Il cambio (in)atteso Sta suscitando molto scalpore la notizia del cambio di nome del piccolo nuovo suv di casa Alfa Romeo, da Milano a Junior. Ora, tralasciando la giornata che avranno avuto all’interno della direzione marketing di Alfa (vi sono vicino), trovo questa decisione, assolutamente corretta e di buon senso. Ricostruiamo con l’aiuto dei colleghi di Quattroruote: “Un cambio di rotta deciso dalla Casa dopo la polemica innescata dal ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, che aveva evocato la violazione dell'articolo 144, comma 1 bis sull'Italian Sounding: ovvero, la pratica "finalizzata alla falsa evocazione dell’origine italiana" di un prodotto”. Nessuno dotato di un minimo di conoscenza del mondo, in un mercato globalizzato, potrebbe mai minimamente mettere in dubbio la decisione di produrre questo mezzo in Polonia. Giusto, corretto, secondo le logiche di produzione e di costo. Però tutto ha un costo, anche il risparmio. In questo caso il costo è dovuto al non poter utilizzare un nome che evidentemente richiama l’italianità, Milano appunto, di un prodotto che di italiano non ha praticamente nulla. Come disse a più riprese Luca Cordero di Montezemolo, le varie scelte industriali in questo Paese, susseguitesi negli anni, hanno portato all’impoverimento dell’industria automobilistica italiana. Questo è un dato di fatto, non un’opinione. Quindi evviva Alfa Romeo che decide di produrre in Polonia (libertà massimo di farlo) ed evviva chi decide di provare, non dico a difendere, ma perlomeno ad instillare il dubbio che qualcosa di grande sia sparito, forse per sempre, dall’Italia.
Post di Carlo Galati
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“Cambiamo in Junior e da domani nessuno si ricorderà più di Milano”. In Alfa Romeo ne sono convinti. E hanno probabilmente ragione: nell’era dei social e dell’hypermedialità dove notizia scaccia notizia, tendiamo a dimenticarci tutto in meno di ventiquattrore. Ma il polverone che si è sollevato dopo il cambio del nome da Milano a Junior rischia di lasciare dei danni oggi poco evidenti ma ben più gravi. Ovviamente non mi riferisco ai costi che sta sostenendo Alfa Romeo per modificare i suoi cartelloni pubblicitari. E nemmeno ai presunti danni indiretti per la città di Milano che perderà un’opportunità di visibilità internazionale. Il danno più grande riguarda l’immagine dell’Italia come sistema paese. Perché ciò che è accaduto mediaticamente in mondovisione nella serata del 15 aprile ha mostrato quanto possa essere complicato fare le cose dalle nostre parti (e con noi italiani), compreso lo scegliere il nome commerciale di una nuova automobile. Un investitore straniero (magari cinese, come si augura il Governo italiano) che deve decidere se e dove aprire la sua prossima fabbrica di automobili (o di qualsiasi altro bene), la prima cosa che guarda in un paese è l'affidabilità del sistema economico che deriva, a sua volta, dalla stabilità normativa, politica ed energetica. Io non credo che vedere un ministro interferire pubblicamente nella strategia di naming di un prodotto sia un fattore rassicurante. E poco importano le intenzioni politiche sottostanti che magari sono anche corrette di principio. Perchè sono i modi che definiscono l'immagine delle persone e quindi di un paese. E il “modo italiano” rappresentato da questa vicenda non credo rassicuri nessuno. Nemmeno gli italiani che poi sono i primi a pagarne le conseguenze. Spesso senza rendersene conto.
