Foto di copertina di Ariele Incontri
Ariele Incontri

Ariele Incontri

Coaching e formazione professionale

Ariele Incontri è una sezione di Ariele SOCIETA' ITALIANA DI PSICOSOCIOANALISI

Chi siamo

Ariele incontri vuole essere uno spazio d'incontro tra pensieri e modelli diversi. Uno spazio libero da barriere ideologiche e steccati istituzionali. Il nostro fine è quello di stimolare la ricerca e diffusione degli strumenti di conoscenza e di cura verso il soggetto umano. Verranno proposti seminari, percorsi di ricerca e serate di dibattito e dialogo tra pensieri e ambiti diversi. Questo perchè pensiamo che l'ibridazione del pensiero sia la strada maestra per lo sviluppo e l'apprendimento collettivo.

Settore
Coaching e formazione professionale
Dimensioni dell’azienda
2-10 dipendenti
Sede principale
Milan
Tipo
Istruzione

Località

Aggiornamenti

  • Visualizza il profilo di Franco Natili

    Saggista e Scrittore, Consulenza Direzionale, Attività di Sviluppo Organizzativo, Counseling Psicologico

    La sfida della bellezza (Ispirato al libro "Il soggetto incompiuto"- Guerini e Associati, 2018) Quando si parla di auto-realizzazione, spesso si pensa ad un percorso per cui, partendo da un insieme di aspettative, di talenti innati, di un mondo sufficientemente stabile, si possa sviluppare un processo definito da perseguire con costanza, affrontando con determinazione le eventuali difficoltà emergenti. Tutto ciò però è illusorio perché, soprattutto nel periodo storico in cui viviamo, la stabilità non è che un illusione e, i cambiamenti continui dei contesti di vita, fanno mutare i nostri desideri e ciò che, di volta in volta, possiamo mettere in gioco di noi stessi... L’esistenza della specie umana consiste nel ricercare sempre sé stessa trascorrendo di forma in forma, attraverso un processo che forgia esteticamente l’avventura di vite sospese, che trovano la loro bellezza nel loro essere creative e imprevedibili e nel loro sperimentare, nell’arco di un’esistenza, un ininterrotto stupore. Nel suo avventurarsi nel mondo il soggetto incompiuto attraversa i diversi ambiti relazionali che, nella realtà attuale, lo vede immerso in un processo evolutivo accelerato dalle rivoluzioni della tecnica, a cui contribuisce, che ha favorito l’emergere di cambiamenti ambientali che fanno discutere di una realtà post-moderna... La sfida che il nostro tempo ci impone è tale che solo l’avventura, perseguita come stile di vita, ci consente di vivere momenti di bellezza. Per l'articolo completo (2 pagine circa): https://lnkd.in/dtEGJxtM

    • Nessuna descrizione alternativa per questa immagine
  • Visualizza il profilo di Franco Natili

    Saggista e Scrittore, Consulenza Direzionale, Attività di Sviluppo Organizzativo, Counseling Psicologico

