🌍DEI sotto attacco negli USA: Apple resiste e conferma il suo impegno Mentre alcune big tech si arretrano sui programmi di Diversity, Equity & Inclusion, Apple ribadisce la strategia. Dietro i numeri, un messaggio chiaro: la diversità non è solo etica, ma un vantaggio competitivo. 🔗 Leggi di più sull'impatto dei programmi DEI e sul caso Apple nell'ultimo articolo di Nicoletta Pisanu #CulturaAziendale #Inclusione #AppleTech https://lnkd.in/dVB-XWbw
Post di Agenda Digitale - Nextwork360
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Ho letto con grande preoccupazione dell'attuale dibattito sul tema delle politiche di inclusione in alcune delle principali aziende globali, come riportato nell'articolo del Corriere della Sera. La scelta di Apple di proseguire con il suo programma di inclusione, nonostante la pressione degli azionisti conservatori, rappresenta un segnale importante e coraggioso. Tuttavia, il fatto che altre grandi aziende stiano abbandonando queste iniziative è allarmante. L'eliminazione di programmi di DEI (Diversità, Equità e Inclusione) rischia di riportare indietro anni di progresso verso ambienti di lavoro più equi e rispettosi. Questo trend, iniziato negli Stati Uniti, potrebbe influenzare altre aziende e, potenzialmente, anche altri paesi. Mi auguro vivamente che questa tendenza non prenda piede altrove e che le aziende continuino a riconoscere il valore della diversità come elemento strategico per il successo e l'innovazione. Abbiamo bisogno di più inclusione, non di meno. Che ne pensate? È un rischio concreto anche in altri contesti? #diversity #inclusion
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Penso che ciò che sta accadendo ci apra gli occhi su due aspetti estremamente significativi: 1) qual è la differenza tra chi credeva veramente in ciò che affermava (e oggi rifiuta - almeno per ora - di piegarsi a questa nuova "tendenza") e chi invece ne aveva fatto solo un'azione di marketing e di compiacenza (e si è precipitato a cancellare tutto, sconfessando ciò che aveva affermato a gran voce per anni) 2) cosa significa avere realmente una cultura orientata alla valorizzazione delle persone, a prescindere da sesso, colore della pelle, credo religioso, orientamento sessuale, background sociale, ecc. Un'organizzazione animata da tale cultura infatti non ha bisogno di esibire loghi arcobaleno o di fare grandi proclami sull'importanza che rivestono le vite delle persone di altre etnie. Un'organizzazione di quel tipo non sente la necessità di invadere i social con foto fintamente inclusive, con slogan preconfezionati, con il racconto di iniziative della durata di un giorno, da sbandierare per fare employer branding. Un'organizzazione che ha realmente una cultura inclusiva semplicemente fa percepire ogni giorno concretamente e a chiunque il profondo rispetto che nutre per ciascuno in quanto individuo e persona. Lo fai coi fatti, non coi loghi o i proclami. Forse dobbiamo ripartire da lì, dalle cose concrete (più che dai loghi e dal marketing), quando vogliamo fare realmente le cose. E non fermarci, se ci crediamo davvero, perché il "vento" e la moda sembrano cambiati. Ma andare avanti. Comunque. Perché chi ha creduto in noi - e anche per questo ci ha scelto - non senta di essere stato tradito nel profondo da dei "venditori di fumo" sulla cosa più profonda che abbiamo: i nostri Valori. #DEI #DiversityEquityInclusion #PeopleEvolution #PeopleCulture #OrganizationCulture #LeadershipDevelopment #AuthenticLeadership #ChangeManagement #EveryLifeMatters https://lnkd.in/dbasRP-i.