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#UCMagazine: ‘𝗠𝗶𝗹𝗮𝗻𝗼’ 𝗰𝗮𝗺𝗯𝗶𝗮 𝗶𝗻 ‘𝗝𝘂𝗻𝗶𝗼𝗿’: 𝗹𝗮 𝗰𝗼𝗻𝘁𝗿𝗼𝘃𝗲𝗿𝘀𝗮 𝗱𝗲𝗰𝗶𝘀𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗱𝗲𝗹𝗹’𝗔𝗹𝗳𝗮 𝗥𝗼𝗺𝗲𝗼 La nuova attesissima Alfa Romeo Romeo ‘Milano’ ha fatto il suo debutto solo ad aprile e subito l’azienda ne ha modificato il nome in ‘Junior’. La scelta iniziale rimandava alla città natale di Alfa Romeo ed a scegliere ‘Milano’ era stato proprio il pubblico, tramite un contest. Il nuovo nome non è casuale: ‘Junior’ è un nome storico per l’azienda, che richiama il modello iconico degli anni ‘50 e ‘60: la storica vettura doveva attirare un pubblico giovane e dinamico verso un’auto sportiva e accessibile. La ‘Junior’ è diventata storica per il suo grande successo, tanto da rappresentare un nuovo capitolo per l’azienda. Ma perché questo cambio brusco e improvviso? Le parole di @Jean-Philippe Imparato, CEO di Alfa Romeo, sono queste: "Siamo consapevoli che questa decisione avrà un impatto significativo sulla storia del marchio. È una grande responsabilità, ma anche un momento entusiasmante." Ma molti non sarebbero d’accordo con questa visione. Ricordiamo che, per la prima volta nella storia dell’azienda, la produzione della ex ‘Milano’ è tutta estera e molto poco italiana. Infatti, la nuova ‘Junior’ è nativa degli stabilimenti Stellantis della Polonia. Ma come si ricollega questo con il cambio del nome? La ragione è da ritrovare nell’accusa del Ministero delle Imprese e del Made in Italy riguardo la violazione della legge che il nome avrebbe provocato. Come ha affermato l’avvocato dei consumatori, Massimiliano Dona, il ministro avrebbe distolto l’attenzione dalla reale problematica: lo spostamento di una sede italiana in Polonia, provocando problemi ai lavoratori italiani, spostandola verso una questione diversa. Infatti, secondo il ministro Adolfo Urso, ‘Milano’ fuorvierebbe i consumatori rispetto la sede di produzione dell’auto. In questo modo, il ministro vorrebbe preservare il Made in Italy, rivendicando un marchio che spetterebbe solo ai beni di origine italiana. Ma qual è la scelta giusta: evitare che un'azienda usi richiami all’Italia o mantenere gli stabilimenti nel nostro paese, garantendo più posti di lavoro? 𝗙𝗮𝘁𝗲𝗰𝗶 𝘀𝗮𝗽𝗲𝗿𝗲 𝗻𝗲𝗶 𝗰𝗼𝗺𝗺𝗲𝗻𝘁𝗶 𝗾𝘂𝗮𝗹 è 𝗹𝗮 𝘃𝗼𝘀𝘁𝗿𝗮 𝗼𝗽𝗶𝗻𝗶𝗼𝗻𝗲! #UniNaCorse #AlfaRomeo #AlfaRomeoMilano #AlfaRomeoJunior #Urso #MadeInItaly #Delocalizzazione
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Mia moglie da appassionata di auto non potrebbe leggere questo post! Recentemente, Alfa Romeo ha lanciato una campagna inusuale e provocatoria nel Regno Unito, invitando i propri automobilisti a non lavare le loro auto per tutto il mese di settembre. Questa iniziativa, volta a promuovere la sostenibilità e la conservazione delle risorse idriche, ha suscitato reazioni contrastanti tra i proprietari e gli appassionati. Vi riporto alcuni dati: la campagna di Alfa Romeo si basa su dati concreti riguardanti il consumo d’acqua per il lavaggio delle auto. Secondo il Consumer Council for Water, lavare un’auto a casa con un tubo può consumare fino a 300 litri d’acqua, mentre un lavaggio a mano con secchio e sapone ne richiede solo 30. Inoltre, una ricerca condotta da Alfa Romeo ha rivelato che il 32% degli automobilisti britannici lava la propria auto più di una volta al mese, e il 14% almeno una volta a settimana. Questi numeri evidenziano un potenziale spreco significativo di risorse idriche. Come modello simbolo per questa campagna è stata scelta la Giulia che per il suo design elegante e sportivo, rappresenta perfettamente l’idea che un’auto può essere bella anche quando è sporca. Sebbene l’iniziativa di Alfa Romeo sia lodevole per il suo intento di sensibilizzare sull’uso responsabile delle risorse, ha anche sollevato alcune critiche. Alcuni automobilisti ritengono che l’aspetto estetico delle loro auto sia fondamentale e che non lavarle possa danneggiare la vernice e ridurre il valore del veicolo. Inoltre, la campagna potrebbe essere percepita come un’operazione di marketing più che un vero impegno per la sostenibilità. Per me, la campagna di Alfa Romeo rappresenta un interessante esperimento di sensibilizzazione ambientale che cerca di riportare a fare alcune attività "come una volta" senza andare troppo incontro al consumo estremo di acqua, il che non significa non fare più nulla in nome della sostenibilità! Tuttavia, il successo di tale iniziativa dipenderà dalla capacità del marchio di convincere i propri clienti che la bellezza di un’auto non risiede solo nella sua pulizia, ma anche nel rispetto per l’ambiente. #MARKETING #BRAND #AWARENESS #SUSTAINABILITY
