Recensione del libro "Ines de Castro: Un mito lungo cinque secoli"

di Federico Giannattasio

(giannattasio.federico@gmail.com)

Salvatore Statello, Ines de Castro: Un mito lungo cinque secoli, Messina, di nicolò edizioni, 2016, pp. 228, € 18.

È questo il titolo del volume nato per opera intellettuale di Salvatore Statello – già docente di letteratura francese, saggista e studioso nato a Regalbuto (EN).

Già il titolo dell’opera di Statello mostra come il mito di Inês – come la regola ortografica portoghese detterebbe – abbia varcato, nell’arco dei trascorsi cinque secoli, i confini europei del Regno di Portogallo e Spagna, attraversando Francia e per poi giungere al di qua delle Alpi. Ines, nome italianizzato che campeggia sulla copertina del volume (una copertina essenziale e limpida) in testa ad una rappresentazione iconografica della “rainha depois de morta”, riconduce con un filo diretto alla Francesca di dantesca memoria, all’Isotta del fol amor medievale.

Inês De Castro è stata, come ricostruibile dalle cronache e letteratura pervenuteci, un personaggio vissuto nel XIV secolo, alla corte di Alfonso IV di Portogallo: una damigella d’onore su cui erano cadute le attenzioni del principe erede al trono, Pietro I. Costretta all’esilio, i due si ricongiungono alla morte di Costanza, moglie di Pietro, e celebrano un matrimonio segreto. Per Inês, tuttavia, quel matrimonio non significò la chiusura delle persecuzioni personali poiché, in seguito a delle trame ordite alla sue spalle, sulla sua testa cala una condanna a morte. L’assassinio di Inês si consuma, come immaginabile, nel più cruento dei modi: muore decapitata e nel luogo della tragedia, secondo la leggenda, esiste tutt’oggi una fonte, la “Fonte das Lágrimas” che sarebbe nata proprio dalle lacrime versate dalla malcapitata. Ancora oggi una sezione della fonte è macchiata di rosso, del sangue versato da Inês, come si narra. La sua morte, tuttavia, non fu la chiusura di un cerchio storico, bensì l’apertura del mitologico: Pietro si adoperò affinché il loro matrimonio venisse riconosciuto, proclamando a tutti gli effetti Inês regina post mortem. La sua storia, il loro amore, l’indomabile passione che unisce Eros e Thanatos diventano, nel corso degli anni, una sorta di mito, un topos letterario di tutta Europa. L’amore tra i due nulla ha da invidiare a quello tra Tristano e Isotta, tra Paolo e Francesca. Inês, in Italia, è stata poi riportata all’attenzione del pubblico tra il 1700 e il 1800, facendo capolino in numerose opere letterarie e musicali. Statello, dal canto suo, riporta la storia e il mito in vita: ha voluto – con ottimi risultati – rimuovere la coltre di polvere che era nuovamente calata sul mito della damigella, compiendo una ricerca accurata e meticolosa che ha portato alla luce chi nei secoli ha deciso di scrivere della o sulla damigella. Sono presenti, tra gli altri, Antoine Houdard de la Motte (francese, al quale quasi tutti gli autori italiani fanno riferimento), Domenico Laffi, Pietro Metastasio (che per primo ha spostato l’argomento nel campo musicale), Giovanni Colomes, Giovanni Greppi, Davide Bertolotti, Luigi Biagiotti, Laura Beatrice Oliva-Mancini, Angelo Basile, Enrico Franceschi, Gioacchino Napoleone Pepoli e Luigi Bandozzi. Chiude il libro un breve saggio della musicologa Paola Ciarlantini, che approfondendo l’opera di Giuseppe Persiani del 1835, che allora ebbe tanto successo, e un elenco completo delle opere musicali che vedono Inês protagonista. Parte del volume, uscito in prima edizione nel 2004, recava un sottotitolo diverso: “eroina del teatro italiano tra Settecento e Ottocento”. In questa ultima edizione, quindi, l’orizzonte letterario si estende e il viaggio si fa lungo cinque secoli. Statello ha inserito la traduzione italiana delle prime opere portoghesi che ricordano Inês, Garcia de Resende (che pubblica la prima poesia pervenutaci, proprio nel 1516, da qui il titolo del volume), António Ferreira e Francisco Manuel de Melo.

Il mito, quest’oggi al suo seicentosessantatreesimo anniversario, è ripercorso all’interno del volume in una formula che vede la prosa, la poesia e le arti figurative coesistere, il tutto dopo una dotta prefazione della Prof.ssa Mariagrazia Russo che ripercorre una storia scissa tra Eros e Thanatos, in cui c’è spazio per i versi leopardiani di A Silvia che sembrano rievocare quelli de Os Lusíadas del poeta portoghese Luís de Camões.

L’opera è tutt’altro che impersonale e priva d’anima: è invece segnata dall’impronta discreta ma decisa di uno studioso amante della cultura e letteratura portoghesi che con passione ha deciso di consegnare nelle mani del lettore la chiave per aprire non una, ma molte porte su di una storia fattasi mito. Nelle conclusioni, l’autore si augura di essere stato esaustivo nella ricerca: credo che al termine della lettura chiunque possa rassicurarlo di non aver trovato neanche una virgola fuori posto. Questo libro è un viaggio letterario nel tempo e nello spazio che apre nuovi sguardi su un mito che, per definizione, nuovo non è.


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