Tra conflitti e inclusione, quale Governance per la Sharing Economy?

Tra conflitti e inclusione, quale Governance per la Sharing Economy?

Articolo pubblicato su Competere.eu

Rivoluzione digitale e sharing economy: come gestire questi fenomeni?

Come abbiamo visto le rapide innovazioni tecnologiche e l’aumento della connettività hanno prodotto uno sviluppo in moltissime direzioni di nuove imprese e attività economiche che spesso sono tracimate in settori più tradizionali, ridefinendole.

Tutto questo ripropone la necessità di affrontare le modalità in cui il cambiamento avviene all’interno non solo del mercato ma anche nella società. Si ripresenta il conflitto tra gli interessi di chi intende, legittimamente, innovare, offrendo nuovo valore ai consumatori e nuove vie allo scambio di beni e servizi e gli interessi di chi vive e ha vissuto di un assetto, giustificato a volte dall’intervento delle autorità politiche, e non è ben disposto a perdere la posizione acquisita o ereditata incurante di quello che sia il valore apportato, o tolto, alla comunità.

Gli interessi e le problematiche prodotte dalla sharing economy

Oggi vediamo grandi trasformazioni nella organizzazione di diversi settori quali mobilità, del turismo, del lavoro facilitati dalla leva tecnologica.

Nel settore della mobilità, per esempio, grandi e piccole iniziative imprenditoriali, offrono nuovi servizi che hanno la capacità di competere con chi opera in un settore che è rimasto uguale a se stesso per decenni. L’introduzione della connettività mobile e la disponibilità di informazioni istantanee circa la domanda e l’offerta di mezzi di trasporto offrono l’opportunità di servire una domanda di trasporto crescente e, al contempo, utilizzare le risorse già esistenti in modo più efficiente. L’esempio della piattaforma Bla Bla Car che ha creato un nuovo mercato, contribuendo all’utilizzo dei posti disponibili su di un’automobile privata altrimenti destinata a rimanere vuoti, è indicativo. E riesce a farlo proponendosi con gli strumenti della comunicazione social ad un gran numero di utilizzatori, sia proprietari di auto che potenziali passeggeri enfatizzando la possibilità di fare nuove conoscenze mentre si risparmia sui costi di viaggio. In questo caso, questa modalità di  car-pooling su medie e lunghe distanze ha coperto un mercato che era fin li scoperto proprio a causa della carenza di informazioni. La tecnologia ha coperto questa carenza creando una situazione win-win dove vincono tutti compreso l’ambiente.

In altri casi, come con Uber o Lyft, per esempio, un servizio in diretta concorrenza con i servizi tradizionalmente affidati ai taxi ha generato un conflitto diretto con i taxisti e posto in imbarazzo le autorità politiche di molti paesi prese tra, da una parte, un settore regolato decenni fa e che non sembra in grado di offrire servizi concorrenziali e, dall’altra,  questi nuovi servizi molto apprezzati dagli utenti. L’imbarazzo dei decisori poltici  sale quando si pensa che le licenze concesse ai taxisti hanno un grande valore economico e, a volte, consistono nei risparmi degli stessi taxisti. Le modalità in cui il sistema di trasporto pubblico individuale evolverà è ancora da vedere: saranno in grado i taxi di migliorare la propria offerta? Le nuove imprese come Uber riusciranno a rompere le stringenti barriere regolamentari che ne impediscono il pieno sviluppo o dovranno adattarsi? Le autorità politiche saranno in grado di gestire politicamente  il passaggio verso nuovi modelli di mobilità?

Nel settore dell’accoglienza turistica, la possibilità di proporre in affitto per brevi periodi di tempo appartamenti di propria proprietà o alcuni locali del luogo dove si vive, sono diventati una nuova fonte di reddito per molti che, pur proprietari di case, sono stati colpiti dalla crisi economica e per far rendere degli asset altrimenti poco utilizzati.

Sebbene in modo meno rumoroso, gli albergatori di professione hanno cominciato a storcere il naso davanti ad un fenomeno che ha cominciato ad erodere le posizioni di categoria. Inoltre, sentono di subire una concorrenza sleale dovuta allo scarso controllo che tale fenomeno ha subito da parte delle autorità, in particolare quelle fiscali. In questo caso è, forse, la scarsa  e frammentaria regolazione del fenomeno, che impedisce un pieno sviluppo di questo mercato per la poca chiarezza e incertezza che genera. La Regione Lombardia, per esempio, nella nuova legge sul turismo recentemente approvata, ha cominciato a prendere in considerazione questo fenomeno in forte crescita. 