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Negli Stati Uniti, stiamo assistendo a un preoccupante arretramento delle politiche #DEI (Diversity, Equity, Inclusion) nelle aziende, un fenomeno che sembra riflettere non solo cambiamenti politici, ma anche nuove interpretazioni legali come la recente sentenza della Corte Suprema nel caso Students for Fair Admissions v. Harvard. In un contesto che spinge verso una retromarcia, ci sono aziende che scelgono di resistere. Apple si conferma come esempio di leadership coraggiosa, opponendosi apertamente a proposte che metterebbero a rischio il proprio impegno per la diversità. Come dichiarato dal suo consiglio di amministrazione, #Apple considera queste proposte non necessarie e potenzialmente lesive per la capacità di guidare l’azienda verso i propri obiettivi. Apple riafferma il valore strategico ed etico delle politiche DEI, nonostante le pressioni esterne. Come professionisti impegnati nell’ambito dell’Equal #Leadership, sappiamo quanto siano importanti questi segnali. Perché non si tratta solo di resistere, ma di agire in modo intenzionale per rafforzare una cultura organizzativa basata sull’equità. È un messaggio forte, che invita tutti noi a riflettere e a fare la nostra parte per garantire che il cambiamento verso una società più inclusiva rimanga un obiettivo condiviso. Stefania Mancini ✨Claudia Segre Claudia Pavoletti Laura Dell'Aquila Mila Miscia Arianna Vignetti Flavia Marzano Francesca Torlone Peter Völk Carlo Paris Michelina Della Porta Beatrice Bettini Federica Capello Valentina Dainelli Federica Maria Raiti Maria Rita Fiasco Diletta Pasqualotto, MBA Sonia Faccin Monica Cerutti Tunia Gentili
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interessante riflessione di Daniele Regolo, mi trovo estremamente d'accordo con Francesca Bonsi Magnoni e Aaron Pugliesi. In questi giorni discutevo con Diego Castagno e Giovanni Zais su come il #DEI (Diversity, Equity, Inclusion) #non #debba essere #visto come una "#corsia #preferenziale" per alcuni, ma come un #insieme di #comportamenti e #politiche utili per #tutti. Promuovendo pratiche che migliorano il #benessere e l'#inclusione per l'intera popolazione #lavorativa, possiamo creare un #ambiente di lavoro più #equo e #armonioso. La politica può #giocare un ruolo #cruciale in questo #processo, #influendo positivamente quando introduce #regole e #iniziative che non solo favoriscono l'inclusione nelle #aziende, ma #promuovono una cultura inclusiva nelle persone, generando un impatto positivo a #livello #sociale. Inclusione significa #migliorare le #condizioni per #tutti, senza esclusioni, e questo è il vero obiettivo di un #approccio #DEI ben #applicato. #dei #job #disability #lovedisability
Diversity & Inclusion Ambassador Gruppo Openjobmetis | Disability manager | Fondatore Jobmetoo | Startup advisor | Autore Mondadori | Velista
Mi preme sottolineare che la D&I non dovrebbe avere a che fare con la politica: è l'uso sbagliato della D&I che lo diventa! Fare diversità e inclusione significa imparare - perché nel 2025 ancora non lo abbiamo imparato - che le persone, tutte, quale che sia la loro condizione, non devono essere discriminate. Questo il messaggio più alto che non dovremmo perdere di vista.
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Fare D&I seriamente in azienda non è facile, e non è per tutti. Non si tratta semplicemente di applicare dei protocolli, si tratta di attuare dei comportamenti realmente inclusivi verso chi per qualche motivo si trovi in difficoltà all'interno del nostro ambiente. Ecco allora due cose: 1) l'ambiente lo determiniamo noi con i nostri comportamenti 2) la diversità o la condizione di difficoltà/disagio personale non sempre sono facilmente visibili
Diversity & Inclusion Ambassador Gruppo Openjobmetis | Disability manager | Fondatore Jobmetoo | Startup advisor | Autore Mondadori | Velista
Mi preme sottolineare che la D&I non dovrebbe avere a che fare con la politica: è l'uso sbagliato della D&I che lo diventa! Fare diversità e inclusione significa imparare - perché nel 2025 ancora non lo abbiamo imparato - che le persone, tutte, quale che sia la loro condizione, non devono essere discriminate. Questo il messaggio più alto che non dovremmo perdere di vista.
