"We'll meet again."​ L'arte degli speech ai tempi della Regina Elisabetta.

"We'll meet again." L'arte degli speech ai tempi della Regina Elisabetta.

Cosa rende un discorso iconico? A mio avviso la capacità di risultare potente ed empatico allo stesso tempo. Ma soprattutto capace di far risuonare in alcuni spettatori degli echi di memoria distante, come un' epifania, in altri la sensazione di trovarsi veramente al centro della storia. E viverla.

Quando due sere fa ho ascoltato il discorso della Regina Elisabetta ho provato, oltre a una profonda commozione per la solennità delle sue parole, cesellate con una cura inavvicinabile dalla maggioranza dei politici (nostrani e non), anche un brivido fortissimo scandito da quel "We'll meet again". Un finale fin troppo semplice, nella sua potenza, per essere così casuale. Impossibile che non celasse un messaggio comunicativo ben più complesso.

La frase infatti è un preciso riferimento a una canzone resa nota dalla Dama Vera Lynn risalente al 1939, scritta da Ross Parker e Hughie Charles, considerato uno degli inni simbolo degli anni della Seconda Guerra Mondiale. È uno dei brani più noti di quel periodo, forte di un testo che invita alla speranza malgrado "l'ora più buia" che si sta vivendo: “We'll meet again, Don't know where, Don't know when, But I know we'll meet again some sunny day”. Una canzone dedicata ai tanti soldati che partivano per il fronte e le rispettive famiglie e compagne che restavano in attesa del loro ritorno.

Cosa rende quindi un discorso iconico per tornare al punto iniziale? Probabilmente la capacità di poterlo riassumere in poche e semplici parole capaci di scuotere gli spettatori. La storia e la politica sono dense di momenti di questo tipo, dove una sola frase è stata capace di assurgere a simbolo di un periodo, di un movimento o di un episodio. Ancora oggi basta una semplice frase per ricordare il frangente storico in cui questa è stata pronunciata. Chiaro, quest'ultimo discorso della Regina non può considerarsi, quantomeno ora nel presente, uno spartiacque della storia come lo sono stati, ad esempio, quelli del suo connazionale Winston Churchill con il suo "Victory, however long and hard the road may be" o "We shall fight on the beaches", ma resta immutato il senso più profondo di simili discorsi. Riunire un popolo, farti sentire parte di un momento condiviso da tutta la comunità, più semplicemente non farti sentire solo. È il grande potere delle parole e della comunicazione.

Ascoltando quel "We'll meet again" immagino gli anziani inglesi che la Seconda Guerra Mondiale l'hanno vissuta e toccata con mano, essere investiti dai ricordi di quelle note che all'epoca risuonavano ovunque. E immagino i più giovani che, come me, si sono precipitati ad ascoltare questa canzone e si sono lasciati avvolgere da una melodia dal ritmo retrò e da un testo tremendamente attuale.

La potenza di uno speech si vede, anche, in piccoli dettagli. In appena due giorni la canzone ha scalato le classifiche. È arrivata al 22esimo posto nella classifica dei download su iTunes mentre Spotify ha riferito che il brano ha visto un aumento del 209% degli stream da dopo il discorso della Regina. I bookmaker di Coral, una delle catene più note del Regno Unito, stanno già scommettendo su We'll meet again come singolo più popolare del 2020.

Quale che sia il destino in classifica della canzone rimane la certezza che al netto di tutte le strategie di comunicazione che possiamo mettere in campo, sono le parole che scegliamo a plasmare i messaggi e i risultati che vogliamo ottenere. 

God Save the Queen. Oggi più che mai.

Stefano Marra

Responsabile di filiale presso Ali Lavoro

4 anni

Bravissima Alessia. Scritto davvero bene.

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