    La consulenza al ruolo: L’elaborazione dell’esperienza Il Consulente al ruolo non deve mai perdere di vista il contesto nel quale opera il cliente. Il che consente di comprenderne il funzionamento,  sia nel gruppo di lavoro, sia nell’ambito relazionale ed emotivo che lo supporta.  L’apporto del cliente, infatti, non consiste solo nell’esplicitazione di capacità e competenze, ma anche di contributi emotivi che Ineriscono all’ambito intersoggettivo. In altre parole il cliente può essere veicolo di modalità di elaborazione emotiva dell’esperienza lavorativa, che può o meno armonizzare con la modalità utilizzata dal resto del gruppo di lavoro. Perché il gruppo di lavoro possa funzionare, la modalità di apprendimento dall’esperienza deve essere condivisa (altrimenti si creerebbe una spaccatura interna). Se il cliente non riesce ad allinearsi, come può evidenziarsi nella relazione di Consulenza al ruolo, non solo non riuscirà ad armonizzare con il gruppo, ma non sarà in grado di utilizzare a pieno le sue capacità e le sue competenze. Ciò accade presumibilmente per effetto di una mancanza di fluidità nel consentire il prevalere di una modalità sull’altra a seconda della necessità dettata dalle circostanze. Come se un certo tipo di esperienza gli generasse un livello di angoscia tale da impedirgli di vivere la realtà attuale, probabilmente per effetto di situazioni dolorose vissute in passato. L’emergere di questa mancata flessibilità, nel momento in cui viene colta diventa l’area da approfondire. Il consigliere riuscirà a cogliere l’irrigidimento della modalità agita dal cliente (per es. la modalità paranoide) attraverso la consapevolezza del clima emotivo, che si creerà tutte le volte che si presenteranno determinate situazioni relazionali-organizzative. A quel punto, rimanendo sintonizzato con le emozioni che pervadono il campo psichico, attiverà i “modi” del gruppo di lavoro ed insieme al cliente analizzerà la coerenza della modalità agita, rispetto alla realtà circostante. Il che significa indagare le situazioni in cui si verifica la prevalenza di una modalità paranoide, piuttosto che depressiva o contigua-autistica, indipendentemente dal clima emotivo della relazione (individuale o di gruppo) e dai fatti rilevati attraverso l’esame di realtà. Una volta acquisita la consapevolezza delle circostanze che bloccano la fluidità e l’adattamento, il cliente potrà apprendere a distinguere fra una reazione emotiva legata a ciò “che accade”, dagli stimoli derivanti da episodi del suo passato. La consulenza al ruolo non prevede il riattraversamento degli eventuali traumi che hanno generato tale situazione, può però aiutare il cliente a comprendere, che l’attivazione di determinate modalità stereotipate è spesso il segnale di un’incongruenza con ciò che avviene nella realtà. Ed è questa consapevolezza che può ripristinare una rinnovata capacità adattiva. Per l'articolo completo: https://lnkd.in/ddukzKp4

    • Nessuna descrizione alternativa per questa immagine
  • Visualizza il profilo di Franco Natili

    Saggista e Scrittore, Consulenza Direzionale, Attività di Sviluppo Organizzativo, Counseling Psicologico

    La consulenza al ruolo: il processo Il primo incontro è tra due sconosciuti. Certo: I nomi, i ruoli reciproci, qualche informazione di seconda mano, o fornita rapidamente al telefono. Comunque sconosciuti. Anche se fra loro si crea istantaneamente fin dall’inizio, una connessione inconscia. Da qui la complessità del lavoro del consulente che deve dispiegare l’ascolto su due livelli, uno sul clima emotivo condiviso, l’altro sul compito di lavoro. Quest’ultimo consiste in un chinarsi consapevole e sollecito verso ciò che il cliente avverte confusamente come un malfunzionamento che si manifesta nello svolgimento del proprio ruolo. Il consigliere, nel chinarsi, , non può che contenere ciò che, in un primo momento, si presenta come ambiguo e testimoniato da storie ed emozioni contrastanti, avviando un processo in cui due menti agiscono in sintonia nella faticosa ricerca di un senso che possa essere costruito insieme. La seconda fase comporta il processo di disvelamento, che consiste nel comprendere i motivi profondi di quella falla nel comportamento, inerente a uno stile relazionale, che impedisce un utilizzo adeguato delle potenzialità del cliente. Il consigliere, ponendosi in una relazione empatica con il cliente, riattraversa con lui le situazioni di lavoro che generano disagio e rispetto al lordo, costituito dal groviglio di sensazioni/emozioni che si presentano, fa emergere la tara, ciò che è estraneo alla situazione attuale. Tutto ciò è però possibile soltanto se il consigliere riesce mantenere, contestualmente, un alto livello di sintonizzazione, attraverso la consapevolezza che il terrore che si risveglia nel cliente è anche il suo, anche se lui non rinuncia a quella ricerca di senso, che, ora, attraverso il lavorio di due menti coese, può essere realizzata. Nella terza fase il cliente è angosciato, e paradossalmente l’angoscia che prova è il primo passo di un processo evolutivo, egli ora vede, attraverso l’esame di realtà, ciò che è stato e ciò che avrebbe potuto/voluto essere. I desideri e i bisogni che la necessità di difendersi da paure in gran parte inconsapevoli, ora emergono insieme al timore di non farcela. Il consulente in questa fase, dee :   ·     Per un verso deve assecondare l’instaurarsi dell’assunto di base di accoppiamento, dove la coppia assume emotivamente una qualità creativa, consistente nella capacità di mettere al mondo qualcosa di nuovo e mai realizzato prima. ·     Per l’altro deve bilanciare questo vissuto emozionale fine a sé stesso, con la dimensione progettuale. La vita del cliente, in base ai desideri emergenti, finalmente assunti, deve essere riprogrammata secondo nuovi obiettivi. Per l'articolo completo: https://lnkd.in/d2puBn57

