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Alla bella notizia della liberazione della giornalista Cecilia Sala avvenuta ieri, farà certamente seguito uno spostamento del baricentro dell’attenzione mediatica sul correlato procedimento di estradizione nei confronti dell’ingegnere iraniano, dai cui sviluppi potrebbero affiorare delle tracce sulle dinamiche della negoziazione che ha condotto alla liberazione della nostra concittadina.
Ferma la soggezione solo alla legge dei giudici chiamati a pronunciarsi sul caso di Abedini, di una tale mediazione potrebbe invero essere spia un eventuale intervento del Ministro Nordio, che potrebbe peraltro concretizzarsi in due differenti momenti:
(i) é utile ricordare che tra una settimana la Corte di Appello di Milano dovrà pronunciarsi in ordine alla richiesta di arresti domiciliari avanzata dalla difesa (richiesta rispetto alla quale la Procura Generale ha espresso un parere negativo non vincolante) e, laddove la Corte di Appello ritenesse di non dover modificare la misura della custodia cautelare in carcere, il Ministro ha il potere di revocarla.
Già un tale intervento, pur non direttamente connesso alla richiesta di estradizione, potrebbe rappresentare un indice di un pregresso “accordo”. Infatti il cittadino iraniano, lasciando il territorio nazionale, farebbe venir meno il procedimento di estradizione.
Va detto, per completezza, che tale decisione del Ministro si discosterebbe significativamente dalla linea di azione privilegiata da Nordio in altra vicenda di cooperazione internazionale. Nel caso del cittadino russo Artem Uss, pure oggetto di una richiesta di estradizione da parte degli Usa, il Ministro aveva infatti disposto un procedimento disciplinare nei confronti dei giudici della Corte di Appello (proprio di Milano), “rei” di aver posto agli arresti domiciliari l'estradando;
(ii) se la Corte di Appello di Milano si pronunciasse a favore della estradizione del cittadino iraniano, possiamo dare per scontato che il difensore presenterà appello. Se anche la Suprema Corte dovesse condividere tale decisione, si concluderebbe la fase giurisdizionale.
Il procedimento di estradizione non sarebbe però concluso, esiste infatti una fase di chiusura, riservata al potere politico. Anche in questo caso, infatti, il Ministero, potrebbe impedire la consegna del cittadino iraniano alle autorità americane.
Al contrario, nessuna indicazione potrebbe a mio giudizio essere desunta da una decisione della Corte di Appello di Milano di rilasciare il cittadino iraniano prima, o di rigettare la richiesta di estradizione statunitense poi.
In uno stato di diritto, fondato sul principio di separazione tra poteri, i giudici sono soggetti solamente alla legge. È un principio che non dobbiamo dimenticare perché soprattutto in vicende come questa segna una profonda distanza tra gli ordinamenti democratici e le autocrazie.
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