Nel settore dell'educazione superiore e formazione lo sviluppo dei MOOC o Massive Open Online Courses  stanno cambiando completamente l’approccio alla formazione. Si tratta della proposta di corsi gratuiti offerti tramite piattaforme, come Coursera o EdX, dai più importanti atenei del mondo, da Harvard a Yale, fino alla Bocconi aperti a tutti quelli che desiderano seguire il corso scelto,  inserendosi come strumento di approfondimento non solo per studenti universitari ma anche  di aggiornamento per lavoratori e professionisti in carriera. I corsi, per lo più insegnati in inglese, si tengono su una molteplicità di materie e possono anche concentrarsi su argomenti specifici mantenendo qualità piuttosto alta. Alcuni corsi possono prevedere test scritti che poi, secondo una procedura peer to peer, sono valutati dagli studenti stessi secondo i criteri dati dal docente. Le università di tutto il mondo hanno cominciato ad investire molte risorse in questo settore perché servono a promuovere l’istituzione a livello globale, cominciando a creare un rapporto con potenziali studenti desiderosi di formarsi in una certa materia che potrebbero decidere, successivamente, di accedere a dei corsi in carne e ossa.

Il fatto che la conoscenza accademica possa essere condivisa a costo zero in tutti i paesi del mondo, o quasi, è dovuta alla fortissima richiesta di formazione che c’è a livello globale, specialmente dal Medio Oriente, dall’Asia e dall’Africa. Del resto più informazioni si ha a disposizione più si vuole disporre degli strumenti intellettuali per interpretare questa massa crescente di dati.

Nel mondo del lavoro invece gli effetti della crisi economica cercano di essere superati con piattaforme che intendono far incontrare chi offre lavoro con chi cerca lavoro. Non si tratta però di semplici bacheche online ma di un vero e proprio uno spazio di lavoro. Anziché offrire un lavoro a tempo determinato o indeterminato le nuove piattaforme pubblicizzano le richieste e offerte per lavori spot. I free-lancer sono chiamati a una forte specializzazione. Data la forte concorrenza la reputazione di competenza e professionalità diventano qualità assai apprezzate. Non solo le aziende sono alla ricerca di chi porta a compimento un progetto o una task ma anche professionisti e  free-lance stanno scoprendo le potenzialità di piattaforme come Upwork. Infatti il lavoro di un professionista può essere devoluto ad altri professionisti ingaggiati per realizzare un determinato lavoro ad un prezzo negoziato di volta in volta. Il lavoro diventa sempre di più un lavoro di coordinamento di lavoratori specializzati.

In tale campo,  si apre uno scontro tra chi vede nel lavoro precario un male perché carente senza tutele e chi invece ci vede una grande opportunità di creare delle proprie attività utilizzando il potere della leva tecnologica e comunicare e offrire le proprie capacità ad un pubblico di milioni di potenziali datori di lavoro.

La storia del rapporto tra innovazione e istituzioni: l’esempio della Gran Bretagna.

I conflitti tra diversi portatori d’interesse sono sempre esistiti. Ma la crescita della ricchezza e lo sviluppo economico, sociale e politico è qualcosa di  relativamente nuovo. Ecco perché, forse, vale la pena ricordare esempi del passato per comprendere punti di convergenza e differenze.

La Gran Bretagna ha trovato la via ad uno sviluppo mai visto prima alla fine del diciasettessimo secolo. Infatti, tra varie vicissitudini della Storia, la Glorious Revolution del 1688 apre il Regno a quelle riforme politiche sociali e legali che saranno il terreno fertile per lo sviluppo della Rivoluzione Industriale un secolo più tardi.

Come ben spiegato da Daron Acemoglu e James Robinson in “Perchè le nazioni falliscono” questa trasformazione in Gran Bretagna era rappresentata da una nuova classe sociale di borghesi che esprimevano dei nuovi valori ed interessi contrapponendosi a quella dell’aristocrazia tradizionale e dei grandi proprietari terrieri. Lo scontro tra queste classi si concentrava su questioni assai pratiche come, la regolamentazione della proprietà privata, o per esempio l’esistenza di regolamentazioni protezionistiche che impedivano lo sviluppo generato dalla rivoluzione tecnica e che diventavano lo spartiacque tra le parti.