    • Nessuna descrizione alternativa per questa immagine
  • Visualizza il profilo di Franco Natili

    Saggista e Scrittore, Consulenza Direzionale, Attività di Sviluppo Organizzativo, Counseling Psicologico

    La consulenza al ruolo - Il puer   “Io sostengo che (...) In noi, da sempre, c’è il nostro puer, il demone, che viene normalmente coltivato dagli artisti, dai poeti.   (Pagliarani, 2014, p. 91)     Il puer, nell’esperienza quotidiana, si rivela attraverso lo stupore, è l’esperienza pura del bambino che spalanca gli occhi davanti ai fenomeni di un mondo incontaminato che suscita meraviglia. Quando Pagliarani parla del puer interno allude alla capacità, che può rimanere immutata negli anni, di lasciarsi attraversare da sensazioni ed emozioni senza vivere l’urgenza di un senso. Il puer è la parte di noi che ci consente di vivere l’esperienza di sostare  nel mistero, senza che l’accavallarsi delle domande ne soffochi il sapore. Il Puer, nel suo esporsi all’ignoto, induce nella mente un flusso di sensazioni/emozioni come sospese, ancora prive di un senso. Noi “figli” se non abbiamo la fretta di catalogarle e di ricondurle al già conosciuto, possiamo scoprire che quelle emozioni/sensazioni, mai provate prima, possono suggerirci modi diversi di vedere la realtà e possono perfino indurci a riconsiderare la conoscenza che riteniamo di aver acquisito su noi stessi e sul mondo. Quando il consulente è in sintonia con il puer interno del cliente, osa parole che generano stupore e, talora, è come se il cliente sgranasse gli occhi come un bambino che vede il mare per la prima volta. Non capisce subito quello che gli viene detto, ma sente emozioni nuove, che pure gli appartengono, zampillare da punti dimenticati della sua mente. In lui lentamente si fa strada una sensazione di scoperta. La scoperta di un qualcosa che finalmente gli da la consapevolezza di ciò che fino a ieri aveva agito in maniera meccanica, soffocando parti vitali di se. Il consulente e il cliente, devono lasciare che il puer interno dispieghi il suo sguardo per vedere ciò che non è immediatamente visibile, che vada al di là delle evidenze. Ciò apre alla possibilità di un processo creativo che alimenta la l’unicità di entrambi. Per l'articolo completo: https://lnkd.in/dKVnAmWF

    • Nessuna descrizione alternativa per questa immagine
  • Visualizza il profilo di Franco Natili

    Saggista e Scrittore, Consulenza Direzionale, Attività di Sviluppo Organizzativo, Counseling Psicologico