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È da tempo che lo penso: il #marketing è diventato di massa, tutti inseguono il mainstream e nessuno rischia più di distinguersi. “Basiamoci sui dati” si dice, ma poi li si usa per giustificare scelte comode, strategie copiate e scarsamente lungimiranti. I medesimi dati dei competitor, portano a scelte analoghe nel mercato. Le auto? Via quelle bianche, oggi piacciono blu, cross, con il lunotto “coupè”, lo schermo enorme e un piglio green. Se poi sono elettriche, il fanale lungo dietro è d’obbligo, chissenefrega della marca, “questo vuole il cliente” (dicono i dati, presi come bibbia, ma con poco senso critico). Auto tutte uguali e non solo per economie di scala: lo sono nella personalità, nei valori e spesso pure nell’aspetto (al di là del cd Family Feeling)! E via, si relega tutto al #brand, mai così falso e sopravvalutato come oggi, nonché carico di compiti ingrati, come il sacrificio del proprio coraggio di guidare e comunicare i propri valori. Per cosa? La valutazione di massa, economica e non. La personalità? Sempre quella del compromesso: volendo “mettere d’accordo tutti” e stare sempre con i “bravi”, si diluisce. Prendo spunto da Alfa Romeo perché avrebbe ancora il potere di comunicare un certo tipo di emozioni “controcorrente” (come ha fatto in parte con Giulia), fatte di lancette analogiche, scarichi a vista e pubblicità a la “fast and furious”, ma non ha il coraggio di farlo per davvero… …ma occhio, ciò vale per quasi tutti: dagli smartphone alle lavatrici, migliaia di euro spesi nei propri reparti di marketing, senza investirli e senza avere il coraggio di alzare la testa e fare un passo, con la paura di perdere parte di quella “majority” (concetto ben chiaro per chi ha studiato marketing) che probabilmente cerca soltanto ciò che ha già visto altrove, omologandosi senza né interesse né trasporto. Ah, chiaro, gli azionisti… È a questo che servono i reparti marketing? È a questo che servono i grandi brand, oggi? (Lo so, la lungimiranza non è sicuro la prerogativa dei manager, che spesso devono seguire obiettivi di breve e medio periodo, ma… i miei 2 cent settimanali di strategia sono qui) #TheGoodManagement
SERVONO GLI "ALFISTI" PER RILANCIARE ALFA ROMEO. Quante polemiche! Un oggetto di critiche è il body: è uguale a quella e a quell’altra macchina. Certo, oggi si somigliano un po’ tutte. Invece di criticare che un SUV compatto somigli agli altri SUV compatti, perché nessuno si chiede come mai una tale uniformità? Dove sono finite le priorità dell’estetica? Cosa le ha rimpiazzate? I consumi? La sicurezza? La voglia di aggredire sempre e solo il segmento maggioritario della domanda, trascurando le nicchie? Poi il nome: Milano e non fabbricata in Piazza Duomo. Nata come polemica speciosa e finita alla Ennio Flaiano: grave, ma non seria. È evidente che c’è un malessere di fondo. Diamine, non capita spesso di salutare una nuova auto del Biscione. Uno si aspetta qualcosa di diverso, di unico. Un’Alfa Romeo, se è lecito dirlo, non un SUV qualsiasi con lo stemma appiccicato sopra. Alfa Romeo è uno dei pochissimi brand al mondo a incarnare un tipo di automobilista: l’alfista. Una persona che desidera sentire la strada, ha una guida sportiva e vuole apparire tale. A Torino sanno di che si tratta: per la pubblicità dello Stelvio hanno usato “alfista allo stato puro”. Poi però tutte le pubblicità, da Giulia a Tonale passando per Stelvio, lo evitano. Il protagonista