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Condividiamo la riflessione di Enrico Gambardella sul caso Meta in quanto di sicuro impatto mediatico ma di cui conviene prendere con cautela gli eccessi di interpretazione sociologo-collettivo. Sbagliato infatti sarebbe sminuire i recenti progressi compiuti dal contesto aziendale italiano sul tema #DEI classificandoli come effetti modaioli legati a concetti ricorrenti dell'#engagememt e dell' #employerbranding. Più giusto continuare a vedere nelle aziende, come spesso già successo, il cantiere di cambiamenti anche radicali che spesso hanno, già in passato e continueranno in futuro, segnato la società "civile". Make RU-more! I nostri Servizi: DEI https://lnkd.in/dM7B4hJG
Il Futuro della #Diversity, Equity e Inclusion: Un Percorso Inevitabile Recentemente, la decisione di una grande azienda come Facebook guidata da Mark Zuckerberg, di eliminare i progetti di Diversity, Equity e Inclusion (DEI) ha fatto molto discutere. La scelta, comunicata con sorprendente rapidità e accompagnata dallo spostamento della figura responsabile su altre attività, sembra riflettere un cambiamento influenzato dal contesto politico statunitense. L’elezione di Donald Trump e le sue campagne contro le politiche di inclusione sembrano aver spinto alcune aziende ad allinearsi al nuovo panorama politico. Ma fermiamoci un momento a riflettere. Si può davvero arrestare il progresso? La DEI non è una moda o un’attività da inserire temporaneamente in agenda; è una necessità strategica per le aziende, un elemento cruciale per la loro sostenibilità nel tempo. La capacità di attrarre talenti, creare ambienti di lavoro stimolanti e promuovere l’innovazione non può prescindere da una cultura inclusiva. Questi fattori non sono semplici accessori: sono la base per il successo di lungo periodo delle organizzazioni. È vero, il cammino verso una società più equa non è lineare. Possono esserci momenti di riflessione o rallentamenti, ma l’evoluzione è inevitabile. La DEI è una risposta strutturale alle trasformazioni della società civile, una società in cui, nonostante i progressi, permangono profonde disparità. Il ruolo delle donne, ad esempio, è ancora lontano dall’essere equo rispetto a quello degli uomini, specialmente nelle posizioni apicali delle organizzazioni. A questo si aggiungono normative sempre più stringenti, come la direttiva europea sulla pay transparency, che dal 2026 renderà obbligatorio per le aziende affrontare il tema delle disparità salariali tra uomini e donne. Queste leggi non sono semplici obblighi burocratici, ma strumenti di giustizia sociale che daranno ulteriore impulso al cambiamento. Allora, come interpretare il caso di Facebook? Probabilmente come un’iniziativa di facciata che si è esaurita di fronte alle difficoltà. Ma ci sono esempi opposti: Amazon, ad esempio, continua a investire in politiche di DEI, dimostrando che crederci davvero fa la differenza. Le aziende, e i leader che le guidano, hanno oggi una responsabilità cruciale. Questo è il momento per coloro che credono nel valore della DEI di essere più determinati, più coraggiosi, più protagonisti. I benefici della diversità sono troppo significativi per essere ignorati: una maggiore innovazione, migliori performance aziendali, un ambiente di lavoro più stimolante e giusto. La politica può influenzare i tempi del cambiamento, ma non può fermarlo. La DEI è parte integrante di un futuro più equo e sostenibile. E chi sceglie di rallentare questo processo rischia non solo di rimanere indietro, ma di perdere la fiducia di una generazione che chiede alle aziende non solo prodotti e servizi, ma valori concreti. Il progresso non si ferma. E neanche noi dovremmo.