    Cura e contenimento nella consulenza al ruolo La relazione di cura e contenimento, teorizzata da Bion anche mediante l’uso dei segni ♀ ♂, consiste in un meccanismo in grado di generare il pensiero (Bion,1962b). Attraverso i segni ♀ (contenitore) e ♂ (contenuto) Bion rappresenta una configurazione relazionale che costituisce, rispetto alla sua visione, uno dei fondamenti del funzionamento della mente. Bion assume a punto di partenza della relazione cura-contenimento il concetto di identificazione proiettiva elaborato da Melanie Klein (1946). La Klein, riferendosi al modello di relazione madre-bambino, spiega come il bambino per tollerare l’angoscia profonda generata dal nutrire sentimenti ambivalenti verso la madre, effettui una scissione che gli permette di proiettare i propri sentimenti cattivi, non tollerabili, nel seno materno. Da questa teoria Bion astrae, allo scopo di servirsene come modello, la “idea di un contenitore in cui viene proiettato un oggetto” designato con il termine di “contenuto”, “che può essere proiettato nel contenitore” (Bion, 1962b). A questo movimento segue una rielaborazione del contenuto da parte del contenitore, che rende possibile la successiva re-introiezione del contenuto come “pensiero”. L. Pagliarani usava a questo proposito una metafora: la mamma uccello che sminuzza il cibo per i pulcini allo scopo di renderlo digeribile. Anche Bion usa la metafora del tubo digerente, ciò che è impensabile per il bambino viene trasformato dalla madre attraverso la rêverie, in modo che possa essere re-introiettato dal bambino come pensiero. Con la crescita il bambino oltre ai pensieri, elaborati attraverso il contenitore materno, assume anche la “funzione”, ossia la capacità di auto-contenersi e di elaborare autonomamente i cosiddetti pensieri cattivi. Ma ciò non in termini assoluti, in quanto rimane sempre aperta la possibilità dell’impensabile, dell’evento intollerabile per la mente. Ciò può accadere in qualsiasi momento della vita. Pensiamo per esempio a chi: Abbia sperimentato l’angoscia di dover decidere sapendo che, in ogni caso, avrebbe finito per deludere profondamente le aspettative di persone amate e fondamentali per la sua esistenza; Oppure a chi sia capitato di prendere decisioni dagli esiti disastrosi, talmente distruttivi per la sua vita e per le persone vicine a lui, da dover essere dimenticate. In questi casi c’è la possibilità che la persona interessata non riesca più a prendere decisioni di qualche rilevanza sia nell’ambito delle relazioni affettive sia in quelle professionali. Assumerà allora uno stile relazionale (nei confronti del capo, dei colleghi, dei collaboratori), teso ad evitare, attraverso vari stratagemmi, qualunque decisione. Ciò, nel tempo, costituirà un grosso intralcio rispetto alla sua attività lavorativa e, con molta probabilità, porterà a una serie di insuccessi. Leggi l'articolo completo: https://lnkd.in/dwVBPHZf

    • Nessuna descrizione alternativa per questa immagine
  • Visualizza il profilo di Franco Natili

    Saggista e Scrittore, Consulenza Direzionale, Attività di Sviluppo Organizzativo, Counseling Psicologico

    Risonanze emozionali nella Consulenza al ruolo Sguardo binoculare e intersoggettività Il contatto tra consulente e cliente, come in qualsiasi incontro, genera istantaneamente un campo emotivo inconscio, che influenza fin da subito il clima della relazione. Sebbene il consulente debba mantenere la sua attenzione su ciò che viene espresso consapevolmente attraverso il linguaggio, non può ignorare il fondamento emotivo su cui si basa la relazione. È essenziale quindi per lui evitare una divaricazione fra clima emotivo (che interessa entrambi gli interlocutori) e i contenuti espliciti. Bion chiama “sophisticated group” il gruppo a struttura razionale perché lo considera come una forma di relazione che si instaura emancipandosi dallo stato di natura. D’altra parte, un eccessivo allontanamento dalla natura (dall’immediatezza della percezione) porterebbe a una modalità stereotipata della relazione, scissa dall’elemento vitale in grado di innescare le trasformazioni. Il consigliere deve mantenere uno sguardo binoculare, perché è nella dialettica che si sviluppa tra i due livelli della relazione che avvengono i processi di apprendimento. L. Pagliarani scrive a proposito dello stato protomentale: “Lo stato proto-mentale: «Se per un verso può essere definito come uno stato originario, uno stato di indifferenziazione, di brodo esistenziale, da un’altra prospettiva può essere considerato una fucina di possibilità, un contenitore di forme potenziali che chiedono di essere espresse, un miscuglio tra ciò che poteva essere espresso e ciò che potrà trovare forma in futuro». (L. Pagliarani) Per continuare: https://lnkd.in/gmz68zXT