è affascinante ma nel senso mainstream, molto curato al limite del deboluccio. Il payoff insiste sulla “meccanica delle emozioni” e sul “patrimonio italiano”, come se Alfa Romeo ne avesse bisogno, visto che essa stessa è simbolo di italianità. Ma soprattutto, le auto non corrono, manca l’adrenalina alla “fast&furious”. Queste sono eresie nel panorama sociale odierno, ma magari automobilisti su cui farebbero presa ce ne sono. Forse non tantissimi, ma quanti ne servono ad Alfa Romeo? Parliamo di un brand di nicchia. Giorni fa il patron del brand ha ribadito l’ambizione di lavorare alla grande incompiuta, il Duetto. Ha ragione da vendere. Ma quale idea di auto incarnerebbe? E chi la guiderebbe? Un giovane brillante, un po’ scavezzacollo e un po’ playboy, poco fluido, nipote di quel rivoluzionario di Dustin Hoffman nel Laureato? Esistono questi automobilisti? Sì, ma sono stati oscurati dalla scena: loro, la loro guida e le loro auto. Non sono solo minoranza, che per una nicchia va bene, sono “sbagliati” secondo una certa idea mainstream. Però magari i marketer del Biscione li scovano, fuori dalle ZTL, e sarà bene, perché non sembra che abbiano tante alternative, a giudicare dall’accoglienza dell’ultimo SUV replica di… Dopotutto che significa rilanciare il brand, se non riproporne le caratteristiche identitarie? Questa è ancora la parte facile. Quella difficile è: una volta che li avranno trovati, vorranno sedurli parlando la loro lingua, proponendo i loro codici, rappresentando le loro emozioni, incarnando i loro valori? In due parole? Rilanciare Alfa Romeo. Mio articolo sul Sole24Ore. https://lnkd.in/eyPM8Mfh
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SERVONO GLI "ALFISTI" PER RILANCIARE ALFA ROMEO. Quante polemiche! Un oggetto di critiche è il body: è uguale a quella e a quell’altra macchina. Certo, oggi si somigliano un po’ tutte. Invece di criticare che un SUV compatto somigli agli altri SUV compatti, perché nessuno si chiede come mai una tale uniformità? Dove sono finite le priorità dell’estetica? Cosa le ha rimpiazzate? I consumi? La sicurezza? La voglia di aggredire sempre e solo il segmento maggioritario della domanda, trascurando le nicchie? Poi il nome: Milano e non fabbricata in Piazza Duomo. Nata come polemica speciosa e finita alla Ennio Flaiano: grave, ma non seria. È evidente che c’è un malessere di fondo. Diamine, non capita spesso di salutare una nuova auto del Biscione. Uno si aspetta qualcosa di diverso, di unico. Un’Alfa Romeo, se è lecito dirlo, non un SUV qualsiasi con lo stemma appiccicato sopra. Alfa Romeo è uno dei pochissimi brand al mondo a incarnare un tipo di automobilista: l’alfista. Una persona che desidera sentire la strada, ha una guida sportiva e vuole apparire tale. A Torino sanno di che si tratta: per la pubblicità dello Stelvio hanno usato “alfista allo stato puro”. Poi però tutte le pubblicità, da Giulia a Tonale passando per Stelvio, lo evitano. Il protagonista è affascinante ma nel senso mainstream, molto curato al limite del deboluccio. Il payoff insiste sulla “meccanica delle emozioni” e sul “patrimonio italiano”, come se Alfa Romeo ne avesse bisogno, visto che essa stessa è simbolo di italianità. Ma soprattutto, le auto non corrono, manca l’adrenalina alla “fast&furious”. Queste sono eresie nel panorama sociale odierno, ma magari automobilisti su cui farebbero presa ce ne sono. Forse non tantissimi, ma quanti ne servono ad Alfa Romeo? Parliamo di un brand di nicchia. Giorni fa il patron del brand ha ribadito l’ambizione di lavorare alla grande incompiuta, il Duetto. Ha ragione da vendere. Ma quale idea di auto incarnerebbe? E chi la guiderebbe? Un giovane brillante, un po’ scavezzacollo e un po’ playboy, poco fluido, nipote di quel rivoluzionario di Dustin Hoffman nel Laureato? Esistono questi automobilisti? Sì, ma sono stati oscurati dalla scena: loro, la loro guida e le loro auto. Non sono solo minoranza, che per una nicchia va bene, sono “sbagliati” secondo una certa idea mainstream. Però magari i marketer del Biscione li scovano, fuori dalle ZTL, e sarà bene, perché non sembra che abbiano tante alternative, a giudicare dall’accoglienza dell’ultimo SUV replica di… Dopotutto che significa rilanciare il brand, se non riproporne le caratteristiche identitarie? Questa è ancora la parte facile. Quella difficile è: una volta che li avranno trovati, vorranno sedurli parlando la loro lingua, proponendo i loro codici, rappresentando le loro emozioni, incarnando i loro valori? In due parole? Rilanciare Alfa Romeo. Mio articolo sul Sole24Ore. https://lnkd.in/eyPM8Mfh
