A te la parola #4 -

A te la parola #4 -

Per sette anni ho vissuto una relazione con un ragazzo che mi amava troppo. Può sembrare strano scriverlo, ma è così. O perlomeno, si usa dire così no? Anche quando succede qualche tragedia, si sente spesso: "crimine passionale", "raptus d'amore", "la amava troppo, è impazzito". Ci facciamo quasi l'abitudine.

Il mio ragazzo non era violento, ma le sue insicurezze e la sua dipendenza si sono trasformate in una relazione tossica che, gli ultimi anni, mi avvolgeva come una camicia di forza dalla quale non sapevo come districarmi. Un susseguirsi di abusi emotivi e psicologici. "Non troverai mai qualcuno che ti ami come me/non puoi lasciarmi/non vuoi fare figli? Sei pazza/Se non mi sposi e facciamo figli, ti lascio". Abuso emotivo che a tratti diventava fisico. Perché quando cedi alle sue richieste solo per smettere di litigare, io non lo so quanto sia consensuale quello che accade dopo. 

L'ho lasciato due anni fa. Ad un mese dalla mia laurea. Ho sofferto di depressione per quello che avevo fatto, per i sensi di colpa soffocanti all'idea di avergli rovinato la vita. Dovevo discutere la tesi e non riuscivo ad entrare in una biblioteca senza sentirmi soffocare e uscirne di corsa, in lacrime. 

Sono passati due anni o poco più. E io sono una persona sicuramente non perfetta, ancora fragile, ancora con qualche senso di colpa che torna come un fantasma a fare capolino la notte. Ma sono una persona di successo: mi sono laureata con lode, ho iniziato un dottorato, amo il mio lavoro e sono brava in quello che faccio. Mi voglio bene, sopra ogni altra cosa. So quanto valgo. Nessun miracolo, nessuna formula magica. Ho avuto la fortuna di conoscere un ragazzo che mi ha insegnato che si può amare in modo diverso. Ho amici e una famiglia che mi hanno sostenuta quando pensavo fosse troppo pesante il peso di portare. 

Ma soprattutto, ho chiesto aiuto. Mi sono rivolta ad una psicoterapeuta che da allora mi sopporta e supporta. Ho iniziato a leggere blog e forum di persone che hanno sofferto come me. Ho studiato. É da poco che ho potuto dare un nome a ciò che subivo e provavo in quella relazione. Parlarne è la chiave. Avere consapevolezza è la chiave. Troppo spesso si pensa che la sofferenza sia un macigno da portare in solitudine, di nascosto da tutti. Non è così.

A te la parola è un progetto di condivisione nato su facebook che porto avanti sulla pagina In direzione ostinata e curiosa.

#0 - Introduzione

#1- «Come è iniziato?»

#2 - La bestia è sempre là ma

- #3 - La tua foto sul comodino

#4 - Non è così

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