    • Nessuna descrizione alternativa per questa immagine
  • Visualizza il profilo di Franco Natili

    Saggista e Scrittore, Consulenza Direzionale, Attività di Sviluppo Organizzativo, Counseling Psicologico

    Consulenza al ruolo – La coppia è un gruppo? La dimensione intersoggettiva 1.   Il campo analitico Madeleine e Willy Baranger svilupparono l’idea del campo analitico a partire dall’ontologia che Merleau-Ponty approfondì nel suo saggio "La filosofia della percezione" (1945). Per Merleau-Ponty c’è uno stato precedente ogni attività consapevole del pensiero, in cui soggetto e oggetto sono indistinti e dove i rapporti sono mediati dalla dimensione corporea attraverso la percezione. Rapporti che anticipano il dualismo, generato dall’attività del pensiero, tra coscienza e mondo: la libertà professata dal soggetto, infatti, non può prescindere dal suo essere conficcato, attraverso la percezione, in un ambiente da cui non può prescindere e che, in una certa misura, lo determina. Ciò rende opaco il senso dell’esistenza. La libertà del soggetto non è illimitata ma spazia dentro un campo di possibilità, che emergono da una continua ricerca di armonia rispetto a un determinato contesto di vita. Dare un senso all’esistenza, realizzare unicità e autenticità, esige un impegno che abbia un riscontro nella prassi, dove il senso di ogni soggetto si costituisce in base a una relazione primaria con il mondo priva di discontinuità rilevanti. Questo campo di possibilità diventa, in Madeleine e Willy Baranger, campo analitico. I due psicoanalisti, ampliando il contesto teorico disegnato dalla Klein, di cui erano allievi, nel saggio “La situazione psicoanalitica come campo bipersonale” (Baranger, 1978), sviluppano ulteriormente questo concetto. I due autori, partendo dalla considerazione che paziente e analista partecipano allo stesso processo dinamico, differenziano gli individui impegnati nel campo, dal campo che essi stessi producono e in cui sono immersi. Dove il campo non è la somma delle situazioni interne dei membri della coppia, né è riconducibile all’uno o all’altro, ma si configura come un elemento terzo con qualità e dinamiche indipendenti. Il campo analitico così definito si articola in tre livelli di strutturazione: il primo livello corrisponde agli aspetti formali e al contratto di base (setting), il secondo agli aspetti dinamici del contenuto manifesto e dell’interazione verbale, il terzo all’aspetto funzionale di integrazione e insight rispetto alla fantasia inconscia bi-personale. Non è difficile ricondurre queste affermazioni all’ambito della coppia costituita dal Consulente al ruolo e dal suo cliente che vede, in quest’ottica, l’instaurarsi di fantasie inconsce di natura bi-personale, non riconducibili singolarmente a nessuno dei due interlocutori. Per l'articolo completo: https://lnkd.in/dFjE8TNg

    • Nessuna descrizione alternativa per questa immagine
  • Visualizza il profilo di Franco Natili

    Saggista e Scrittore, Consulenza Direzionale, Attività di Sviluppo Organizzativo, Counseling Psicologico