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Il sempre brillante Pier Luigi del Viscovo coglie il punto: Alfa Romeo, “patrimonio nazionale a cui tanti italiani sono legatissimi, sebbene non al punto da comprarsi le macchine”, vuole vendere i nuovi modelli agli alfisti - categoria del pensiero che non corrisponde da tempo a un bacino di veri clienti - o a chi alfista non è e aspira a esserlo, volendo sentirsi inclusi in quell’aura di sportività abbordabile che il nome evoca? Se è valida la seconda opzione, e io ne sono convinto, a quel pubblico quanto davvero importa l’omologazione tecnica, il pianale in comune, i powertrain condivisi? Mutuando un titolo di Carver, “di che cosa parliamo quando parliamo di alfisti?”. Gli alfisti sono quelli che acquistano prodotti Alfa? O sono quelli che celebrano un mito del passato? Il gruppo di fedelissimi che - per dire - rimpiange la 75 ha comprato o no la Giulia, macchina indiscutibilmente paradigmatica dei valori tecnici del brand (oggi sul Foglio appare un pezzo di Cingolani su “la difesa dei veri alfisti”, che immagino prescinda dalla capacità della Casa di stare sul mercato)? Lo so, i social sono pieni di critiche sulla Milano/Junior. Sollecitato da Mario Cianflone su questo, Eligio Catarinella - nella call con noi giornalisti sul cambio del nome (notizia che ha fatto il giro del mondo: se era questo l’obbiettivo, e non un beau geste nei confronti del governo, obbiettivo raggiunto) - ha detto che il volume di configurazioni sul sito è ben superiore ai commenti sprezzanti. Ok: che misurare il comune sentire dal numero dei click sia un metodo superficiale e fallace lo dico da tempo. Ma qui il tema è più ampio. Non sarà che i marchi forti possono a un certo punto scavalcare i perimetri che ne hanno rappresentato, allo stesso tempo, identità e limite, sottraendosi alla marginalità a cui l’ubbidienza alla regola li ha relegati?
SERVONO GLI "ALFISTI" PER RILANCIARE ALFA ROMEO. Quante polemiche! Un oggetto di critiche è il body: è uguale a quella e a quell’altra macchina. Certo, oggi si somigliano un po’ tutte. Invece di criticare che un SUV compatto somigli agli altri SUV compatti, perché nessuno si chiede come mai una tale uniformità? Dove sono finite le priorità dell’estetica? Cosa le ha rimpiazzate? I consumi? La sicurezza? La voglia di aggredire sempre e solo il segmento maggioritario della domanda, trascurando le nicchie? Poi il nome: Milano e non fabbricata in Piazza Duomo. Nata come polemica speciosa e finita alla Ennio Flaiano: grave, ma non seria. È evidente che c’è un malessere di fondo. Diamine, non capita spesso di salutare una nuova auto del Biscione. Uno si aspetta qualcosa di diverso, di unico. Un’Alfa Romeo, se è lecito dirlo, non un SUV qualsiasi con lo stemma appiccicato sopra. Alfa Romeo è uno dei pochissimi brand al mondo a incarnare un tipo di automobilista: l’alfista. Una persona che desidera sentire la strada, ha una guida sportiva e vuole apparire tale. A Torino sanno di che si tratta: per la pubblicità dello Stelvio hanno usato “alfista allo stato puro”. Poi però tutte le pubblicità, da Giulia a Tonale passando per Stelvio, lo evitano. Il protagonista è affascinante ma nel senso mainstream, molto curato al limite del deboluccio. Il payoff insiste sulla “meccanica delle emozioni” e sul “patrimonio italiano”, come se Alfa Romeo ne avesse bisogno, visto che essa stessa è simbolo di italianità. Ma soprattutto, le auto non corrono, manca l’adrenalina alla “fast&furious”. Queste sono eresie