Una risposta alternativa alla necessità di aggregazione tra avvocati: il modello anglosassone di studio legale fee-sharing

Il dibattito

In occasione delle attività congressuali di AIGA Nazionale a Bari, ho seguito un'interessante tavola rotonda dal titolo "Da solisti a orchestre di professionisti: il futuro dell’avvocatura passa per le aggregazioni", con interventi di @Devis Dori, Antonino La Lumia , Giovanni Lega , Alessandro Renna , Marta Schifone , Antonio Felice Uricchio , moderati da Simona D'Alessio .

Ero talmente attratto dal tema, dal contesto in cui se ne parlava e, ancor più, dalla qualità dei relatori, che ho raggiunto il Teatro Piccinni direttamente al mio ritorno da Londra e prima di rientrare in famiglia a Taranto, peraltro con atterraggio a Brindisi (tutto molto facile in poco tempo, grazie agli ottimi i collegamenti ferroviari, purtroppo molto spesso sottovalutati proprio da noi pugliesi! ndr).

Cornice, organizzazione e accoglienza impeccabili, ma all'ingresso mi sento come un salmone che risale il torrente: un flusso di centinaia di colleghe e colleghi che dal foyer si riversano per strada, come se fosse appena terminato un evento importante. Penso: forse rientreranno dopo una pausa chiacchiera&sigaretta; nel frattempo sul palco era ancora in corso un (interessantissimo) dialogo tra i presidenti di CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA E ASSISTENZA FORENSE Valter Militi e di AIGA Nazionale Francesco Paolo Perchinunno .

Inizia la tavola rotonda ma, nonostante un dato che emerge sin dalle prime battute, ovvero che il 90% del fatturato dei servizi legali in Italia è appannaggio degli studi strutturati in forma aggregata, le presenze in platea sono inspiegabilmente molto esigue. Tra il pubblico siamo meno di una decina a rispondere su chi rappresenta uno studio associato o una STA. Si percepisce da subito che il tema interessa pochi intimi, segno che le statistiche economico-finanziarie e i trend di mercato lambiscono marginalmente la vita professionale dell'avvocato.

Il dibattito spazia dalle differenze tra le varie forme aggregative (associazione, STA, STP, cooperativa) agli strumenti di incentivazione fiscale, dalle iniziative del legislatore sul ruolo costituzionale dell'avvocato e in materia di equo compenso alla necessità di promuovere gli skills imprenditoriali del libero professionista già nel corso degli studi universitari.

Al termine dell'incontro, rimane appena il tempo di tratteggiare il vero nodo del gap culturale dell'avvocatura: la difficoltà di affinare una mentalità manageriale e imprenditoriale che consenta al professionista legale di organizzarsi, posizionarsi e agire secondo le logiche proprie dell'impresa di servizi, così come è richiesto dai cambiamenti che hanno caratterizzato il mercato negli ultimi decenni.

Lo scenario

I modelli di studio legale in Italia sono riconducibili a due forme tradizionali di esercizio della professione: quella associata e quella individuale.

La prima vede strutture organizzate secondo il classico schema piramidale dei soci fondatori (al vertice) e (via via) degli altri professionisti, che contribuiscono apportando la loro opera intellettuale dietro il pagamento di compensi in misura predeterminata e continuativa (tipicamente su base mensile, in molti casi con conguagli, premi e benefit a fine esercizio a seconda del raggiungimento di obiettivi di budget). Escluderei, quindi, tutte le altre forme associative che, in pratica, funzionano un pò come dei condomini in cui i diversi professionisti condividono solo le spese e non i proventi.

A fronte di una marcata proattività e delle numerose e qualificate competenze a disposizione, tali da intercettare e gestire i deal di maggiore valore e complessità disponibili sul mercato (coprendo, si è detto, il 90% del volume d'affari del settore legale in Italia), di fatto, ad eccezione dei fondatori (molto spesso name partners) e degli equity partners, i professionisti che fanno parte di queste strutture hanno ben poche opportunità di potersi considerare "liberi". Generalmente non hanno portability di clientela, sono sottoposti a direttive e condizioni stabilite dall'alto, lasciano alla firm non meno del 70% del fatturato generato singolarmente.

La seconda tipologia è quella di gran lunga più diffusa, ovvero quella adottata da tantissime realtà "monotitolari", non di rado caratterizzate dal requisito della struttura familiare.

In questi casi, ovviamente, il professionista titolare gode di una piena libertà e flessibilità a discapito, però, delle difficoltà di posizionamento sul mercato e della possibilità di acquisire e gestire clientela di alta fascia e pratiche di particolare complessità.

