Vittimismo moderno e fragilità

Su catcalling, ghosting, gaslighting, gender identity, cancel culture e tutte queste moderne "battaglie sociali" che a mio parere non fanno altro che distogliere l'attenzione dai veri problemi, semplicemente per giustificare la crescente debolezza ed incapacità di alcuni soggetti di affrontare delle spiacevoli situazioni, e che trovano più semplice, invece, farsi "vittimizzare" da queste situazioni stesse, ho trovato illuminante l'intervento della Dott.ssa Stefania Andreoli su Catteland di mercoledì

CATTELAN: Come mai abbiamo questa necessità di racchiuderci dentro un dramma sempre? Perchè non riusciamo a girare le spalle e dire "vabbè, ciao, tu dalla tua, io dalla mia"?

DOTT.SSA ANDREOLI: Non sono sicura che sia questa la vera domanda...Un'altra cosa che stiamo facendo, che va a braccetto con quello che dici tu, è che stiamo trovando nomi e definizioni a qualunque cosa, come se l'avessimo appena inventata. In realtà c'è sempre stata, ma il fatto di nominarla le conferisce come una dignità e una verità che rischia di amplificare e dare molta più enfasi di quanto non sarebbe successo in passato. Come dici tu, poi diventa un cancelletto, ci si contagia a vicenda, facendo riverbero, dicendo "è successo anche a me".

CATTELAN: No, e soprattutto sono cose che comunque ragazzi son successe a tutti, cioè non siete più speciali degli altri, non siete più vittime degli altri. Sono successe a tutti, però prima si chiamava "vita".

...

CATTELAN: Arriveremo mai a un mondo in cui nessuno soffrirà?

DOTT.SSA ANDREOLI: ...È uscito ultimamente il libro di un filosofo tedesco, di origini coreane, che parlave proprio di questo, di come in realtà siamo completamente disabituati al dolore, ne abbiamo paurissima, perchè in questo momento siamo polarizzati: o siamo delle "drama queen" o ci teniamo lontanissimi da qualunque esperienza che possa essere vagamente frustrante, perchè viviamo più che mai nella società dell'edonismo, del piacere e del "tutto e subito". Non sappiamo più stare in tutte le sfumature del mezzo che sono davvero la "vita". Cioè, che ti capitano delle cose, anche molto dolorose a volte, ma che per passare le quali vadano necessariamente attraversate. Io non augurerei mai alle mie figlie di non soffrire..., perchè altrimenti sarebbe davvero una vita vissuta anestetizzati, diventeremmo tutti pazzi!

...Si tratta, in effetti, di mettere una linea Maginot che distingua entro la quale e oltre la quale siamo ancora nella normalità e nella fisiologia delle cose che sono sempre capitate e sempre capiteranno e invece dei modi nuovi per farci male o per fare male.

...

CATTELAN: Può essere anche perchè visto che è anche un po' nella natura delle persone farsi del male, meno mezzi ho a disposizione, più mi devo ingegniare per fartelo in un altro modo. Perchè comunque le persone hanno anche bisogno di fare del male agli altri...

DOTT.SSA ANDREOLI: A me piace molto questo concetto, perchè noi ci stiamo dimenticando, un po' arroganti pensando di avere chissà quale cultura nelle nostre tasche, in realtà non siamo granchè, soprattutto in questo momento, che siamo animali, in realtà. E l'aggressività e un bisogno, il bisogno di farci la guerra e di provocare dolore è abbastanza strutturale. Dopodichè, in tanti soffrono all'idea di provocare del dolore, però paradossalmente (esempio di un ragazzo che ha lasciato una ragazza ed era preoccupato delle conseguenze, ndr.) è come se lui pensasse che avrebbe fatto meno dolore se fosse riuscito a stare con la ragazza con cui non voleva stare.

...

CATTELAN: Ma infatti quando mi dicono "però tu hai due figlie"...è quello il punto, cioè, io non gli voglio per ora vendere quella falsa promessa di un mondo in cui saranno rispettate da tutti, perchè non succederà, non succederà mai che tutti ti rispetteranno, tutti avranno come priorità non farti soffrire. Sto provando, non so come, a insegnarle ad essere preparate alla sofferenza...

...

