il fatto che gli operatori fossero così consapevoli di un probabile atteggiamento hawkish ha determinato una reazione degli indici azionari a dir poco euforica di fronte a banchieri centrali che non sono riusciti a superare le aspettative.

Ma andiamo per ordine.

Nella giornata di mercoledì, la FED ha alzato i tassi di 25 punti base e ha fatto riferimento alla necessità di ulteriori aumenti (“ongoing increses in the target range will be appropriate”), ribadendo anche il fatto che questi rimarranno elevati per diverso tempo (“for quite some time”). Su queste prime dichiarazioni, contenute nel comunicato precedente al discorso, i mercati azionari sono scesi. 

Tutto è poi cambiato durante la conferenza stampa di Powell. Il presidente della FED ha tentato di essere hawkish ma l’interpretazione è stata meno aggressiva di quello che si poteva intendere.

In primo luogo, Jerome Powell ha parlato solo di “un altro paio di rialzi”, facendo intendere che la FED sia vicina al punto di inversione. In secondo luogo, il presidente ha messo in evidenza che il processo di disinflazione è ormai in corso (la parola è stata pronunciata ben 11 volte). In altre parole, dopo 450 punti base di rialzi in un tempo così ridotto, è evidente che si avverta la necessità di rallentare o di fermarsi per valutare gli effetti ritardati sull’economia. Questo soprattutto in un contesto in cui l’inflazione sembra, almeno in parte, allentare la morsa.

Anche nel discorso all’Economic Club di Washington non ha tentato di correggere il tiro, segno che l’atteggiamento meno hawkish era voluto. Ha ribadito nuovamente che vi è un processo di disinflazione in atto ma che è da monitorare a causa del mercato del lavoro ancora “temporaneamente” troppo forte.

Christine Lagarde, da canto suo, ha alzato i tassi di 50 punti base, prendendo l’impegno di alzarli nuovamente di 0.5% anche nella prossima riunione. Tale impegno, tuttavia, è stato definito dalla Lagarde come “non vincolante”, cosa che costituisce una sorta di incongruenza concettuale, frutto probabilmente della mediazione di diverse istanze all’interno della BCE.

Oggettivamente si tratta di posizioni hawkish, sia da parte della FED che da parte della BCE. Queste però non sono state abbastanza da spaventare i mercati, già ampiamente preparati. Gli investitori hanno infatti interpretato tali informazioni in uno scenario che potrebbe essere diviso in due, entrambi molto positivi:

  1. se l’economia USA continua a tenere nonostante la FED continui ad alzare i tassi, allora lo scenario è quello del soft landing. E se lo scenario è questo (invece che di recessione) allora i mercati azionari vanno comprati;
  2. se l’economia USA andrà in recessione in seguito alla politica monetaria aggressiva della FED, allora sarà molto probabile che la FED inizi a tagliare i tassi. E se questi verranno tagliati, allora i mercati saliranno.

Giusto o sbagliato, emotivo o ragionato, questo è il ragionamento degli investitori in questo momento. Non possiamo sapere se continuerà ma, come già detto più volte, avere il piede dentro il mercato a prezzi bassi (acquisti sulla discesa del 2022) può aiutare in questi contesti di mercato volatili.


Un mercato del lavoro che non accenna a rallentare


Per finire la scorsa settimana in bellezza, nella giornata di venerdì, è stato rilasciato un altro spettacolare report sul mercato del lavoro statunitense.

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Sono quattro i punti importanti.

  1. Le buste paga sono uscite in aumento di 517 mila unità contro un’attesa di soli 185.000.
  2. La disoccupazione è scesa ulteriormente a 3.4%, il livello più basso dal 1969.

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  1. salari sono saliti più delle attese a 4.4% (contro 4.3%).
  2. posti di lavoro vacanti sono nuovamente usciti sopra le attese, ora vi sono 1.9 posizioni lavorative aperte per ogni persona in cerca di lavoro.

Bisogna precisare che ci sono state delle variazioni metodologiche nel calcolo del dato ma non vi è comunque dubbio che il mercato del lavoro si mantiene forte, contro ogni aspettativa della Federal Reserve.

La domanda che sorge spontanea è: come è possibile che il mercato del lavoro si mantenga forte nonostante le numerose notizie di licenziamenti e l’imponente rialzo dei tassi del 2022?

Il mercato del lavoro sta sicuramente passando un momento “differente rispetto al passato” e potremmo dover aspettare ancora per avere una risposta definitiva. Ciò su cui possiamo ragionare, per il momento, sono i seguenti punti.

Da una parte, le notizie dei licenziamenti di Google, Facebook, Amazon, ecc., non hanno altro scopo se non quello di creare una narrativa intorno a queste società che dimostrano di tagliare i costi. La realtà è che quei numeri non sono che lo zero virgola dell’intera forza lavoro della Silicon Valley.

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Non solo. I licenziamenti attuali hanno colpito solo il settore tecnologico e in parte quello finanziario. Nei settori della sanità, dell’energia e in generale in quello manifatturiero, invece, le aziende stanno continuando ad assumere per necessità di forza lavoro. In altre parole, non si può ancora parlare di licenziamenti ma solo di spostamento della forza lavoro da un settore all’altro.

Dall’altra parte, si assiste anche ad un fenomeno che viene chiamato “job hoarding”. Questo consiste nel fatto che le società tendono a tenere i lavoratori anche se vi sono segnali di rallentamento del business in quanto è stato molto difficile reclutarli negli anni scorsi.


Le operazioni da seguire


Questa particolare situazione ha subito cambiato le carte in tavola sui mercati finanziari.

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La prima scelta degli investitori è stata quella di ri-prezzare le probabilità che la FED si fermi nel processo di rialzo dei tassi. Un mercato del lavoro più forte del previsto ha indotto gli operatori ad alzare i tassi attesi sopra il 5%. Per la precisione ora i tassi sono visti arrivare nel range 5-5.25% tra giugno e settembre. Rimane comunque fermo il fatto che per fine anno i tassi sono visti al ribasso, nuovamente sotto il 5%.

Questo cambia i portafogli? Nel breve periodo potrebbe, nel lungo potremmo dire di no.

Se per il momento il mercato continuerà a prezzare una FED più aggressiva, i rendimenti obbligazionari (soprattutto quelli a breve) potrebbero salire per scontare tassi poco sopra il 5%. Questo risulta evidente anche dal movimento del dollaro, che si è rafforzato contro euro e tutte le altre valute.

Il mercato azionario, invece, potrebbe continuare a vedere una sovraperformance dei titoli value rispetto a quelli growth.

Nel lungo periodo invece poco cambia. Se il processo di disinflazione rimane in atto, i tempi possono solo estendersi di qualche mese ma tutte le operazioni di cui abbiamo parlato fino ad ora rimangono in piedi:

  • sovraperformance di growth contro value;
  • sovraperformance di consumi discrezionali rispetto a quelli non discrezionali;
  • sovraperformance (nel breve) dell’obbligazionario a breve termine rispetto a quello a lungo termine;
  • sovraperformance di euro, yen e pound contro dollaro.

E’ ancora troppo presto per dirlo ma avere una strategia che permetta di costruire una serie di posizioni per il prossimo ciclo finanziario potrebbe salvaguardare i propri risparmi nel lungo periodo.

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