Siamo tutti dopati?
Vi è mai capitato di provare una sorta di intimo piacere quando sotto il vostro post aumentano visualizzazioni, like e condivisioni? Vi è mai capito di provare un certo compiacimento nel ricevere un apprezzamento da una persona a cui tenete, e finanche da uno sconosciuto? Vi è mai capitato di anelare il plauso di mamma e papà per un bel voto di matematica? E quindi, di sentirvi delusi, amareggiati, dispiaciuti per non riuscire a piacere agli altri come vorreste?
Se vi è capitato, sappiate che non c’è nulla di strano, anzi è molto naturale.
Patricia Greenfield, psicologa dell’età evolutiva e docente dell’Università della California, ha sottoposto a risonanza magnetica il cervello di alcuni ragazzi che avevano appena ricevuto like ai propri post o foto. Il fatto interessante è che più like ricevevano, più risultavano illuminate quelle parti del cervello che si accendono quando proviamo piacere, quale ne sia la sua fonte.
Come la Greenfield ha avuto modo di spiegare a Lisa Iotti - il cui libro 8 secondi, per me è stata e resta fonte di numerose scoperte che mi sono poi dilettata ad approfondire-, “questa regione del cervello che risultava più illuminata è quella coinvolta nelle dipendenze…non solo, ma i ragazzi erano propensi ad apprezzare a loro volta le foto che avevano avuto più like, a riprova di quanto l’approvazione, seppur virtuale, ci influenzi.”
Da cosa prende origine questa forma di meccanismo di ricompensa e gratificazione? Intanto da una premessa: da animali sociali e relazionali quali siamo, amiamo essere amati, godiamo nell’essere apprezzati e nell' avere consenso.
A questa naturale dinamica relazionale si aggiunge la dopamina, la cui scoperta di deve nel 1957 a due neuroscienziati svedesi, Nils-Åke Hillarp e Arvid Carlsson, quest’ultimo vincitore nel 2000 del Premio Nobel per la medicina proprio per i suoi studi sul sistema dopaminergico.
Noi apprendiamo dalle nostre esperienze.
Se un’esperienza ci dà piacere tendiamo a replicarla.
Il cervello, intanto, si dà da fare e produce dopamina, una sostanza che, da messaggero chimico, concorre a una serie di funzioni, tra cui i meccanismi di ricompensa e piacere.
Quindi tutto ciò che ci dà piacere - sia esso un apprezzamento, un like, un buon bicchier di vino, una passeggiata tra i boschi, una lettura avvincente -, ci suscita una sensazione di appagamento e di gratificazione, e aumenta i livelli di dopamina. Una volta rilasciata, questa molecola procura una sensazione di piacere e ricompensa, che a sua volta favorisce e induce la ripetizione di quegli specifici comportamenti che ci hanno indotto il piacere originario, creando una sorta di dipendenza e circolo vizioso infinito.
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Noi andiamo alla ricerca di ciò che ci fa piacere e, se lo troviamo, vogliamo ripetere l’esperienza.
Per la stessa ragione, poiché il consenso altrui ci piace, lo rincorriamo.
Da una prospettiva diversa, ma arrivando più o meno alle stesse conclusioni, si è mossa Brené Brown, studiosa della vulnerabilità, stato d’animo proprio di chi rincorre il continuo consenso altrui, esponendosi a uno stato di perenne insoddisfazione e dipendenza dall’altrui approvazione. La Brown indaga il fenomeno soprattutto in relazione alla ricerca del consenso da parte di chi amiamo e stimiamo.
Il punto è che oramai la nostra dipendenza dai social ci fa cercare il consenso e sentire il bisogno di essere apprezzati anche da chi non conosciamo affatto, il tutto aggravato da una forma di dipendenza che ci induce, per effetto dell’azione della dopamina, a ricercare sempre più affannosamente quella stessa sensazione di appagamento. Il circolo vizioso citato sopra che si autoalimenta.
Pensate solo che cosa sta causando il meccanismo dei like quindi, inventato dai giganti del web. Inutile, credo, spiegare in che cosa quei like si traducano per chi monitora e conosce ogni nostra espressione di consenso.
Voi direte: "Che cosa ne sapevano Mark Zuckerberg (Facebook) e Reid Hoffman (LinkedIN), giusto per citare due fondatori tra i social più importanti, di psicologia?". Ne sapevano, perché, insieme ad altro, l’hanno studiata nelle migliori università americane.
Detto ciò, io non amo né i complottismi né deresponsabilizzarmi.
Uso i social, altrimenti non mi leggereste, ma cerco di prevenirne o limitarne i danni. Per cui, anche se non nego che mi piace, me ne faccio una ragione se non a tutti aggrada ciò che scrivo, e di certo non sarà un like in più o in meno a controllare il livello della mia autostima. Avere 54 anni, forse, aiuta ulteriormente.
Conoscere questi meccanismi però mi ha fatto a capire alcune cose anche di me e delle mie reazioni, penso, importanti, ed è per questo che le ho condivise con voi.
Me lo metterete ora un like?:-)
Philip Morris Manufacturing and Technology Bologna.
3 anniHo cliccato il mio "like" per manifestare la mia reazione ad un contenuto social, in questo caso Linkedin dà la possibilità di manifestare con più tipologie la propria reazione spaziando dal classico thumbs up ad emozioni e riconoscimenti intellettuali. Non cito altri social perché da anni me ne son tirato fuori e non ne voglio sapere nulla, ma quel like, nel tempo, si è sviluppato per dire sempre più cose, mostrando sempre reazioni diverse, aumentando anche l'engagement di chi legge e non solo la dipendenza di chi pubblica. Ovviamente lascio notare un piccolo gap che potrebbe essere intenzionale e strumentale da parte di chi gestisce questi social e li sviluppa: tutte le reazioni sono circoscritte in un campo di "positività", di apprezzamento e non esistono reazioni umorali o goliardiche, né tantomeno reazioni "negative" o almeno di dubbio o perplessità. Questa domanda, ovvero "il perché", me la son fatta più volte, ma non avendo tutte queste competenze psicologiche mi è rimasta nelle cose ancora da fare. Qualcuno sa rispondermi?
La cosa positiva è, per esempio, utilizzare questa conoscenza per rendere piacevole la formazione in azienda, e favorire quindi l'apprendimento. Se si diventa dipendenti da questo è un bel vantaggio, no?
Consulente aziendale
3 anniIn futuro più lavoro per gli psicologi e meno per i medici?
Sono sempre molto interessanti i tuoi spunti e il modo in cui li argomenti Alessandra. Effettivamente il tema è complesso, per questo motivo il ruolo che gioca la consapevolezza di sé stessi, del proprio valore, dei pregi e difetti, dei punti di forza e debolezza, credo possa fare più che mai la differenza, per avere quella giusta "serenità" nel vivere questo nuovo modello di socialità che comunque ci circonda.
Senior store Manager/Sales Representative /Fashion advisor/
3 anniNon mi è ancora capitato di non mettere un like ai suoi post. Cosa mi suscitano? Riflessioni e conseguenti sensazioni di arricchimento , di stimolo al pensiero e al confronto. Grazie sempre.