DOTT.SSA ANDREOLI: La cosa che hai detto sulle tue figlie, me ne ha fatta venire in mente un'altra...Io per esempio, una cosa che ho sempre fatto con le mie figlie fin da piccole era che se andavamo al parco non mi mantenevo sempre a portata di vista. Cioè, io non mancavo mai di sapere dove loro si trovassero, ma non viceversa, perchè osservavo da lontano la reazione che avevano e i modi che trovavano nel momento in cui si accorgevano di non sapere più precisamente dove io fossi. E dentro a quell'esperienza lì scoprivano, intanto di poter stare a contatto col loro pancino quando era in subbuglio e poi la possibilità di trovare degli stratagemmi per uscire da una situazione di stallo, vivendo quello che è forse il sentimento più bello in assoluto, che è il sollievo. E il sollievo lo provi solo se prima hai sofferto.

Un paio di cose da aggiungere.

Intanto che ovviamente la discussione era focalizzata sul femminile, essendo che entrambi hanno figlie femmine, ma ritengo che i punti salienti siano assolutamente applicabili a qualunque genere.

Ovviamente, nessuno tocca o mette in dubbio i grandi problemi sociali (femminismo, razzismo, disuguaglianza, violenza...) che ci affliggono e che devono assolutamente essere affrontati e ci mancherebbe.

Ma in sostanza, se nell'affrontare queste grandi guerre, creiamo ad hoc delle battaglie per ogni piccola cosa che ci crea fastidio e ci offende, non facciamo altro che indebolire noi stessi e la stessa causa che vorremmo perorare.

Cercare di risolvere costantemente qualsiasi cosa ci possa dare fastidio è una lotta contro i mulini a vento, stile Don Chisciotte, perchè non siamo tutti uguali e quello che da fastidio a me, magari non lo da a te e viceversa. Invece di azzannarci su temi minori (e francamente a tratti pure puerili) dovremmo imparare ad ascoltare anche chi non la vede come noi e accettare il fatto che la nostra visione non sia per forza quella corretta, solo perchè avvalorata dai gruppi di cui facciamo parte (vedi polarizzazione o confirmation bias).

La soluzione, come anche menzionato dal grande Ale Cattelan a la sempre illuminante Dott.ssa Andreoli, va cercata nell'imparare a riconoscere e soprattutto ad affrontare o per lo meno ignorare certe situazione spiacevoli (non si parla ovviamente di violenze ne fisiche, ne psicologiche), senza per questo fare per forza del vittimismo. Un insulto, una gesto maleducato, un'esperienza negativa ci può segnare nella psiche nella stessa misura in cui gli attribuiamo un peso specifico. Se impariamo a soffrire e a gestire situazione negative, senza darne un peso eccessivo, non saremo poi così fragili dal dover cercare per forza etichette, nomi, drammi solo per giustificare e dare un nome al dolore che sentiamo e che non riusciamo a capire.

CATTELAN: Come mai abbiamo questa necessità di racchiuderci dentro un dramma sempre? Perchè non riusciamo a girare le spalle e dire "vabbè, ciao, tu dalla tua, io dalla mia"?

DOTT.SSA ANDREOLI: Non sono sicura che sia questa la vera domanda...Un'altra cosa che stiamo facendo, che va a braccetto con quello che dici tu, è che stiamo trovando nomi e definizioni a qualunque cosa, come se l'avessimo appena inventata. In realtà c'è sempre stata, ma il fatto di nominarla le conferisce come una dignità e una verità che rischia di amplificare e dare molta più enfasi di quanto non sarebbe successo in passato. Come dici tu, poi diventa un cancelletto, ci si contagia a vicenda, facendo riverbero, dicendo "è successo anche a me".

CATTELAN: No, e soprattutto sono cose che comunque ragazzi son successe a tutti, cioè non siete più speciali degli altri, non siete più vittime degli altri. Sono successe a tutti, però prima si chiamava "vita".

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CATTELAN: Arriveremo mai a un mondo in cui nessuno soffrirà?

DOTT.SSA ANDREOLI: ...È uscito ultimamente il libro di un filosofo tedesco, di origini coreane, che parlave proprio di questo, di come in realtà siamo completamente disabituati al dolore, ne abbiamo paurissima, perchè in questo momento siamo polarizzati: o siamo delle "drama queen" o ci teniamo lontanissimi da qualunque esperienza che possa essere vagamente frustrante, perchè viviamo più che mai nella società dell'edonismo, del piacere e del "tutto e subito". Non sappiamo più stare in tutte le sfumature del mezzo che sono davvero la "vita". Cioè, che ti capitano delle cose, anche molto dolorose a volte, ma che per passare le quali vadano necessariamente attraversate. Io non augurerei mai alle mie figlie di non soffrire..., perchè altrimenti sarebbe davvero una vita vissuta anestetizzati, diventeremmo tutti pazzi!

