Prendere posizione
Viviamo una fase caratterizzata da profondi cambiamenti sociali, politici, culturali e le guerre tornano ad essere realtà dopo anni di pace percepita (almeno da noi occidentali). Emerge allora una questione rilevante: la necessità di prendere posizione di fronte a eventi che influenzano la nostra società e sulle quali restare neutrali non è solo una scelta, ma può diventare una forma di complicità passiva.
Spesso la neutralità viene percepita come sinonimo di equilibrio o obiettività. In realtà, rimanere indifferenti di fronte a ingiustizie, abusi di potere o questioni etiche di grande rilevanza risulta, nella pratica, un atto di supporto verso lo status quo. Nel celebre discorso "La lettera dal carcere di Birmingham", Martin Luther King denunciava apertamente la pericolosità del "moderato bianco" che, pur non sostenendo direttamente il razzismo, rimaneva silente di fronte alla segregazione e alle violenze. Il silenzio di fronte all'ingiustizia non è altro che una forma di sostegno implicito alla stessa.
La stessa dinamica si può osservare oggi in molte situazioni, che si tratti di crisi climatiche, questioni di equità di genere, delle guerre in Ucraina e Israele, o altro. Non prendere posizione su questi temi significa legittimare il sistema che perpetua le discriminazioni. La neutralità diventa una maschera per l'inerzia. Troppo facile dire “sono contro la guerra”. Tutti lo siamo. Ma fino a che in giro per il mondo ci sarà chi invade paesi democratici (per “operazioni speciali” … pfff), allora le armi continueranno a essere necessarie, e non per conquistare ma per difendere, per assicurare proprio quella pace che vogliamo. Perché chi è abituato all’arroganza, alla guerra, all’imperialismo, non si siede a nessun tavolo negoziale se gli offri un tè caldo e una chiacchierata. Chi agisce così interpreta l’apertura al dialogo come debolezza, scende a patti solo se viene trattato allo stesso modo. Ma questo in molti non vogliono dirlo, perché è meglio evitare di parlare di quella che chiamano “politica” e che in realtà è vita, per i molti che ne subiscono le conseguenze senza aver fatto nulla per meritarsele, come gli Ucraini ad esempio.
Prendere posizione richiede coraggio, ma è un atto di responsabilità civica e morale. In molti casi, la paura di sbagliare, di essere criticati o di perdere certi contatti può portare le persone a rifugiarsi nel silenzio. Chi si tappa gli occhi davanti ai soldi e agli interessi economici, dimenticando certi valori, significa che probabilmente ha come unico valore guida proprio i soldi. Senza il coraggio di chi ha preso posizione nella storia (perdendo anche vantaggi personali) molte conquiste che oggi diamo per scontate non sarebbero mai state raggiunte.
Le grandi trasformazioni sociali non avvengono mai grazie alla neutralità, ma grazie all’azione e alla determinazione di chi sceglie di prendere una posizione chiara. In situazioni di crisi o ingiustizia, il silenzio non è una forma di neutralità, ma diventa un'arma nelle mani dell'oppressore.
Chiaramente un aspetto cruciale del prendere posizione è la necessità di essere ben informati. Non si tratta solo di esprimere un’opinione, ma di farlo in modo consapevole. Oggi, con l’accesso a una quantità infinita di informazioni, è facile formarsi un’opinione su questioni rilevanti, ma è altrettanto facile cadere vittima di disinformazione. Prendere una posizione informata richiede l’impegno di approfondire i temi, di ascoltare punti di vista diversi e di riflettere in modo critico. Altra enorme difficoltà in un mondo fatto di titoloni e superficialità.
Essere informati però non significa essere impassibili. Ci sono questioni che, per loro natura, richiedono una risposta immediata e una posizione netta: il razzismo, l’oppressione, le violazioni dei diritti umani, far guerra a chi invade Paesi democratici. Su questi temi, il tempo dedicato a eccessive riflessioni e il tirare in ballo la complessità, può portare a un ritardo pericoloso. Di fronte alle atrocità non possiamo permetterci di essere neutrali.
L’indifferenza può avere conseguenze devastanti. Ricordiamo il comportamento delle nazioni che durante la Seconda Guerra Mondiale scelsero di non intervenire prontamente contro il regime nazista, contribuendo così, indirettamente, al perpetuarsi dell’Olocausto. Le lezioni della storia ci mostrano che indifferenza e neutralità possono rendere possibile la continuazione di violenze e ingiustizie.
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Oggi ci troviamo di fronte a sfide altrettanto gravi che richiedono la nostra attenzione, anche come professionisti. Ignorare questi problemi, nella speranza che qualcun altro si assuma la responsabilità di affrontarli, è una scelta miope e pericolosa. Ogni individuo ha un ruolo da svolgere, e ogni silenzio equivale a un'occasione persa per contribuire al cambiamento.
Prendere posizione è un diritto, ma anche un dovere morale verso la comunità e noi stessi. Restare neutrali non è un’opzione, ma una forma di disimpegno che contribuisce perpetuare le ingiustizie. Solo chi non resta in silenzio può aiutare il cambiamento necessario. Soprattutto oggi non c’è spazio per la neutralità nel percorso verso un mondo più giusto.
Esercizio. Pensa alle questioni che affrontiamo attualmente: i conflitti in corso, cambiamento climatico, le questioni di genere, ecc. Pensa a quali sono i tuoi valori. Ora pensa a qual è la tua posizione su argomenti importanti e cruciali del nostro tempo? Ti capita di esprimerla chiaramente o sei silente? Cosa vuoi fare da oggi in poi? Buon lavoro.
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Static Equipment Engineer presso Saipem
2 mesiGrazie per questa riflessione! Come hai evidenziato in modo chiaro, essere informati non è facile. Serve volontà, spirito critico, analizzare i bias in ricerca/analisi e tempo. Non è detto che questo basti, in alcuni argomenti non possiamo essere competenti e ci costringe ad affidarci ad altri, che dobbiamo scegliere con cura. Come dice Umberto Galimberti nel discorso introduttivo all'Etica del Viandante: "La tecnica rischia di sopprimere la democrazia perché ci pone di fronte a problemi complessi, che superano le competenze della maggior parte di noi. Decidiamo sempre più spesso in modo irrazionale: seguiamo la fede, il leader del nostro partito o un personaggio che ammiriamo. Da qui nasce il populismo: la capacità di fornire soluzioni semplici a problemi complessi per i quali siamo incompetenti. Il populismo si nutre dell'incompetenza collettiva; accettiamo queste soluzioni perché ci semplificano la vita, senza applicare un adeguato spirito critico. Siamo passati da un'ansia dovuta al fatto di non conoscere le cose, all'ansia di sapere troppo e non riuscire più a capire gli effetti del nostro fare in quanto la complessità delle cose e il risultato delle nostre azioni è fuori dalla nostra comprensione/capacità di previsione."
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3 mesiBellissimo articolo Walter. Diciamo che il contesto odierno e forse un pelino in più quello italiano è un pò sordo alle "chiamate all'azione". Ascoltiamo solo la "pancia" (purchè sia la nostra pancia ovviamente). Basta vedere i numeri dell'astensionismo nelle elezioni: non è forse anche quella una forma di "silenzio colpevole"? Che ne dici?