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Il Futuro della #Diversity, Equity e Inclusion: Un Percorso Inevitabile Recentemente, la decisione di una grande azienda come Facebook guidata da Mark Zuckerberg, di eliminare i progetti di Diversity, Equity e Inclusion (DEI) ha fatto molto discutere. La scelta, comunicata con sorprendente rapidità e accompagnata dallo spostamento della figura responsabile su altre attività, sembra riflettere un cambiamento influenzato dal contesto politico statunitense. L’elezione di Donald Trump e le sue campagne contro le politiche di inclusione sembrano aver spinto alcune aziende ad allinearsi al nuovo panorama politico. Ma fermiamoci un momento a riflettere. Si può davvero arrestare il progresso? La DEI non è una moda o un’attività da inserire temporaneamente in agenda; è una necessità strategica per le aziende, un elemento cruciale per la loro sostenibilità nel tempo. La capacità di attrarre talenti, creare ambienti di lavoro stimolanti e promuovere l’innovazione non può prescindere da una cultura inclusiva. Questi fattori non sono semplici accessori: sono la base per il successo di lungo periodo delle organizzazioni. È vero, il cammino verso una società più equa non è lineare. Possono esserci momenti di riflessione o rallentamenti, ma l’evoluzione è inevitabile. La DEI è una risposta strutturale alle trasformazioni della società civile, una società in cui, nonostante i progressi, permangono profonde disparità. Il ruolo delle donne, ad esempio, è ancora lontano dall’essere equo rispetto a quello degli uomini, specialmente nelle posizioni apicali delle organizzazioni. A questo si aggiungono normative sempre più stringenti, come la direttiva europea sulla pay transparency, che dal 2026 renderà obbligatorio per le aziende affrontare il tema delle disparità salariali tra uomini e donne. Queste leggi non sono semplici obblighi burocratici, ma strumenti di giustizia sociale che daranno ulteriore impulso al cambiamento. Allora, come interpretare il caso di Facebook? Probabilmente come un’iniziativa di facciata che si è esaurita di fronte alle difficoltà. Ma ci sono esempi opposti: Amazon, ad esempio, continua a investire in politiche di DEI, dimostrando che crederci davvero fa la differenza. Le aziende, e i leader che le guidano, hanno oggi una responsabilità cruciale. Questo è il momento per coloro che credono nel valore della DEI di essere più determinati, più coraggiosi, più protagonisti. I benefici della diversità sono troppo significativi per essere ignorati: una maggiore innovazione, migliori performance aziendali, un ambiente di lavoro più stimolante e giusto. La politica può influenzare i tempi del cambiamento, ma non può fermarlo. La DEI è parte integrante di un futuro più equo e sostenibile. E chi sceglie di rallentare questo processo rischia non solo di rimanere indietro, ma di perdere la fiducia di una generazione che chiede alle aziende non solo prodotti e servizi, ma valori concreti. Il progresso non si ferma. E neanche noi dovremmo.