nel panorama sociale odierno, ma magari automobilisti su cui farebbero presa ce ne sono. Forse non tantissimi, ma quanti ne servono ad Alfa Romeo? Parliamo di un brand di nicchia. Giorni fa il patron del brand ha ribadito l’ambizione di lavorare alla grande incompiuta, il Duetto. Ha ragione da vendere. Ma quale idea di auto incarnerebbe? E chi la guiderebbe? Un giovane brillante, un po’ scavezzacollo e un po’ playboy, poco fluido, nipote di quel rivoluzionario di Dustin Hoffman nel Laureato? Esistono questi automobilisti? Sì, ma sono stati oscurati dalla scena: loro, la loro guida e le loro auto. Non sono solo minoranza, che per una nicchia va bene, sono “sbagliati” secondo una certa idea mainstream. Però magari i marketer del Biscione li scovano, fuori dalle ZTL, e sarà bene, perché non sembra che abbiano tante alternative, a giudicare dall’accoglienza dell’ultimo SUV replica di… Dopotutto che significa rilanciare il brand, se non riproporne le caratteristiche identitarie? Questa è ancora la parte facile. Quella difficile è: una volta che li avranno trovati, vorranno sedurli parlando la loro lingua, proponendo i loro codici, rappresentando le loro emozioni, incarnando i loro valori? In due parole? Rilanciare Alfa Romeo. Mio articolo sul Sole24Ore. https://lnkd.in/eyPM8Mfh
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Maserati, che fallimento: decisione drastica dell’azienda, non accadeva da anni. La decisione presa da parte della Maserati è drastica e preoccupante. Un fallimento inatteso che soffriranno in molti Fondata a Bologna nel 1914 da parte dei fratelli Bindo, Ernesto ed Ettore Maserati, l’azienda automobilistica è diventata nel tempo una delle più influenti del nostro Paese. Il suo successo ha superato i confini nazionali già da decenni, grazie alla creazione di supercar e auto di lusso che sono state vendute in massa. Spostatasi a Modena nel 1938, l’azienda ha da sempre una produzione di serie imponente, con tantissimi operai a compiere i lavori di meccanica all’interno delle fabbrica. Ora, però, sembra proprio che la Maserati stia attraversando un periodo non troppo semplice e i dirigenti hanno preso una decisione drastica per poter ovviare ai problemi che si sono posti dinnanzi a loro. La Casa automobilistica con il marchio del tridente, infatti, ha avviato dei procedimenti per poter richiedere la cassa integrazione, dal 29 di gennaio fino al 17 di febbraio, per ben 220 operai. Tale situazione è venuta a crearsi dopo il perentorio calo di domanda del modello MC20 sul mercato, auto che viene prodotta proprio all’interno della fabbrica modenese. Eppure, nel 2023 tale esemplare era stato prodotto in 1.244 unità, dati che permettevano di poter garantire una produzione continua. Cos’è successo in così poco tempo All’inizio del 2024, in Cina la domanda per le auto di lusso è diminuita in maniera drastica e ciò è andato a influenzare anche il commercio internazionale di vari marchi provenienti dall’Occidente. Il brand gestito dal gruppo Stellantis, quindi, sembra esser stato costretto a richiedere la cassa integrazione, che potrebbe influenzare anche il lavoro di 850 ingegneri, i quali svolgono l’attività di ricerca e sviluppo per tutto il gruppo proprio all’interno del sito di Modena. Sono passati circa due anni da quando si è verificata una situazione simile all’interno dell’impianto della Maserati di Via Menotti. In quel periodo, era stata appena posta in commercio la nuova e lussuosa MC20, modello destinato a riportare la Casa ai vertici delle preferenze di appassionati di supercar. Infatti, il mix fra l’altissimo lusso mostrato dall’estetica e le prestazioni di livello prestigioso, facevano della MC20 una delle migliori auto della categoria esistenti in commercio. Non ci si sarebbe mai potuti aspettare un cambiamento radicale del genere nelle preferenze sul mercato automobilistico. La speranza, ovviamente, è quella che gli operai possano tornare al più presto a produrre, dato che le loro famiglie necessitano di tale entrata per poter vivere in maniera dignitosa.