L'alternativa

In Italia ancora pochi sanno che esiste un tertium genus tra le due tipologie tradizionali di studio legale.

Arriva da oltremanica un nuovo modello di aggregazione tra avvocati, che sta letteralmente trasformando il mercato dei servizi legali e coinvolgendo ormai un terzo della popolazione professionale.

Si chiama "fee-sharing" o "fee-share" ed è ispirato a tre fondamentali elementi di novità: (i) lo studio è costituito da un’infrastruttura “dematerializzata”, ma organizzata, gestita e funzionante secondo i criteri propri di un'impresa; (ii) ogni avvocato opera come consulente della firm in quanto non ne è dipendente, ma libero di gestire la sua relazione (tempi, metodi e remunerazioni) direttamente col cliente; (iii) non ci sono gerarchie e differenze né obiettivi di fatturato e carriera, ma una forte ispirazione ai principi di condivisione valoriale e di mutualità tra gli aderenti.

Analizziamo singolarmente ciascuno di questi aspetti.

L'infrastruttura è rappresentata: (i) sotto il profilo gestionale, da una piattaforma ad alto contenuto tecnologico che governa (in cloud e con l'ovvia assistenza del personale di back office) tutti i flussi documentali, contabili e finanziari di ogni pratica e di ogni professionista in modalità centralizzata e coordinata; (ii) sotto il profilo fisico, da una logistica di spazi di lavoro e luoghi di networking fruibile attraverso catene di co-working e serviced offices oramai presenti in ogni città del globo; (iii) sotto il profilo manageriale, da un unico team di lavoro che ricopre tutte le funzioni aziendali, dalla finanza al marketing, dalle risorse umane alla formazione.

Gli avvocati che aderiscono al modello svolgono la propria attività in piena autonomia e senza alcuna ingerenza dello studio: (i) sviluppando e mantenendo la relazione con il cliente, (ii) stabilendo l'ammontare dei propri compensi, (iii) dedicando il tempo necessario allo svolgimento dell'incarico e (iv) individuando le collaborazioni e condividendo il lavoro in squadra sia all'interno che all'esterno dell'organizzazione.

L'organizzazione è orizzontale in quanto, indipendentemente dal volume dei ricavi singolarmente generato: (i) ciascun professionista mantiene il proprio status di seniority, (ii) senza che lo studio imponga alcun obiettivo di risultato o rendimento, laddove, invece, (iii) tutti concorrono equamente (in percentuali decrescenti rispetto all'aumento del singolo fatturato) al pagamento del corrispettivo per i servizi ricevuti dalla piattaforma.

Come intuibile, la particolarità di questo modello di studio legale è che coniuga le caratteristiche e prerogative dell'organizzazione in forma associata, con le esigenze di flessibilità, libertà e indipendenza del singolo professionista.

Inoltre, alla forma di condivisione paritetica dei propri ricavi (detta, appunto, "fee-sharing") in favore dello studio, corrisponde un'altrettanta condivisa modalità di sviluppo delle relazioni tra i suoi membri, basata su valori di fiducia, stima, cooperazione e solidarietà. Ciò che inevitabilmente si traduce nella forte inclinazione al cross-selling e nell'aumento delle occasioni di lavoro di squadra.

L'estrema flessibilità di tale modello, ideale soprattutto per chi predilige il lavoro in modalità smart (ovvero da casa o presso il cliente, l'azienda) rappresenterà sempre più un'occasione di sviluppo delle aggregazioni tra professionisti (non solo legali) anche in Italia, un mercato caratterizzato da tante eccellenze che purtroppo fanno ancora tanta fatica a fare rete, soprattutto per barriere di carattere logistico-territoriali oggi facilmente superabili grazie alla tecnologia e alle guidelines in tema di sostenibilità e conformità ai fattori ESG, che stanno sempre più caratterizzando il modo di fare impresa e consulenza.

Mi batto da anni per forme anche innovative di aggregazione, ma mi pare di predicare nel deserto. Vedo Colleghi sfiduciati e demotivati, che invece di "industriarsi" e trovare nuove strade, si lagnano dicendo che oramai la professione è morta. Assisto ad un fenomeno paragonabile a quello delle "dimissioni silenziose" del lavoro dipendente. Ecco il problema: la sfiducia! E non sanno che si può e si deve osare.

Riccardo Valle

Avvocato, socio equity @freebly, prima società benefit tra avvocati in Italia | settori regolati (energia, ambiente e farmaceutico)

1 anno

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