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La DEI è parte integrante di un futuro più equo e sostenibile
Il Futuro della #Diversity, Equity e Inclusion: Un Percorso Inevitabile Recentemente, la decisione di una grande azienda come Facebook guidata da Mark Zuckerberg, di eliminare i progetti di Diversity, Equity e Inclusion (DEI) ha fatto molto discutere. La scelta, comunicata con sorprendente rapidità e accompagnata dallo spostamento della figura responsabile su altre attività, sembra riflettere un cambiamento influenzato dal contesto politico statunitense. L’elezione di Donald Trump e le sue campagne contro le politiche di inclusione sembrano aver spinto alcune aziende ad allinearsi al nuovo panorama politico. Ma fermiamoci un momento a riflettere. Si può davvero arrestare il progresso? La DEI non è una moda o un’attività da inserire temporaneamente in agenda; è una necessità strategica per le aziende, un elemento cruciale per la loro sostenibilità nel tempo. La capacità di attrarre talenti, creare ambienti di lavoro stimolanti e promuovere l’innovazione non può prescindere da una cultura inclusiva. Questi fattori non sono semplici accessori: sono la base per il successo di lungo periodo delle organizzazioni. È vero, il cammino verso una società più equa non è lineare. Possono esserci momenti di riflessione o rallentamenti, ma l’evoluzione è inevitabile. La DEI è una risposta strutturale alle trasformazioni della società civile, una società in cui, nonostante i progressi, permangono profonde disparità. Il ruolo delle donne, ad esempio, è ancora lontano dall’essere equo rispetto a quello degli uomini, specialmente nelle posizioni apicali delle organizzazioni. A questo si aggiungono normative sempre più stringenti, come la direttiva europea sulla pay transparency, che dal 2026 renderà obbligatorio per le aziende affrontare il tema delle disparità salariali tra uomini e donne. Queste leggi non sono semplici obblighi burocratici, ma strumenti di giustizia sociale che daranno ulteriore impulso al cambiamento. Allora, come interpretare il caso di Facebook? Probabilmente come un’iniziativa di facciata che si è esaurita di fronte alle difficoltà. Ma ci sono esempi opposti: Amazon, ad esempio, continua a investire in politiche di DEI, dimostrando che crederci davvero fa la differenza. Le aziende, e i leader che le guidano, hanno oggi una responsabilità cruciale. Questo è il momento per coloro che credono nel valore della DEI di essere più determinati, più coraggiosi, più protagonisti. I benefici della diversità sono troppo significativi per essere ignorati: una maggiore innovazione, migliori performance aziendali, un ambiente di lavoro più stimolante e giusto. La politica può influenzare i tempi del cambiamento, ma non può fermarlo. La DEI è parte integrante di un futuro più equo e sostenibile. E chi sceglie di rallentare questo processo rischia non solo di rimanere indietro, ma di perdere la fiducia di una generazione che chiede alle aziende non solo prodotti e servizi, ma valori concreti. Il progresso non si ferma. E neanche noi dovremmo.
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Come avviene spesso “l’adversarial policy” induce a riscrivere la storia e il concatenarsi degli eventi per avallare le proprie idee/ideologie. In questi giorni i giornali hanno dedicato largo spazio al fatto che Zuckerberg ha chiuso il programma di DEI (Diversity, Equality, Inclusion) per adeguarsi ai main stream dell’epoca Trump. In effetti la corte suprema ha recentemente emesso delle decisioni che indicano un cambiamento nel modo in cui i tribunali affronteranno il DEI e già nel 2023 si è pronunciata su alcune pratiche messe in atto, soprattutto nelle Università. E’ molto probabile che Meta, che aveva già fatto questa scelta nel luglio dello scorso anno, voglia dare maggiore risalto alla propria volontà di aderire ai main stream della presidenza Trump, ci sono però quattro punti sui quali si dovrebbe riflettere uscendo dal circuito chiuso dell’adversarial policy per leggere con spirito critico quanto sta avvenendo: 1. Se molte aziende Americane fanno marcia indietro e rivedono/chiudono i programmi di D&I ci saranno dei motivi che vanno oltre quello di volersi aggregare al carro del vincitore, posto che molte avevano annunciato queste scelte in tempi non sospetti della presidenza Biden? 2. Quanto incide il cambiamento del panorama legale sugli sforzi portati avanti dalle imprese USA per valorizzare la diversità, l’equità e l’inclusione? 3. Quanto incide il fatto che i risultati dei programmi messi in atto sono scarsi: il world Economic Forum sostiene che il 40% delle aziende intervistate ritiene il DEI un problema e non una opportunità e che il 75% dei responsabili aziendali di DEI risulta essere bianco. 4. Quanto incide il fatto che pubblicizzare a gran voce le azioni di DEI fa perdere alcune quote di clienti (quelli che vengono definiti No Woke negli USA)? Sono tutte domande che chi gestisce un’azienda in diversi ruoli e posizioni si deve porre. Solo in questo modo il dibattito sul DEI potrà fare un salto avanti, individuando un paradigma di intervento nelle organizzazioni che non sia solo quello sin qui attuato (Azioni di DEI = maggiore soddisfazione dei collaboratori = migliore clima interno = maggiore produttività = maggiori risultati) per individuarne uno che solleciti giochi a somma positiva, sostenibili nel tempo. In fondo le aziende sono “più buone” quando questo permette di qualificare i risultati raggiunti sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo, in caso contrario, fanno dei passi indietro e se il clima politico li aiuta colgono la palla al balzo come già hanno fatto Harley Davidson, Meta, Amazon, McDonald, Nike, Tractor Supply, Walmart e altri ancora. Cosa ne pensate?