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#accaddeoggi Il 24 giugno 1910 viene fondata a Milano una nuova società: A.L.F.A (Anonima Lombarda Fabbrica Automobili). Sarà l'imprenditore napoletano Nicola Romeo a rilevare l'azienda e a cambiare il suo nome in Alfa Romeo. Nel 1911 l'ALFA debuttò, con la 24 HP, nelle competizioni automobilistiche. Nel 1923, il brand raggiunge il suo primo risultato storico: Ugo Sivocci vince la Targa Florio a bordo dell'Alfa Romeo RL. Il legame indissolubile con Milano è alla base dell'immagine di Alfa Romeo nel mondo. Si narra che in attesa del tram numero 14 in Piazza Castello, Cattaneo notò il Biscione Visconteo sulla torre principale del Castello Sforzesco, e se ne innamorò a prima vista. Tuttavia, mancava ancora qualcosa. Cattaneo e Merosi lavorarono a diverse versioni del logo, individuando infine quella più convincente, che mostrava da un lato il noto Biscione e, dall'altro, lo stemma del Comune di Milano: una croce rossa su fondo bianco. Nel 1933 la proprietà dell'Alfa Romeo passò, attraverso l'IRI, allo Stato italiano a causa del forte indebitamento che la società aveva contratto con le banche a partire dal decennio precedente. L'Alfa Romeo continuò a produrre vetture in modo semi artigianale fino all'inizio degli anni cinquanta, quando si trasformò in un'industria automobilistica. Agli inizi degli anni Cinquanta Giuseppe Luraghi giunge ai vertici dell’azienda e vi rimarrà fino al 1974. Sarà un periodo di enorme sviluppo: Giulietta e Giulia faranno raggiungere ad Alfa Romeo proporzioni inaspettate, con un ritorno di immagine oltre ogni previsione. All’alba degli anni Sessanta prenderà il via la costruzione del nuovo stabilimento di Arese e della pista di Balocco. Infine sarà varato il progetto Alfasud, mentre “Alfa Nord” metterà in produzione l’avveniristica Alfetta e le sue derivate: vetture moderne, veloci, tecnologicamente avanzate e apprezzate dal mercato. La crisi energetica e una difficile situazione sociale, sindacale, politica e gestionale, però, decreteranno presto l’insorgere di nuove difficoltà. La crisi finanziaria costrinse lo Stato italiano, nel 1986, a vendere la casa automobilistica al gruppo Fiat. Il rilancio dell'Alfa Romeo avvenne nella seconda parte degli anni novanta. Seguono anni controversi, in cui a successi sportivi e commerciali si alternano periodi molto meno floridi. È il periodo della 164 e della 155, fino al grande passo in avanti segnato dalle 156, 147, 8C Competizione, Mito e Giulietta. E finalmente la 4C, che apre una nuova epoca. L'8 febbraio 2022 è presentato in anteprima mondiale il secondo SUV prodotto dalla casa, si tratta di un SUV di segmento C, denominato Tonale. Nel 2023 è stata presentato il primo SUV di segmento B della casa, inizialmente chiamato Milano, e successivamente Junior. Nel frattempo nasce Fiat Chrysler Automobiles e poi Stellantis: si spera si pongano così le basi per un possibile rilancio che non potrà che ripartirire proprio da Alfa Romeo, da Milano, dall’Italia, dalla sua tradizione.
