Piacere, Armando Testa.
Per fare pubblicità efficace è necessario avere uno stile?
(Capitolo 1/2)
Il noto pubblicitario di Torino è stato per la pubblicità in Italia quello che i Beatles sono stati per la musica nel mondo: un pionieristico caposcuola.
Nell’immediato dopoguerra è stato il primo a fare pubblicità moderna. Quindi a considerarla una conseguenza del marketing, e a finalizzarla alla vendita.
Memorabili le sue campagne per Lines, Punt e Mes, Lavazza, Olio Sasso, Pirelli ecc.
Io, come tutti i miei colleghi pubblicitari, non posso che avere un senso di riconoscenza e massima stima nei suoi confronti.
Riusciva a coniugare perfettamente il suo essere artista con le necessità di mercato, che inevitabilmente devono essere l’obiettivo primario della pubblicità.
In Italia, prima della seconda guerra mondiale, ci si affidava agli artisti. Ci sono meravigliose affissioni realizzate da Doudovich, Depero ecc.
Erano affermati pittori che si prestavano alla pubblicità.
Creavano opere esteticamente pregevoli, ma dal punto di vista comunicativo e pubblicitario talvolta zoppicanti. Tutto questo mentre in Inghilterra e in America già David Ogilvy, Leo Burnett, J. Walter Thompson mettevano le basi per quella che sarebbe diventata la pubblicità contemporanea.
Questi, come altri, sono stati i padri di tutti noi comunicatori, e il loro successo li ha portati a creare agenzie multinazionali omonime, ancora oggi operanti con successo.
A questo punto, da pubblicitario, ma soprattutto da docente, sorge spontanea una domanda che formulo sempre ai miei allievi: la pubblicità è arte?
In attesa di un vostro gradito contributo è felice di confrontarmi col vostro parere, esprimo il mio, e tra due settimane, se vorrete dedicarmi di nuovo il vostro tempo, lo motiverò con dei fatti.
La pubblicità non solo non è arte, ma è il suo esatto contrario.