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Giorgio Santambrogio, credo fortemente che in tutto questo ci sia di mezzo anche molta politica e una polarizzazione forzata su un tema che coinvolge tutte e tutti. Forse il desiderio di non volersi più esporre su temi considerati “scomodi”? Investire in politiche #DEI vuol dire mettere in campo #azioniconcrete, vere, basate su studi e numeri, integrandole in un processo tangibile di #cambiamento organizzativo. Vuol dire crederci, ascoltare e coinvolgere le persone, dentro e fuori l'azienda. Ma questo non significa riassumere il tutto con il concetto di quote, bensì continuare a parlare di #meritocrazia, #formazione, #rappresentazione e #ascolto delle minoranze. La DEI ha proprio lo scopo di valorizzare i #talenti, non di ostacolarli, perché impedisce di fare scelte condizionate da #stereotipi e bias, consentendo proprio di far emergere solo le capacità, senza influenze di altro tipo. Mi domando come possa essere possibile trasformare i concetti di Diversity, Equity & Inclusion in qualcosa di divisivo, quando dovrebbero rappresentare tutto il contrario... ovvero un #vantaggio per tutte e tutti: dovremmo iniziare a trovare un terreno comune che vada nella direzione di ridurre le disuguaglianze con la consapevolezza che questo ha certamente e senza ombra di dubbio un impatto positivo nella dimensione politica, economica e sociale della nostra realtà. IO CI CREDO E NON MOLLO!!!
CEO Gruppo VèGè, Vicepresidente Vicario Federdistribuzione, Consigliere Confindustria Intellect, Vicepresidente Retail Institute Italy, Direttore Master Digital Retail Luiss Business School
Non so se sono più arrabbiato o deluso. 😡😪 Negli Stati Uniti, ma a breve anche in Italia in molti gruppi multinazionali americani, molte imprese hanno abbandonato le iniziative di Diversity e Inclusion (DEI). Sia chiaro, talune esagerazioni anche per me sono oggettivamente border line, ma il voltafaccia che stanno facendo queste aziende è laido. Non parliamo di aziendine ma, a meno di miei errori di ricerca, fior di gruppi come Meta, Amazon, Ford, Harley Davidson, etc. 🤬 🤬 Apple ha invece votato contrario 💪🏻😀 Perché ? Perché Trump vuole restaurare il mondo ? E questa cavolo di restaurazione implica non avere più un linguaggio inclusivo ? O non dare uguali possibilità di carriera alle donne ? O cacciare dalle aziende le minoranze etniche o chi ha disabilità ? O non estendere ad eguali diritti di maternità o paternità ? O discriminare in azienda chi appartiene alla comunità lgbtqia+ ? Che delusione anche che se ne stia parlando così poco: evidentemente anche questo è un segnale di viltà, codardia e pusillanimità. Vabbè 🤷♂️: questa è la mia idea. Voi che ne pensate ?
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