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Dalla vicenda Alfa Romeo che sta tenendo banco tra addetti ai lavori, appassionati o semplici curiosi, traggo alcune conclusioni. Il cambio di nome, per quanto imbarazzante, non è un caso isolato e ci sono altri esempi nella storia dell'auto, vedi la diatriba tra Porsche e Peugeot quando la prima voleva battezzare la sua sportiva con un nome che aveva lo ''0'' centrale, o casi in cui un modello per esportazione ha cambiato nome perchè tradotto nella lingua locale risultava offensivo o si sovrapponeva a modelli già sul mercato, ad esempio la Lancia Beta Montecarlo che negli USA fu la Scorpion a causa della Chevrolet Montecarlo già in commercio. In questo caso è sembrato un tentativo maldestro della politica di trovare un appiglio per richiamare la produzione in Italia. Non scandalizzi la condivisione di pianali con i cugini d'Oltralpe in quanto oggi nessuno può produrre in autonomia come negli anni '60, e in questo riescono solo alcuni costruttori che producono modelli di nicchia. Lascia perplessi la sensazione di una mancanza di visione, di fidelizzazione di una clientela che ogni tanto vede uscire un nuovo modello, poi per anni nulla, stabilimenti che chiudono, produzioni delocalizzate..il pubblico per investire somme ingenti nell'acquisto di un'auto (non parlo di flotte aziendali o noleggi che assorbono tutto o quasi) vuole ''il sogno''..ed entrare in una concessionaria del Gruppo rappresenta bene ( e tristemente) il concetto. Per di più prendendo dall' album dei ricordi nomi come Junior - gli appassionati sanno cosa significa - per applicarlo ad un B-Suv che nulla ha a che fare con la storia del Marchio. Ci si poteva sforzare di più senza scomodare mostri sacri dal passato utilizzati (è l'impressione) a caso per evocare emozioni. La sensazione è che al vertice si tratti un prodotto che fa parte del nostro DNA come un elettrodomestico, usando nomi evocativi come unica strategia. Di certo gli appassionati devono affrancarsi dal campanilismo del ''Made in Italy come gli anni '60'', dove chi era al comando investiva in idee, innovazione, stile, allo scopo di essere i primi del mercato, con una propria identità. La globalizzazione ha appiattito questa visione e bisogna prenderne atto, perchè, in un momento storico di forte evoluzione tecnologica (vedremo se anche energetica), senza condivisione, senza joint venture, le auto non si producono se non a costi insostenibili, ma lo stile può ancora fare la differenza. I vertici Stellantis dovrebbero leggere questa vicenda (e le critiche), come indicatori di quanto, nonostante la gestione incostante e incerta, il pubblico veda ancora alcuni marchi gloriosi come Alfa Romeo (e mettiamoci anche Lancia) come un sogno, e come tale va preservato. Nessun nuovo modello di altri marchi generalisti (non me ne vogliano) avrebbe suscitato un polverone simile e una pioggia di commenti (molti negativi), e questo va letto positivamente come un segnale di forte aspettativa che bisogna cercare di non disattendere...
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Poco più di una settimana dopo la sua presentazione, le polemiche del Governo italiano hanno spinto Alfa Romeo a ribattezzare la Milano in Junior. La controversia è nata da una dichiarazione del Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Russo, poco dopo la presentazione dell’auto, il quale ha sostenuto che il nome Milano violasse la legge sull’italian sounding del 2003, semplicemente perché l'auto fosse prodotta a Tychy, in Polonia. Nonostante la decisione di chiamare l’auto Milano fosse già stata presa, pubblicamente, nel dicembre dell’anno precedente. Il CEO di Alfa Romeo e Stellantis, gruppo proprietario del marchio, hanno scelto di non intraprendere azioni legali contro il Governo e di rinominare l’auto in Junior. Come riportato in un'intervista del CEO di Alfa, "Abbiamo deciso di cambiare il nome in Alfa Romeo Junior per ripristinare un clima di tranquillità e distensione. Non vogliamo alimentare polemiche o questioni politiche, ma semplicemente fare business." Questa vicenda ha diviso l’opinione pubblica, con sostenitori e detrattori della posizione del governo. Tuttavia, si è preferito cambiare il nome piuttosto che la sede di produzione, poiché produrre l’auto in Italia avrebbe comportato un costo aggiuntivo di oltre €10.000. Personalmente, credo che questa situazione dovrebbe sollevare interrogativi sul declino della competitività italiana rispetto ad altri paesi, specialmente europei, nel settore industriale. Problemi che possono derivare non solo dai costi elevati del lavoro, ma anche da una scarsa propensione a investire in ricerca e sviluppo e, soprattutto, ad attrarre investimenti stranieri e non, a causa di difficoltà economiche, sociali e demografiche. Secondo voi, la polemica è giustificata o dovremmo concentrarci su come tornare più competitivi e produttivi? Fonti nei commenti. #AlfaRomeoJunior #Milano #AlfaRomeoMilano #governo #mimit #madeinitaly #automotive #competition #alfaromeo #stellantis AlfaRomeoMEA Stellantis
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