    La consulenza al ruolo - La finestra e lo sguardo   Attraverso la griglia psicosocioanalitica, Luigi Pagliarani rappresenta due diverse coniugazioni della “cura”, entrambe ispirate alla psicologia dinamica, che si realizzano rispettivamente nell’area dell’amore e nell’area del lavoro. Aree ritenute da Freud fondamentali nell’esistenza umana. Nella Griglia, la cura è declinata sia nella coppia, sia nel gruppo. In tal modo vengono introdotti due elementi innovativi nella storia della psicoanalisi: l’utilizzo nell’ambito organizzativo delle teorie e delle prassi psicoanalitiche e l’estensione della cura psicoanalitica al gruppo. Attraverso la griglia, Pagliarani esprime una visione olistica dell’intervento psicosocioanalitico, coniugando l’amare e il fare con i due “situemi” costituiti dall’individuo e dal gruppo. La griglia è focalizzata sulle diverse articolazioni della cura nella misura in cui in genitus, faber, globus e officina costituiscono degli ambiti relazionali, all’interno dei quali le esigenze di cura si manifestano diversamente nei soggetti coinvolti (nel senso comunque di soggetti in relazione). La griglia così concepita indica l’intento di edificare, con la cosiddetta finestra psicosocioanalitica, un atteggiarsi rispetto alla cura in grado di assecondare le esigenze di ogni ambito relazionale. In tal modo si teorizza quindi che la cura assuma specificità diverse, a seconda delle diverse situazioni in cui emergono le forme variegate della soggettività, connesse però da una dimensione intersoggettiva che soggiace a tutti i contesti di vita. Contesti che si identificano nella coppia, nel gruppo, nell’istituzione-organizzazione e nella polis... Per l'articolo completo: https://lnkd.in/dNxzPpBT

    • Nessuna descrizione alternativa per questa immagine
  • Visualizza il profilo di Franco Natili

    Saggista e Scrittore, Consulenza Direzionale, Attività di Sviluppo Organizzativo, Counseling Psicologico

    L’angoscia della bellezza ... Ho tenuto un ciclo di quattro giornate in un’azienda, con l’obiettivo di sviluppare in un gruppo di giovani ingegneri una capacità progettuale rivolta soprattutto a sé stessi e al proprio progetto professionale. L’azienda, li aveva assunti per le loro potenzialità, e si aspettava che individuassero autonomamente il ruolo da assumere tra una serie ampia di ruoli dati. avevo pensato, nel programmare queste giornate, a un approccio teorico/metodologico che considerasse il sogno come il momento centrale dell’attività progettuale. Veniva in pratica, richiesto ai partecipanti, lavorando a coppie, di raccontarsi vicendevolmente il loro “sogno” professionale. Il gruppo dei partecipanti aveva il compito di “associare” liberamente sul sogno dei colleghi emersi dal colloquio. Non credo di aver mai sperimentato una situazione di gruppo in cui la sofferenza presente fosse, nello stesso tempo così densa e così intensamente vissuta, come un qualcosa di liberatorio e di necessario. Era come se il gruppo fosse improvvisamente capace di strutturare, per un verso, un legame profondo, mai sperimentato prima, in grado di contenere la sofferenza, dall’altro di vivere lo stupore non solo rispetto al ritrovarsi, ma all’opportunità, immediatamente percepita, di riappropriarsi del proprio sé più autentico. Il dolore ad un tratto aveva il potere di sciogliere l’angoscia per aprire a uno “spazio altro” che rendeva possibile l’emergere del sogno. La sofferenza era legata al trovare dentro di sé e nella relazione con l’altro, ciò che li aveva portati a rendere la propria vita inautentica, a riscoprire insomma l’origine lontana di quel sogno non sognato che era diventato la loro angoscia, angoscia che era stata il sottofondo più o meno consapevole di una vita tradita e che ora si scioglieva in un dolore condiviso e in una ritrovata solidarietà. L’angoscia, quindi, non è soltanto antitetica al piacere della bellezza, ma è ciò che implacabilmente attanaglia, quando la si dimentica. Scopriamo così nell’angoscia una complicità con la bellezza, nel senso che non saremmo così angosciati se a un tratto, quel nostro discostarci dalle nostre emozioni e dall’“altro”, che pure ci è accanto, non ci facesse sentire così soli e impotenti... Per l’articolo completo: https://lnkd.in/dvWMgCvk

    • Nessuna descrizione alternativa per questa immagine

Pagine simili