...Si tratta, in effetti, di mettere una linea Maginot che distingua entro la quale e oltre la quale siamo ancora nella normalità e nella fisiologia delle cose che sono sempre capitate e sempre capiteranno e invece dei modi nuovi per farci male o per fare male.

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CATTELAN: Può essere anche perchè visto che è anche un po' nella natura delle persone farsi del male, meno mezzi ho a disposizione, più mi devo ingegniare per fartelo in un altro modo. Perchè comunque le persone hanno anche bisogno di fare del male agli altri...

DOTT.SSA ANDREOLI: A me piace molto questo concetto, perchè noi ci stiamo dimenticando, un po' arroganti pensando di avere chissà quale cultura nelle nostre tasche, in realtà non siamo granchè, soprattutto in questo momento, che siamo animali, in realtà. E l'aggressività e un bisogno, il bisogno di farci la guerra e di provocare dolore è abbastanza strutturale. Dopodichè, in tanti soffrono all'idea di provocare del dolore, però paradossalmente (esempio di un ragazzo che ha lasciato una ragazza ed era preoccupato delle conseguenze, ndr.) è come se lui pensasse che avrebbe fatto meno dolore se fosse riuscito a stare con la ragazza con cui non voleva stare.

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CATTELAN: Ma infatti quando mi dicono "però tu hai due figlie"...è quello il punto, cioè, io non gli voglio per ora vendere quella falsa promessa di un mondo in cui saranno rispettate da tutti, perchè non succederà, non succederà mai che tutti ti rispetteranno, tutti avranno come priorità non farti soffrire. Sto provando, non so come, a insegnarle ad essere preparate alla sofferenza...

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DOTT.SSA ANDREOLI: La cosa che hai detto sulle tue figlie, me ne ha fatta venire in mente un'altra...Io per esempio, una cosa che ho sempre fatto con le mie figlie fin da piccole era che se andavamo al parco non mi mantenevo sempre a portata di vista. Cioè, io non mancavo mai di sapere dove loro si trovassero, ma non viceversa, perchè osservavo da lontano la reazione che avevano e i modi che trovavano nel momento in cui si accorgevano di non sapere più precisamente dove io fossi. E dentro a quell'esperienza lì scoprivano, intanto di poter stare a contatto col loro pancino quando era in subbuglio e poi la possibilità di trovare degli stratagemmi per uscire da una situazione di stallo, vivendo quello che è forse il sentimento più bello in assoluto, che è il sollievo. E il sollievo lo provi solo se prima hai sofferto.

Un paio di cose da aggiungere.

Intanto che ovviamente la discussione era focalizzata sul femminile, essendo che entrambi hanno figlie femmine, ma ritengo che i punti salienti siano assolutamente applicabili a qualunque genere.

Ovviamente, nessuno tocca o mette in dubbio i grandi problemi sociali (femminismo, razzismo, disuguaglianza, violenza...) che ci affliggono e che devono assolutamente essere affrontati e ci mancherebbe.

Ma in sostanza, se nell'affrontare queste grandi guerre, creiamo ad hoc delle battaglie per ogni piccola cosa che ci crea fastidio e ci offende, non facciamo altro che indebolire noi stessi e la stessa causa che vorremmo perorare.

Cercare di risolvere costantemente qualsiasi cosa ci possa dare fastidio è una lotta contro i mulini a vento, stile Don Chisciotte, perchè non siamo tutti uguali e quello che da fastidio a me, magari non lo da a te e viceversa. Invece di azzannarci su temi minori (e francamente a tratti pure puerili) dovremmo imparare ad ascoltare anche chi non la vede come noi e accettare il fatto che la nostra visione non sia per forza quella corretta, solo perchè avvalorata dai gruppi di cui facciamo parte (vedi polarizzazione o confirmation bias).

La soluzione, come anche menzionato dal grande Ale Cattelan a la sempre illuminante Dott.ssa Andreoli, va cercata nell'imparare a riconoscere e soprattutto ad affrontare o per lo meno ignorare certe situazione spiacevoli (non si parla ovviamente di violenze ne fisiche, ne psicologiche), senza per questo fare per forza del vittimismo. Un insulto, una gesto maleducato, un'esperienza negativa ci può segnare nella psiche nella stessa misura in cui gli attribuiamo un peso specifico. Se impariamo a soffrire e a gestire situazione negative, senza darne un peso eccessivo, non saremo poi così fragili dal dover cercare per forza etichette, nomi, drammi solo per giustificare e dare un nome al dolore che sentiamo e che non riusciamo a capire.

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