Va notato come questo scontro sia andato in scena nella più antica democrazia parlamentare e di come le sue istituzioni, prima di tutte, il Parlamento e le Corti di Common Law siano stati in grado di facilitare non solo il cambiamento economico ma di accompagnare quello stravolgimento sociale che fu la rivoluzione industriale in Gran Bretagna nel corso del diciannovesimo secolo.

Innovazione, istituzioni e legittimità: un incrocio inevitabile.

La domanda che ci dobbiamo porre, allora,  è se i nuovi modelli economici che si prospettano nei prossimi decenni saranno anch’essi accompagnati da una nuova legittimità dei regimi e delle istituzioni che governeranno questa transizione economica, sociale e politica.

Il quadro finora presentato spiega perché la sharing economy sia importante non solo per comprendere come verranno usate le nuove tecnologie ma anche per capire come verrà influenzata la società, la politica e le istituzioni.

Essa riesce ad estendere le innovazioni tecnologiche in settori dell’economia non ancora toccati da aumenti della produttività e che, anzi, molto spesso sono al riparo da innovazioni organizzative e di processo da decenni.

Convergenze d’interessi: tra idealismo e pragmatismo.

A differenza di esperienze del passato, ciò che caratterizza questo periodo storico è che può esistere frequentemente una convergenza di posizioni d’interesse in capo agli stessi soggetti. Per esempio, un professionista potrebbe sia offrire i propri servizi che domandare servizi ad altri professionisti nel stesso progetto in cui sta lavorando; oppure il proprietari di un auto o di un appartamento potrebbero sia cercare di condividere le loro proprietà sia trovare conveniente fare la stessa cosa con chi è disposto a condividere la propria proprietà quando viaggiano in un'altra città o paese.  

La fine della società divisa per classi, ognuna con un sua identità legata alle proprie attività produttive, professionali o di rendita, apre ad un mondo in cui domina la mobilità  non solo del lavoro ma dell’utilizzo delle risorse. La crisi economica ha facilitato questo processo che in alcuni casi era stato limitato da nozioni culturali.

Forse, non è ancora possibile intuire come possa evolvere il discorso sulla natura della sharing economy.

La natura di condivisione dello scambio, per alcuni, deve aprire ad una modalità di scambio che sia legittima in sé, secondo dei principi di eguaglianza tra le parti dello scambio, in qualche modo intrinsecamente etici senza richiedere l’intervento di nessuna istituzione o governo esterno a convalidarli. Si tratta della speranza dei cultori di internet, e non solo, di realizzare una rete globale e locale di scambi tra pari, in grado di superare gli interessi di organizzazioni più complesse, grazie a costi di transazione molto bassi, e proporre un nuovo modello alternativo al consumismo.

Abbiamo poi una visione di quei settori più avanzati delle grandi corporations, dei settori finanziario e bancario e delle organizzazioni statuali che, più pragmaticamente, congiunge la ricerca di sempre maggiore efficienza nell’uso delle risorse alla ricerca di nuovi mercati da sviluppare per investire in modo profittevole le risorse finanziare accumulate secondo una culturale imprenditoriale. Questa parte si appella ai cittadini consumatori legittimando la propria posizione con la creazione di nuovi prodotti sempre più avanzati e al contempo convenienti per le molteplici applicazioni che offrono, prospettando anche una mobilità sociale più dinamica e meritocratica.

L’effetto di rete e la governance del fenomeno: l’esclusione riduce l’efficacia.

Abbiamo quindi nella sharing economy una crescente rete di attori che non è facile categorizzare perché al tempo stesso consumatori e fornitori di servizi, che creano nuove imprese in cui però spiccano colossi finanziari e industriali molto influenti e imprenditori, più o meno idealisti, che offrono piattaforme in grado di generare alti numeri di contatti.

A caratterizzare questa rete si aggiunga il ruolo di chi è al contempo parte della sharing economy che dell’economia tradizionale.

Le istituzioni democratiche  sono in grado di evolversi abbastanza velocemente per supportare i prossimi passi della transizione e incentivare lo sviluppo economico? Oppure saranno trovate altre vie che cercano una via diretta di legittimazione del sistema economico?

Una prima osservazione e, forse, un punto da cui partire, è che una governance efficace  di questa rete di attori risiede nella comune consapevolezza che nessuna parte può’ essere esclusa senza ridurre al contempo la rilevanza della rete stessa.




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